Minerva
Atena o Pallade, che i Romani identificarono con M., fu una tra le divinità più onorate dall'antichità. Nata dal capo di Zeus vergine guerriera (e perciò rappresentata armata di elmo e lancia e munita dell'egida con la testa di Medusa: vedi Ovid. Met. IV 798-803), fu tuttavia considerata prevalentemente dea dell'intelligenza, delle scienze e delle arti, e le si attribuirono l'invenzione dell'aratro, della filatura, della tessitura e l'introduzione dell'ulivo: per quest'ultimo ottenne, in gara vittoriosa con Nettuno, di dare il nome alla città di Atene.
Molti sono i miti che parlano della dea: i più noti riguardano il mostro Erittonio (da M. affidato alle figlie di Cecrope), la punizione di presuntuose temerarietà (Aracne, che osò sfidare M. nell'arte del tessere, fu da lei mutata in ragno), il Palladio (una statua della dea garantiva ai Troiani l'imprendibilità della loro rocca). Rimane assolutamente laterale, e comunque estraneo all'opera dantesca, il fatto che, in considerazione dei numerosi ed eterogenei attributi di questa divinità, i mitografi sulla scorta di Cicerone (Nat. deor. III XXIII) distinsero ben cinque diverse Minerve.
D. in Cv II IV 6 nomina Pallade o vero Minerva come esempio di idee universali (in questo caso, la sapienza) che l'errore pagano ritenne di dover personificare in divinità. Diversa interpretazione appare negli scritti successivi. Se entro il campo della reminiscenza erudita rimangono certamente il generico accenno alla gara con Nettuno per Atene (Pg XV 97-98 la villa / del cui nome ne' dèi fu tanta lite; cfr. Met. VI 70-102) e l'allusione al vivo desiderio che spinse M. a vedere l'Elicona (Ep XIII 3 velut Pallas petiit Elicona, Veronam petii; cfr. Met. V 250-272) - e fors'anche la menzione del ratto del Palladio tra le colpe di Ulisse (If XXVI 63 del Palladio pena vi si porta; cfr. Aen. II 163-175): ma D. condanna con seria severità quell'atto sacrilego -, più problematiche e ricche di suggestioni sono le altre citazioni.
Infatti con Giove e Apollo M. è la divinità pagana che nelle chiose medievali più va soggetta a interpretazione in chiave cristiana (cfr. H. Th. Silverstein, in " Modern Philology " XLVI [1948] 92-116): poiché, nata dalla testa stessa dell'Onnipotente, e vergine cioè integra e perfetta, M. sembrò significare quella Sapienza che muove da Dio; non di rado proprio a proposito di M. veniva perciò addotto il versetto biblico dedicato alla Sapienza, " Ego ex ore Altissimi prodivi " (Ecli. 24, 5), anche perché l'ulivo ne è uno dei simboli (cfr. Ecli. 24, 19 " quasi oliva speciosa in campis "): onde Beatrice appare a D. coronata appunto delle fronde di Minerva (Pg XXX 68). Da interpretare in chiave biblico-cristiana, secondo il senso figurale, è pertanto l'esempio di superbia punita scolpito nella prima cornice purgatoriale: Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, / armati ancora, intorno al padre loro, / mirar le membra d'i Giganti sparte (Pg XII 31-33; cfr. Theb. II 597-599), dove le tre divinità significano attributi dell'unico vero Dio. M. comunque - se non proprio della somma sapienza del Figliuolo (Cv II V 8): come però è tutt'altro che da escludere - è figura certamente della sapienza che proviene da Dio, come ribadisce anche la protasi di Pd II 8 Minerva spira, e conducemi Appollo, / e nove Muse mi dimostran l'Orse: dove Apollo è figura dello Spirito Santo (v. APOLLO) e M. quanto meno è colei la cui virtù produce frutti di gran lunga superiori a quelli delle Muse (cfr. Met. V 269 " nisi te virtus opera ad maiora tulisset ").