CAPELLA, Minneo Felice Marziano (Minneius Felix Martianus Capella)
Scrittore africano del sec. IV-V d. C.; nativo di Madaura, secondo Cassiodoro, di Cartagine, secondo la soscrizione del codice di Bamberga. Certamente la metropoli africana dovette attirarlo a sé e ivi egli visse e scrisse prima indubbiamente che la città fosse presa dai Vandali (439), o forse anche prima che i Vandali sbarcassero in Africa (429).
Qualunque fosse il titolo della sua opera - De nuptiis Mercurii et Philologiae dice Fulgenzio, De nuptiis Philologiae una soscrizione del Bambergense al l. II - essa rappresenta l'estremo prodotto, a intonazione neoplatonica, della cultura pagana in Africa. Siamo al confine di due mondi, e a una stretta aderenza alle dottrine e alle credenze del passato fa riscontro una maniera quanto mai nuova e strana di presentar le cose. La forma è di satura nell'antico senso enniano e varroniano, colorito miscuglio d'argomenti, in prosa e in versi, al modo di Menippo e poi di Varrone, di Petronio, di Giulio Valerio nel rimaneggiamento del romanzo greco d'Alessandro: versi di metro diversissimo, ma specialmente esametri, distici elegiaci e senarî giambici. Enciclopedia delle arti liberali, insomma, faticosamente narrata sopra uno sfondo fantastico di romanzo allegorico, dove il comico si confonde col serio, e la satira varia i toni, aspra o triste, iocabunda o lepidula, con la pretesa, dunque, di ridare gli spiriti della maniera sua più antica e della più recente. Un canto d'Imene apre la favola: sposo è Mercurio, sposa Filologia, intermediario Apollo, assenzienti gli dei tutti. A festeggiare la sposa sono, con Riflessione - sua madre -, le Muse, le Virtù cardinali, le Grazie. Atanasia, compagna d'onore, la conduce tra i celesti; Apoteosi, la madre di Atanasia, le offre il nappo dell'immortalità. Doni nuziali, dotales virgines, sono le sette Arti liberali, ancelle della casa dello sposo, le quali facendosi innanzi coi loro attributi e caratteri espongono via via in sette discorsi successivi e altrettanti libri, dopo i due che dànno il quadro generale dell'azione, il saper loro, finché la sera tronca la scena, e due Arti, l'Architettura e la Medicina, rimangono senza parlare. Così il numero nove delle Arti varroniane ritorna qui per le ancelle presenti al consesso divino, ma si riduce poi a sette, restando esso tuttavia nei libri dell'opera.
La costruzione, pur confondendo elementi in contrasto, offre lati interessanti: l'elemento allegorico, anzitutto, che all'astratta mente degli Africani fu così caro. Capella muove dalla favola apuleiana di Amore e Psiche, in cui non scorge che un'allegoria, e dell'allegoria fa caposaldo per il suo edificio, creando così il romanzo allegorico, forma letteraria che doveva assicurare la fortuna all'opera di C. per più secoli, attraverso Securo Memore Felice e il grammatico Deuterio, che probabilmente nel 535 ne rividero insieme il testo, l'africano Fulgenzio, l'irlandese Dunchad, Giovanni Scoto, Notkero, Bartolomeo Anglico, Alano de Insulis, Giovanni Ridewall. L'allegoria coinvolge il mondo umano e divino; e la dottrina cosmologica si associa a renderla più sapida per il Medioevo, con l'allegoresi dei due viaggi celesti di Mercurio e della Virtù in cerca di Apollo e di Filologia fatta oramai divina. Era la cornice ideale, per i nuovi tempi, di un'introduzione alla cultura antica; il cui compendio è basato su ottime fonti, particolarmente Varrone, pur recando l'impronta evidente della fretta e dell'abborracciamento. Di suo C. aggiunge poco: di autori più recenti conosce gli Africani, particolarmente Apuleio. Il versificatore è ancor relativamente vicino alla tradizione classica, nella tecnica formale come nella prosodia, tranne qualche caso in cui l'accento della parola ha ragione sulla quantità; il prosatore non ha né garbo né grazia, è fuori d'ogni tradizione, salvo quel che c'è di meno buono in Apuleio e negli scrittori del suo paese. Il nuovo urta con l'antico, il volgare col ricercato e il raffinato, l'espressione poetica con la prosaica più piatta. Questo libro è ciò che di più peregrino ci sia pervenuto della letteratura pagana latina.
Ediz.: Numerosissimi i mss., parte completi, parte no, parecchi ancora inesplorati: i più antichi dei noti risalgono al sec. X. Edizione principe di Vitale Bodiano (Vicenza 1499); quindi B. Vulanius (Basilea 1577), Ugo Grozio (Leida 1599), U. F. Kopp (Francoforte 1836) con commento e ricche note di studiosi anteriori. L'edizione di F. Eyssenhardt (Lipsia 1866) segna piuttosto un regresso: oggi buona quella di A. Dick (Lipsia 1925), ma non fondata sufficientemente sull'ampio materiale paleografico e sugli autori e i trascrittori di Capella (v. C. Barwick, in Gnomon, II, 1926, p. 182 segg.).
Bibl.: Oltre alla letteratura citata in Schanz, Römische Litteraturgeschichte, IV, Monaco 1920, p. 169 segg., v.: P. Monceaux, Les Africains, Parigi 1894, p. 453 esgg.; O. Jahn, in Berichte d. sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften, III (1851), p. 350 segg.; C. Morelli, in Studi di filologia classica, XVII (1909), p. 252 segg.; F. O. Stange, De re metrica M. Capellae, Lipsia 1882; A. Sundermeyer, De re metrica et rhythmica M. Capellae, Marburgo 1910.
Nella storia della musica del primo Medioevo hanno particolare importanza gli scritti di C. dedicati alla musica, e precisamente il IX libro del De nuptiis Mercurii et Philologiae, De musica, e anche i varî riferimenti da Aristide Quintiliano, contenuti nei primi due libri dell'opera. Hanno un valore informativo, soprattutto, e trovano posto fra gli scritti di Macrobio e quelli di Boezio. Riassumono i concetti dei teorici musicali greci, particolarmente degli scrittori dei secoli dal I al IV.
Nel sec. IX Remigio d'Auxerre sciisse un importante commentario alla parte musicale del De nuptiis. All'età del Rinascimento gli scritti di C. trovarono particolari cure da parte dei musici umanisti. Infatti Ercole Bottrigari, (sec. XVI) ne progettava una traduzione in volgare (manoscr. nella bibl. del Liceo music. di Bologna. Vedi G. Gaspari, in Atti e Memorie della R. Deput. di St. Patria per la Romagna, Bologna 1876).
Bibl.: Gli scritti musicali di M.C. sono stati pubblicati a stampa già allo scadere del sec. XV, Vicenza 1499, e anche Leida. Il De musica appare, dopo Aristide Quintiliano, in Antiquae Musicae Auctores Septem, del Meibom, Amsterdam 1652. Il Gerbert (Scriptores, I, 63-94), pubblicò insieme col testo di M.C. il commento famoso di Remigio d'Auxerre. Seguono le altre edizioni fino a quella cit. del Kopp (1836). Cfr. H. Deitesr, Über das Verhältnis des Martianus Capella zu Aristides Quintilianus, in Posener Gymnasial-Programm, 1881; W. Brambach, Die Musikliteratur des Mittelalters, Karlsruhe 1883; H. Abert, Die Musikliteratur des Mittelalters und ihre Grundlagen, Halle 1905.