MINTURNO (Minturnae)
Era, insieme con Ausona e Vescia, una delle tre principali città del territorio degli Aurunci. Posta nel piano sulla sponda destra del Liri, a breve distanza dalla foce, ebbe fin dall'origine funzione di vedetta e di difesa sul fiume a guardia della più comoda via di comunicazione con la Campania; inoltre la vicinanza alla foce ne fece il porto fluviale della regione, sì da servire di sbocco alle città e ai borghi della zona valliva e montana e da diventare il naturale centro del mercato agricolo della pianura. Lambita in origine dal Liri, non è peraltro escluso che, costruito un ponte (il Pons Tirenus, Cic., Attic., xvi, 13 a, 1) qualche sobborgo della città sorgesse anche sulla sponda sinistra (Plin., Nat. hist., iii, 59: Liri amne divisa).
Coinvolta nella prima e seconda guerra sannitica venne, al pari di Ausona e Vescia, distrutta nella disastrosa guerra romano-latina (deletaque Ausonum gens, liv., ix, 25). Attraversata dall'Appia (all'89° miglio da Roma) e occupata da una colonia romana (295 a. C.), M. diventò la principale città di transito fra il Lazio e la Campania; e la sua esistenza politica, oltre al ripopolamento della colonia ad opera di Cesare ed Augusto, non segnerebbe che la prosperità e la decadenza di una delle più cospicue città del Latium novum, se la drammatica fuga di Gaio Mario tra la selva e la palude del litorale (88 a. C.) non avesse portato tra le sue mura le passioni e il terrore della guerra civile (Vell. Paterc., II, 19; Plut., Mar., 37-39). Il terreno paludoso, la malaria, le piene del fiume e le invasioni dei Saraceni che occuparono per alcun tempo la valle del Garigliano (Liri), furono la causa della decadenza e dell'abbandono: e il nuovo abitato, che sorse sui colli vicini, ebbe in origine il nome ereditato dalla funzione che conservò M. nel Medioevo di guado e traghetto sul fiume: Traetto (traiectus).
Il sito della città antica è rimasto contrassegnato dal lungo acquedotto che, su 150 arcate superstiti, vi adduceva l'acqua dai vicini monti di Spigno, dalla cavità infossata del suo anfiteatro e, soprattutto, dall'imponente mole del muro di sostegno della cavea del teatro. Il ristagno delle acque e della torba non impedirono peraltro la spoliazione delle rovine: colonne e capitelli vennero impiegati nel duomo di Gaeta e un più largo bottino vi fece negli scavi del 1817 il maresciallo Conte Laval Nugent, con sculture, pezzi architettonici ed epigrafi che, dopo varie vicende, trovansi raccolti nel museo di Zagabria.
Nel 1926 veniva esplorato dalla Soprintendenza di Napoli il santuario della dea Marica, ricuperata la copiosa stipe italica e romana. Gli scavi infine promossi dall'Associazione Internazionale di Studi Mediterranei a cura della Missione dell'Università di Pennsylvania, hanno messo in luce, negli anni 1931-33, parte del quartiere del Foro e il primo nucleo della città ausona e romana.
Della città ausona si è ritenuto di scoprire i resti in un fortilizio quadrato di circa 135 m di lato, costruito in opera poligonale, che, a guisa di castrum, fiancheggiato da torri angolari e accessibile da porte anch'esse turrite, dovette avere, a ridosso dell'argine del fiume, vera e propria funzione di testa di ponte. A ponente di questo recinto si sviluppò la città repubblicana e imperiale, gravitanti l'una e l'altra sulla grande arteria dell'Appia che, entrando dalla Porta Gemina di ponente, dove sboccava l'acquedotto, e valicando il fiume su un ponte di cui si scorgono tuttora le fondazioni delle pilae, venne a costituire col decumano maggiore l'asse d'orientamento degli edifici pubblici della città. E l'Appia rigorosamente rettilinea, passando tra i due Fori repubblicano e imperiale, ci si presenta con gli ultimi apprestamenti e rifinimenti del II e III sec. dell'Impero: pavimentazione accurata, tracce di portici, fontane-ninfei e adeguato impianto di canali di scolo e di fogne sottostradali.
Sul fronte a monte dell'Appia si aprì dapprima il Foro repubblicano in forma d'una porticus triplex a pianta leggermente trapezoidale (m 63,20-68,40), con i tre bracci dell'ambulacro bipartiti in due navate da un colonnato mediato sì da sostenere l'ampia distesa del tetto. Entro l'area del portico sorse il tempio più vetusto, capitolium della colonia, destinato ad accogliere nella triplice cella la triade capitolina. Colpito da un fulmine nel 207 a. C. (Liv., xxvii, 37) e incendiato nelle sue strutture lignee, venne restaurato non prima d'avere, seppellendo i pezzi tocchi dal fulmine in un pozzo sacro (bidental), adempiuto al rito dell'espiazione: e dell'adempimento di tale rito resta preziosa testimonianza accanto al tempio il puteale del bidental. Un altro grave incendio del 45 a. C. dové favorire il decadimento e determinare nell'età giulio-claudia il definitivo abbandono del Foro repubblicano quale centro della vita civile della città. L'aggregazione del braccio settentrionale del portico al teatro e il collocamento di due fontane-ninfeo ai due ingressi dell'Appia, rese praticamente inutilizzabile il triplice portico mentre, nell'area libera accanto al tempio capitolino, si costruì un altro tempio dedicato forse al culto della famiglia imperiale. Non ne resta che l'ossatura del podio, ma il rivestimento del gradino inferiore in blocchi parallelepipedi inscritti, ci ha conservato nelle lunghe liste dei nomi di peregrini una delle testimonianze più preziose della funzione commerciale e marittima che ebbe M. nel II e I sec. a. C. Indice della fioridezza della città nella prima età dell'Impero è, oltre al grandioso acquedotto, il teatro che, tagliando arditamente la linea delle mura repubblicane, spezzando la ortogonalità della rete dei cardines e inflettendo la sua grande cavea tra le linee dei Fori, venne a formare, verso i monti, il grande fondale scenografico della città. Abbandonato il Foro repubblicano, la città ebbe, a valle dell'Appia e su un'area assai più profonda, il suo Foro imperiale, dalla cui esplorazione sarà possibile trarre elementi più adeguati per la conoscenza edilizia, economica e sociale di Minturno.
Gli scavi del 1931-33 hanno aggiunto inoltre un buon gruppo di sculture a quello già cospicuo dei precedenti scavi del 1817, provenienti in gran parte dall'area del Foro, dai templi, dal teatro. Notevoli un Hermes Dionysophòros, una statua frammentaria di Augusto, un vigoroso ritratto di Druso maggiore e varî pregevoli ritratti virili di età repubblicana e imperiale.
Santuario della dea Marica. - Tra la città e il mare, lungo la sponda destra del Liri, in una zona paludosa e selvosa, era il santuario della dea Marica, uno dei più venerati della regione, sacro al culto della selva e della palude. Di origine ausona precorse e seguì le vicende stesse della città, riflettendone nelle strutture e nella stipe i varî momenti della fortuna politica e commerciale. I ruderi del tempio conservano gli avanzi di un arcaico delubro italico costruito in blocchi di tufo nero al quale vanno riferite le numerose terrecotte architettoniche, tra la fine del VI e il II sec. a. C., raccolte nel terreno, e un più ampio tempio romano in conglomerato cementizio. La copiosa stipe votiva comprende: vasi e rozze statuette ad impasto che presuppongono un primitivo culto presso un'ara graminacea; un'abbondante messe di statuette fittili arcaiche di produzione locale e d'importazione con animali e vasetti di libazione semplici e multipli della prima fase del tempio e, dopo una lunga interruzione (480-350 a. C.), nel IV e III sec., una copiosa produzione di ceramica etrusco-campana e scarse suppellettili dell'età ellenistica e romana; fino a che, nella prima metà del I sec. dell'Impero, al culto italico della dea Marica si sostituì quello delle divinità egizie dovuto verosimilmente ai commerci e ai peregrini che frequentavano il porto fluviale di Minturno.
Bibl.: H. Nissen, Ital. Landeskunde, II, Berlino 1883, p. 662; M. Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle province di terraferma dell'antico Regno di Napoli dal 1734 al 1876, Napoli 1888, p. 398 (relazione Ciuffi sulle scoperte di Minturno del 27 sett. 1841); H. C. Butler, The Aqueduct of Minturnae, in Am. Journ. Arch., V, 1901, pp. 187-192; Laurent, Vibert, Piganiol, Inscriptions de Minturnes, in Mélang. d'arch. et d'hist., XXIV, 1904, p. 123; Philippson, in Pauly-Wissowa, XV, 1931, c. 1935 s., s. v.; Enc. It., s. v.; L. Crema, Marmi di Minturno nel Museo archeologico di Zagabria, in Boll. Ass. Intern. St. Mediterr., IV, 1933, nn. 1-2, pp. 25-44. Sugli scavi dell'Università di Pennsylvania: J. Johnson, Excavations at Minturnae, I, Monuments of the Republican Forum (con catalogo di monete a cura di Ben-Dor), 1935; Inscriptions at Minturnae, I, Republican Magistri (con appendice dei Testi delle fonti sulla località), 1933; A. Kirsopp Lake, Campana Supellex - The Pottery Deposit at Minturnae, in Boll. Ass. Intern. St. Mediterr., V, 1934-35, n. 4-5, p. 97-114, tavv. I-XXII; A. Adriani, Minturno - Catalogo delle sculture trovate negli anni 1931-33, in Not. Scavi, 1938, pp. 159-226, tavv. VII-XIX. Sul santuario della dea Marica: G. Q. Giglioli, Note archeologiche sul Latium novum, in Ausonia, VI, 1911, p. 60 ss.; P. Mingazzini, Il santuario della dea Marica alle foci del Garigliano, in Mon. Ant. Linc., XXXVII, 1938, cc. 693-957: cfr. S. Aurigemma - A. De Santis, Gaeta-Formia-Minturno, Itinerari dei Musei e Monumenti, Roma 1955.