MINORANZE NAZIONALI
(v. minoranza, XXIII, p. 404; minoranze nazionali, App. II, II, p. 327; III, II, p. 127)
Il problema dell'esatta definizione delle m.n. ha raggiunto un grado di precisazione abbastanza buono, anche se questa espressione continua a essere usata, specie nel linguaggio giornalistico e politico, in modo improprio, alimentando equivoci e polemiche. Seguendo una corrente di pensiero sviluppatasi soprattutto in Francia, si può affermare che la nazione è una comunità legata da una identica individualità storica (F. Chabod) e dalla volontà di mantenere e di difendere questa individualità (E. Renan). Una comunità così definita è una ''nazione di volontà''. Essa si distingue dalla ''nazione-stato'' che s'intende formata dalla comunità di persone legate da un'identica condizione giuridica, la cittadinanza (G. Héraud). Mentre la seconda definizione tende a far coincidere la nazione con lo stato, la prima definizione ammette una discordanza fra i due concetti, in quanto in uno stesso stato vi possono essere diverse comunità nazionali.
Gli stati europei moderni si sono formati, normalmente, attorno a una comunità nazionale che ha realizzato un'organizzazione statale allo scopo di diventare soggetto attivo della propria storia; ma i confini degli stati creatisi soprattutto come conseguenza del divampare dello spirito nazionalista romantico nel secolo 19° non hanno mai coinciso (né potevano coincidere) con l'esatta collocazione geografica delle comunità nazionali, in quanto finivano per comprendere nell'ambito dei loro territori anche frammenti di altre comunità nazionali a loro volta prevalenti negli stati confinanti, o comunità minori che non sono riuscite mai a realizzare il loro stato pur rivendicando una loro propria individualità storica. In questi due casi sia il frammento di comunità nazionale che, pur avendo realizzato altrove il proprio stato, si trova entro i confini di uno stato diverso, sia la nazione senza stato rappresentano, per lo stato che le ospita, una m. n., che si contrappone con diverse istanze alla nazione dominante. Se lo stato ospitante è improntato a un forte senso nazionalistico, se cioè tende a esaltare i caratteri (linguistici, religiosi, culturali, sociali, economici, ecc.) propri della comunità nazionale in cui si riconosce, le m.n. sono tendenzialmente considerate come un pericolo per l'unità dello stato e un elemento di disgregazione, che si tende a ridurre mediante una politica di assimilazione o di repressione oppure, nei casi più drastici, di eliminazione mediante espulsione, deportazione, genocidio. Se però lo stato, superata la fase della sua costruzione, riesce a comporre in modo armonico tutte le sue componenti sociali e culturali, è possibile ridurre le differenziazioni nazionali a più semplici problemi di autonomia, realizzabile in forma più o meno accentuata mediante regioni amministrative autonome o altre forme di autonomia.
Il problema delle m.n. non va confuso con quello delle comunità etniche, in quanto si tratta di comunità di persone identificate dalla comune appartenenza a uno specifico e fortemente caratterizzato sistema culturale, espresso, di norma, attraverso un'unica particolare lingua (comunità etnico-linguistiche): l'appartenenza a una comunità etnica è data da una soggettività culturale obiettiva, che non può avere una natura volontaristica, come nel caso della soggettività storica che qualifica la m. nazionale. Da questa distinzione consegue che la tutela delle comunità etniche non può essere assimilata a quella delle m.n., in quanto le prime chiedono il rispetto delle loro espressioni culturali e la possibilità di valorizzarle, mentre le m.n. chiedono o di essere ricongiunte alla nazione madre (mediante una modifica dei confini di stato) o di avere un'autonomia così larga da non essere mai confuse con la nazione dominante.
Il problema delle m.n. in Europa si è aggravato dopo la Pace di Versailles, che ha posto fine al primo conflitto mondiale, in quanto la nuova sistemazione dei confini europei ha creato un gran numero di m. nazionali. La Pace di Parigi successiva al secondo conflitto mondiale ha determinato situazioni di m.n. soprattutto nell'Europa dell'Est, dove in un primo momento questo problema venne affrontato quasi sempre con massicci trasferimenti di popolazioni (soprattutto tedesche) per adeguare le nazionalità ai nuovi confini politici.
Ma dopo la caduta del sistema comunista, nel 1991, nell'Europa dell'Est si è registrato un improvviso risveglio dei nazionalismi, in particolare nella penisola balcanica, dove comunità minori hanno rivendicato con forza le loro posizioni di m.n. rispetto ai gruppi nazionali più forti, accendendo nel territorio dell'ex Repubblica Socialista Federativa di Iugoslavia un sanguinoso conflitto motivato dalla volontà dei nuovi stati di difendere le proprie m.n. nei territori degli altri stati.
In Europa si era giunti a considerare i problemi delle m.n. come una questione interna degli stati che le ospitano. Alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione Europea (CSCE), cui aderirono (Dichiarazione di Helsinki, 1975) quasi tutti i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada, fu dichiarata la non ammissibilità sul piano giuridico e politico di rivendicazioni territoriali o di ingerenze degli altri stati nei problemi della tutela delle m.n. di uno stato sovrano. Con la Carta di Parigi (1990) la CSCE ha ribadito gli accordi di Helsinki, impegnando gli stati membri al rispetto dei diritti civili e politici degli individui, alla loro libertà economica e all'indipendenza politica di ogni nazione. Tuttavia l'aggravarsi della conflittualità alimentata dai problemi connessi con la sistemazione delle m.n. sembra aver fatto cadere tali proponimenti: la tendenza attuale, almeno nei conflitti più gravi, sembra quella di una internazionalizzazione di questi problemi.
Bibl.: G. Héraud, L'Europe des etnies, Parigi 1963; F. Chabod, L'idea di nazione, Bari 1974; A. Pizzorusso, Il pluralismo linguistico fra stato nazionale e autonomie regionali, Pisa 1975; F. Capotorti, I diritti dei membri delle minoranze: verso una dichiarazione delle Nazioni Unite?, in Rivista di diritto internazionale, 64, 1 (1981), pp. 30-42; F. Salerno, Sulla tutela internazionale dell'identità culturale delle minoranze straniere, ibid., 73 (1990), pp. 257-93; F. Capotorti, Study on the rights of persons belonging to ethnic, religious and linguistic minorities, Ginevra 1991; G. Barberini, La tutela delle minoranze nel sistema della CSCE, in Aggiornamenti sociali, 43, 4 (1992), pp. 285-98; A. Cerri, Libertà, eguaglianza e pluralismo nella problematica della garanzia delle minoranze, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2 (1993), pp. 289-314.
Diritto. - Prive di ogni misura protettiva nello stato liberale italiano, se si esclude quella disposizione dello Statuto Albertino ben presto caduta in desuetudine (art. 65, comma 2) che prevedeva la facoltà di servirsi della lingua francese per i membri del Parlamento appartenenti "ai paesi in cui questa è in uso", represse nelle loro aspirazioni a una tutela dei diritti linguistici dal fascismo, le m. in Italia hanno visto riconosciuta la loro esistenza dall'ordinamento repubblicano che ne ha attribuito la tutela ad apposite norme. Il principio espresso dall'art. 6 della Costituzione non riguarda solo le collettività che hanno come referente etnico-linguistico una ''nazione'' diversa dall'Italia, ma si applica anche ai gruppi minoritari come la comunità catalana di Alghero, quelle albanesi o greche del Mezzogiorno, che con lo ''stato-nazione'' hanno un legame attenuato, o a gruppi come i Ladini, i Friulani, i Sardi, ecc., che al contrario sono privi di qualunque rapporto con un'entità statale diversa dall'Italia.
La tutela delle m., fondata sull'elemento idiomatico e, quindi, sul riconoscimento del diritto all'uso della lingua minoritaria (diritto concesso, sia pure con alcune differenze rilevanti, ai Sudtirolesi, ai Valdostani e agli Sloveni della provincia di Trieste), si estende a tutti i rapporti che sono collegati all'uso della lingua o che dalla lingua traggono particolare rilevanza. In particolare, la tutela riguarda la possibilità di utilizzare la lingua minoritaria nei rapporti con le strutture pubbliche, segnatamente in settori di grande rilevanza come l'istruzione, specie negli anni dell'obbligo scolastico. Anche sui rapporti politico-amministrativi si riflette la scelta del legislatore a tutela delle m. n. sia per quanto attiene l'autonomia concessa a regioni e province (Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige) per motivi di carattere prevalentemente etnico, sia per quanto concerne particolari provvidenze estese alle m. stesse. La disposizione costituzionale su cui s'impernia il sistema di tutela minoritaria non ha determinato, però, l'attuazione di una legge organica ad applicazione generale bensì l'adozione di una serie di interventi protettivi differenziati, adeguati a ciascuna delle comunità interessate. Questa linea applicativa rappresenta una costante della legislazione in materia, mirante, appunto, non alla realizzazione di una tutela globale ma di una tutela specifica dei singoli gruppi minoritari, per ciascuno dei quali hanno trovato applicazione misure adeguate e proporzionate alle peculiari esigenze di ognuno.
Minoranza tedesca in Alto Adige. - Con l'attuazione del cosiddetto ''pacchetto'' si è realizzato un ampio trasferimento di competenze dalla regione alle province autonome di Trento e di Bolzano, riguardanti non soltanto l'ambito tradizionale della legislazione di tutela minoritaria (istruzione, cultura, lingua) ma, in senso più ampio, anche settori economici attivati sul territorio d'insediamento della m. stessa. I principi ispiratori delle misure protettive a favore dei gruppi linguistici in Alto Adige sono: parità tra i diversi gruppi linguistici locali; tutela della minoranza tedesca e ladina (la condizione dei Ladini della provincia di Bolzano è però diversa da quella dei Ladini della provincia di Trento perché nella Val Gardena e in Val Badia si applicano strumenti di tutela più incisivi di quelli previsti per la Val di Fassa); criterio della proporzionale etnica nella rappresentanza degli enti locali e negli uffici pubblici (con un meccanismo di riserva dei posti di ruolo nelle pubbliche amministrazioni di cui un certo numero spetta agli appartenenti ai gruppi linguistici minoritari); disciplina dell'uso della lingua minoritaria negli uffici pubblici e nelle assemblee elettive, parificata a quella italiana che rimane la lingua ufficiale.
Minoranza francese in Valle d'Aosta. - Malgrado l'istituzione della regione a statuto speciale, all'ente regionale valdostano non è stata attribuita una competenza legislativa concorrente, motivo per cui sotto la sua potestà di attuazione e d'integrazione ricadono materie come l'istruzione elementare e media, l'industria e il commercio, le acque pubbliche, l'igiene e la sanità che nella regione Trentino-Alto Adige sono, invece, di competenza legislativa delle province autonome. Al sistema del separatismo linguistico adottato per la tutela dei cittadini alloglotti dell'Alto Adige e delle province di Trieste e di Gorizia, fa riscontro in Valle d'Aosta quello del bilinguismo totale. Alla comunità francofona è, infatti, riconosciuto l'uso della lingua francese, parificata a quella italiana, alla quale non è riservata però la qualifica di lingua ufficiale dello stato; pertanto gli atti pubblici possono essere redatti indifferentemente nell'una o nell'altra lingua, a eccezione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria scritti in lingua italiana (art. 38 statuto della Valle d'Aosta).
Nella ripartizione del personale di ruolo delle pubbliche amministrazioni, pur non essendo prevista l'applicazione del principio della proporzionale etnica, la compattezza del gruppo minoritario è, però, tutelata dallo statuto valdostano che prevede il requisito della conoscenza della lingua francese per i "funzionari originari della Regione" (art. 38, comma 3). La l. 16 maggio 1978 n. 196 ha stabilito che, per l'impiego di personale statale e di enti pubblici non economici, debbano essere effettuati appositi concorsi in Aosta con prove per l'accertamento della lingua francese (art. 51); ha sancito, inoltre, che la conoscenza della lingua francese insieme alla nascita e alla residenza nella Regione costituiscono titolo preferenziale sia per i trasferimenti di impiegati di qualunque carriera sia per l'assunzione di personale esecutivo e ausiliare negli uffici aventi sede nella Regione (art. 53). Lo statuto assegna alla Regione, da cui dipendono le scuole elementari e medie secondarie, competenze specifiche nel campo dell'istruzione e dell'insegnamento della lingua francese, consentendo l'insegnamento di alcune materie in quella lingua (art. 39). Il d.P.R. 31 agosto 1975 n. 861 ha inoltre dettato nuove norme in materia di personale e di organi collegiali della scuola, disponendo: l'istituzione di appositi ruoli del personale ispettivo, tecnico, direttivo e docente delle scuole elementari, secondarie e d'istruzione artistica della Valle d'Aosta; l'attribuzione al Consiglio scolastico regionale, oltre che delle competenze spettanti ai Consigli scolastici provinciali, anche delle competenze del Consiglio nazionale della pubblica istruzione in materia di stato giuridico; l'intercomunicabilità fra i ruoli nazionali e i regionali, previo accertamento della piena conoscenza della lingua francese, in caso di passaggio dai ruoli nazionali a quelli della Valle d'Aosta.
Minoranza slovena nel Friuli-Venezia Giulia. - Residente in massima parte nella provincia di Trieste, è presente in misura minore anche nelle province di Gorizia e di Udine. Nel secondo dopoguerra il problema della tutela della minoranza slovena stanziata nella provincia di Trieste fu rimesso, a seguito del Memorandum di Londra (1954), all'accordo internazionale siglato tra Italia e Iugoslavia che dette vita a uno statuto speciale di protezione minoritaria che ha cessato di avere effetto con la firma del trattato di Osimo (10 novembre 1975). In base a esso la tutela della m. slovena è divenuta oggetto esclusivamente delle norme di diritto interno, ferme restando, naturalmente, le misure adottate a favore delle rispettive m., italiana e slovena, e l'obbligo reciproco delle parti di mantenere il livello di protezione già accordato ai rappresentanti delle m. stesse. I nuovi eventi politici susseguitisi alla dissoluzione della Repubblica federativa socialista iugoslava e la conseguente creazione delle Repubbliche indipendenti di Slovenia e Croazia hanno nuovamente riportato alla ribalta il problema delle m., quella slovena in Italia e quella italiana divisa tra i due nuovi stati, e quello del loro trattamento mediante nuovi obblighi di reciprocità tra l'Italia e le formazioni statali recentemente sorte. Il 15 gennaio 1992 la Croazia ha firmato con l'Italia un Memorandum bilaterale sulla tutela dei diritti delle m., i cui contenuti non sembrano ancora trovare effettiva attuazione. Con l'ammissione della Slovenia al Consiglio d'Europa, implicante la ratifica e il rispetto di una serie di garanzie a favore delle m.n., si auspica che si crei un clima più positivo per la tutela dei diritti della comunità italiana. Se la costituzione slovena tutela in linea di principio tali diritti, l'obbligo anche per gli esuli italiani di acquisire la cittadinanza slovena per poter acquistare beni in quel paese e l'istituzione di un confine di fatto invalicabile tra Slovenia e Croazia, che costituisce un grave ostacolo alla libertà di movimento degli Italiani residenti nelle due repubbliche, rappresentano una palese violazione del Trattato di Osimo. Questo Trattato, oggi in fase di ridiscussione, è allo studio delle commissioni italo-slovena, italo-croata e italo-slovena-croata, per giungere al suo superamento con soddisfazione delle parti.
Anche in quest'area i problemi attinenti alla m. slovena sono affrontati dalla regione mediante disposizioni contenenti, nella maggioranza dei casi, prescrizioni di carattere organizzativo, come per es. l'inserimento di rappresentanti della m. slovena nei consigli e nei comitati consultivi delle amministrazioni regionali, consentendo così ad essi di partecipare alla gestione dei benefici previsti dalle leggi regionali (l. regionale 8 settembre 1981 n. 68). Per quanto attiene al campo dell'istruzione, l'organizzazione delle scuole slovene nelle province di Trieste e Gorizia è ispirata al principio del separatismo linguistico e la lingua veicolare d'insegnamento è quella slovena. Nel settore dell'istruzione universitaria la legge istitutiva dell'università di Udine (l. 8 agosto 1977 n. 546) tra le finalità riconosciute al nuovo ateneo ha posto in rilievo lo sviluppo e la conservazione della cultura, della lingua, della storia e delle tradizioni del Friuli, sebbene ciò appaia ridimensionato dal successivo provvedimento di attuazione (d.P.R. 6 marzo 1978 n. 102).
Negli ultimi anni vi sono state diverse iniziative parlamentari in materia di tutela delle m. linguistiche. In particolare nel corso della 10a legislatura si è giunti all'approvazione da parte della Camera dei deputati del testo unificato di un progetto di legge (21 novembre 1991 n. 612), intitolato Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche, che: sancisce l'impegno della repubblica alla tutela non soltanto della lingua ma anche della cultura delle comunità minoritarie; compie una distinzione tra popolazioni di antico insediamento (Albanesi, Catalani, Germanici, Grecanici, Slavi e Zingari) e quelle parlanti il ladino, il franco-provenzale e l'occitano, distinzione che non comporta alcuna disparità nella tutela prevista. Nella 11ª legislatura altre proposte di legge, che richiamano la precedente nei contenuti, sono in discussione nelle assemblee legislative.
Nell'agosto 1993 il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato una legge sull'uso e l'insegnamento della lingua e della cultura dell'isola suscitando, però, opposizioni e perplessità in diversi ambienti preoccupati dell'unità linguistica e culturale della nazione.
Bibl.: Sul concetto di minoranza v., tra gli altri, L. Rebulla, Le ''minoranze'': valenze politico-culturali, in Le ''minoranze'' nella Mitteleuropa (1900-1945). Identità e confronti, Atti del xxiv Convegno, Gorizia, 6-7-8 dicembre 1990, a cura di V. Peri, Gorizia 1991, pp. 31-34; Q. Principe, ''Minoranza'': la parola, l'idea, la realtà, ibid., pp. 35-40. Sulle m. in Italia: G. Valussi, Gli sloveni in Italia, Trieste 1974; S. Salvi, Le lingue tagliate. Storia delle minoranze linguistiche in Italia, Milano 1975; G. Vedovato, In tema di minoranze linguistiche, Firenze 1986; A. Ballone, Le minoranze assediate, Torino 1988; Lingua, cultura, educazione, a cura di S. Meghnaghi, Roma 1982; M. Olmi, Italiani dimezzati. Le minoranze etnico-linguistiche protette, Napoli 1986. Sul trattamento delle m. nell'ordinamento italiano: A. Pizzorusso, Le minoranze nel diritto pubblico interno, 2 voll., Milano 1967; Id., Il pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie regionali, Pisa 1975; T. De Mauro, La tutela del patrimonio dei diritti linguistici delle popolazioni italiane, in Città e regioni, 8 (1975), pp. 131 ss.; A. Pizzorusso, Minoranze etnico-linguistiche, in Enciclopedia del Diritto, xxvi, Milano 1976, pp. 527 ss.; P. Carozza, Lingue (uso delle), in Novissimo Digesto Italiano, Appendice, iv, Torino 1983, pp. 976-88; S. Bartole, Minoranze nazionali, ibid., v, Torino 1984, pp. 44-53; U. Corsini, La tutela delle minoranze linguistiche, in Nuovi studi politici, 14 (1984), pp. 37-62; M. Stipo, Minoranze etnico-linguistiche, in Enciclopedia Giuridica, xx, Roma 1990; G. Dammaco, L'attività regionale per la tutela delle minoranze linguistiche: ambiti e potenzialità di intervento, in Il diritto di famiglia e delle persone, 19 (1990), ii, pp. 1005-19; R. Barbagallo, La regione Valle d'Aosta, Milano 19914.