miniatura
L'interesse di D. per la m. è testimoniato in Pg XI 79-84, ove il compiacimento del poeta per l'incontro con Oderisi da Gubbio e l'elogio che questi fa di Franco Bolognese, il maggiore miniatore della nuova generazione, rivelano un fervore non dissimile da quello con cui il poeta si avvicinò o attese alle altre arti. Del resto, oltre alla conoscenza personale di Oderisi, che attesta anche con i miniatori la familiarità che egli ebbe con i pittori, è la precisione della terminologia a confermare in D. un così vivo interesse. Egli usa infatti il verbo ‛ alluminare ' dal francese enluminer, proprio alla maniera di coloro - evidentemente esperti dell'arte - dei quali parla Salimbene quando afferma nella sua Cronica (ediz. Scalia, p. 262): " miniare, quod aliqui illuminare dicunt pro eo quod ex minio liber illuminatur ". Inoltre D. mostra in diverse occasioni una padronanza assoluta nel distinguere i colori, che indica con precisi termini tecnici (Cv IV XX 2, If XVII 63, XXXIV 43, Pg II 9, VII 73-75), gli stessi che ricorrono nei ricettari per i pittori, nonché per i miniatori del tempo. Tuttavia questo convalida piuttosto la fondata ipotesi di una sua pratica della pittura, suggerita tanto dal passo della Vita Nuova in cui D. dice che nell'anniversario della morte di Beatrice, nel ricordo di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette (XXXIV 1-3) quanto dalla precisazione di Pg XII 64-66, dove distingue il chiaroscuro dalle linee, le ombre che si ottengono dipingendo dai tratti che si disegnano e soprattutto dimostra di sapersi servire di questi mezzi, e ancora dalla successiva affermazione di Pg XXII 74-75 ma perché veggi mei ciò ch'io disegno, / a colorare stenderò la mano.
Tali passi, infatti, provano che la testimonianza della Vita Nuova si riferisce non all'esercizio della m., come vuole il Sapegno (Pg XI 81), ma a quella della pittura, tanto più che dal Libro dell'Arte di Cennino Cennini apprendiamo che il disegno sulla tavoletta era una vera e propria preparazione per l'opera pittorica. Comunque l'ipotesi che D. si dilettasse anche della m. può essere avanzata indipendentemente dal ricordo che è nella Vita Nuova, perché se allora i pittori erano per lo più anche miniatori, sembra plausibile pensare che D., come attendeva alla pittura, così non disdegnasse ‛ pennelleggiare ' le carte. Ma, supposizioni a parte, è da sottolineare che in diversi punti della sua opera risulta che egli ebbe familiarità con i codici miniati non solo del suo tempo. La stessa immagine della lonza leggiera e presta molto, / che di pel macolato era coverta (If I 32-33) pare suggerita dall'iniziale di un codice molto antico, i Dialoghi di s. Gregorio scritti e miniati a Bobbio nel 747 circa, ora nella biblioteca Ambrosiana di Milano (cod. B 159 sup.), così come dall'Exultet che si conserva nel museo Civico di Pisa (n. 3) il poeta può aver tratto spunto per gli astor celestiali della valletta amena dell'Antipurgatorio, mossi appunto da verdi penne (Pg VIII 28-36 e 103-105). E ancora dalle iniziali di taluni codici veronesi (mss. 740-742 della biblioteca Comunale di Verona), ornate da serpenti, sembra influenzata la rappresentazione di Gerione in If XVII 1-30, mentre è evidente, nella mistica processione del Paradiso terrestre (Pg XXIX 70-154), il riecheggiamento dell'Apocalisse raffigurata nell'Evangeliario Vaticano Latino 39 proveniente appunto da Verona, dove probabilmente il manoscritto fu visto da Dante. Il coro dei ventiquattro seniori sembra infatti ripreso da quella raffigurazione, anche se in essa i vegliardi sono coronati da cerchi aurei e non dal fiordaliso. Ma questo motivo squisitamente gotico appare desunto insieme ad altri, come quelli del drago e del mostro sempre nel Paradiso terrestre (Pg XXXII 130-147) e insieme al gusto per le eleganze lineari e per le raffinatezze cromatiche, dalla m. che veniva di Francia e che in Bologna trovava particolare accoglienza.
D'altronde questa familiarità con i codici miniati e soprattutto l'interesse per la m. del suo tempo e quindi la sensibilità per gli orientamenti nuovi fanno intendere a D., in parallelo a quanto egli avverte per la pittura e per la poesia, la posizione del maggiore miniatore della seconda metà del Duecento, che egli ha conosciuto e onorato, e quella del più grande maestro della generazione seguente la sua. Di qui dunque la conoscenza che noi abbiamo di Oderisi da Gubbio (v.) e di Franco Bolognese (v.), dei quali senza il ricordo di D. nulla sapremmo, in quanto di essi non ci sono pervenute opere, e inadeguate a identificarne la produzione sono le notizie a noi giunte del primo. E a parte la ricostruzione che dell'uno e dell'altro la critica si è industriata a fare, è proprio il giudizio di D. che ci consente di ritenere Oderisi e Franco come i più grandi maestri della m. italiana del Duecento, l'uno, per dirla con li Longhi, " il primo protagonista ", l'altro l'interprete più alto del gusto della nuova generazione.
Per la parte avuta dalla m. nell'illustrazione dell'opera dantesca, v. sotto le varie opere: COMMEDIA: Miniature; Vita Nuova.
Bibl. -F.X. Kraus, D.-Sein Leben und sein Werk, Berlino 1897; V. Zabughin, L'arte del minio veronese al tempo di D., in D. a Verona, Verona 1921; Zingarelli, Dante 163 ss.; R. Roedel, Il sussidio delle arti figurative nella interpretazione dei velami della D.C., in Atti del V Congresso internazionale di Lingue e Letterature moderne, Firenze 1955, 47-54; V. Mariani, D. e l'arte, in Conversazioni d'arte, Napoli 1957, 5-19; R. Assunto, Concetto dell'arte e ideali estetici in D., in La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano 1961, 259-284; V. Mariani, D. e Giotto, in " Il Veltro " XI (1967) 751-764; F. Bellonzi, La Vita Nuova, le Rime e la cultura figurativa in Toscana al tempo della giovinezza di D., ibid., 765-773; F. Ulivi, L'esperienza figurativa nella Commedia, ibid., 789-801; M. Agrimi, Aspetti di una dottrina sull'arte in D., ibid., 815-833. Per il ricordo di Oderisi da Gubbio e di Franco Bolognese: G. Zaccagnini, Personaggi danteschi in Bologna. Oderisi da Gubbio, in " Giorn. stor. " LXIII (1914) 20 ss.; P. D'Ancona, L'arte di Oderisi da Gubbio, in " Dedalo " II (1921-22) 89 ss.; F. Filippini, Oderisi da Gubbio, in " Il Comune di Bologna ", Bologna 1933, 31-40; R. Longhi, Apertura sui Trecentisti umbri, in " Paragone " 191 (1966) 3-17; ID., Postilla all'apertura sugli umbri, ibid. n. 195 (1966) 3-8; M. Rotili, La miniatura gotica in Italia, Napoli 1968, I 55-56.