di Paolo Maggiolini
Le comunità cristiane stanziate in Medio Oriente vivono un periodo di grande difficoltà, sintomo di una crisi più profonda che coinvolge anche la componente intra-musulmana, minando le basi e gli assetti del convivere pacifico all’interno della regione. Gli scontri in corso in Iraq e in Siria, dove l’autoproclamato Stato islamico (Is) minaccia il futuro delle minoranze religiose locali costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire, rafforza questa preoccupazione. Ciò che colpisce non è solo l’ampiezza dell’arco di crisi ma anche la complessità di una congiuntura che vede il pericoloso rinsaldarsi di dinamiche locali e regionali in un circuito vischioso di violenza e scontro senza apparente soluzione di continuità. Attualmente non solo la via per una risoluzione delle diverse crisi appare ancora lontana e di difficile previsione, ma sfuggono anche i contorni politici, sociali e demografici su cui tentare la ricostruzione e la ridefinizione dei futuri assetti mediorientali post-crisi. All’interno di questo preoccupante orizzonte, la condizione delle minoranze, in particolare quelle cristiane, appare quanto mai incerta e la loro significativa sopravvivenza demografica torna in questione a quasi cento anni dai massacri occorsi a cavallo della Prima guerra mondiale. La tentazione di leggere le attuali dinamiche come la conferma di un ineludibile e atavico scontro tra islam e cristianesimo guadagna sempre più terreno. In verità, l’attuale crisi evidenzia piuttosto l’incompiutezza e la debolezza degli equilibri politici e sociali su cui è stato fondato l’ordine regionale mediorientale alla fine della Prima guerra mondiale e quindi anche la specifica collocazione delle comunità non-musulmane.
Il cristianesimo orientale ha dovuto spesso affrontare sfide e prove sin dai tempi della conquista islamica. Ciononostante, la perseveranza delle comunità cristiane ha consentito la sopravvivenza della loro ricca complessità ecclesiologica, che è poi viva e attuale testimonianza delle origini e della storia del cristianesimo. Allo stesso tempo, seppur evitando ideologizzazioni, ciò è anche potuto avvenire grazie allo specifico sistema politico islamico pre-moderno che ne ha garantito e tollerato la presenza pur all’interno di una dimensione giuridica inferiore rispetto a quella musulmana. Paradossalmente, questo sottile equilibrio è iniziato a mutare in modo preoccupante proprio durante la stagione che avrebbe dovuto salutare il loro riscatto. La fondazione degli stati arabi moderni, infatti, avrebbe dovuto assicurare la loro emancipazione e piena cittadinanza, preservandone anche le specificità attraverso la loro protezione secondo lo status di minoranza religiosa. Ciononostante, la storia contemporanea del cristianesimo orientale appare come una lunga stagione di crisi e di lenta, ma costante, diminuzione demografica. Il peculiare sistema di garanzie delle minoranze religiose e l’imposizione della logica dello stato nazione ha di fatto solo apparentemente garantito la sopravvivenza delle numerose e differenti comunità cristiane mediorientali. In realtà, le ha piuttosto ‘rinchiuse’ all’interno di un recinto giuridico limitato e dipendente dall’autorità centrale, sempre soggette a dover provare la loro lealtà nei confronti del potere costituito stesso e dell’identità della maggioranza. Tale interpretazione dello status giuridico di minoranza religiosa le ha private della possibilità di giocare pienamente un ruolo nello spazio pubblico, costringendole al silenzio e al sostegno dello status quo, anche autoritario, a patto che fosse in grado di assicurarne l’esistenza.
Di fatto, non è possibile ignorare che la presenza cristiana nelle regioni che hanno visto la sua nascita conti il più piccolo numero di fedeli (circa 13 milioni) e la più bassa concentrazione (circa il 4%) a livello mondiale. Tra il 1900 e il 2010 la presenza cristiana nella regione ha vissuto un costante declino passando dal 10% al 5%. Il minor tasso di crescita e la più marcata propensione a lasciare l’area rispetto alla componente musulmana, più per ragioni economiche che propriamente politiche, spiega in parte questa dinamica di lenta scomparsa e invecchiamento. Attualmente è la guerra che ne minaccia il futuro, potenziando all’esasperazione quella propensione all’immigrazione già marcata da decenni. L’arco di crisi attuale li vede obiettivamente oppressi sotto molti punti di vista. I cristiani in Medio Oriente non sono solo vittime degli scontri al pari dei loro concittadini musulmani, ma sono anche obiettivi della strategia omogeneizzante di formazioni jihadiste come Is. Essi sono inoltre ostaggi di regimi autoritari che manipolano lo scontro religioso e la logica settaria, per esempio nella Siria di Bashar al-Assad, o prigionieri di pericolose derive autoritarie di fronte al timore di peggiori deviazioni, come nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi dopo l’esperienza di Mursi. Infine, i cristiani sono sempre più costretti a posizioni ‘residuali’, schiacciati da logiche conflittuali irriducibili, come avviene nell’area israelo-palestinese. In tale orizzonte resistono solo piccoli rifugi, sempre più provati dalla pressione dei rifugiati e dal peggioramento della situazione regionale, come in Giordania e in Libano, che rischiano drammaticamente di rimanere isolate testimonianze della millenaria presenza cristiana nella regione.