MĪMĀṂSĀ ("investigazione, indagine, dichiarazione")
Ā Uno dei sei sistemi filosofici dell'India (propriamente tre, giacché ciascuno di essi ha il suo complemento in un altro). È con gli altri cinque Sāṃkhya-Yoga, Uttaramīmāṃsā, Nyāya-Vaiśeṣika, considerato ortodosso perché ammette l'autorità infallibile del Veda, increato ed esistente ab aeterno (e per ciò tale da escludere la necessità di un creatore) e riconosce i privilegi dei brahmani.
È costituito di due parti strettamente connesse l'una all'altra, ma pur distinte e pur contrastanti, specie in trattazioni posteriori alle redazioni dei primi testi: l'una, detta Pūrva-Mīmāṃsā "Prima, anteriore indagine" o Karma-Mīmāṃsā "Indagine dell'opera (sacrificale)" o, semplicemente, Mimāṃsā; l'altra: Uttara-Mīmāṃsā "Seconda, posteriore indagine" o Brahma-Mīmāṃsā "Dichiarazione dell'anima universale" o Śāriraka-Mīmāṃsā "Indagine dell'anima" o finalmente Vedānta "Fine del Veda". La Mīmāṃsā, attribuita a Jaimini, ed esposta nel Mīmāṃsasūtra, di età indeterminata, dotato di un commento di Śabarasvāmin (secoli III-VI d. C.) e di un supercommento, in varie parti (Mimāṃsāślokavārttika o Ślokavārttika; Tantravārttika, Tupṭīkā di Kumārilabhaṭṭa, sec. VIII); esposta pure da Mādhavācārya nella Jaimimīyanyāyamālā (sec. XIV) e in un manuale di avviamento per principianti, l'Arthasaṃgraha di LaugākŞi BhāŞkara (sec. XVI), non è, a differenza del Vedānta (il cui fine è la conoscenza, attraverso la speculazione filosofica, dell'unità dell'anima individuale con l'universale), un sistema filosofico vero e proprio, ma un insieme di nozioni per un'esatta interpretazione del rituale del Veda. Ma tale esposizione, diretta a ottenere il buon compimento del sacrificio (mezzo questo a grandi ricompense, come, al contrario, grave danno apporta certamente qualsiasi errore che venga compiuto nel suo rituale), ha fatto sì, per la forma spesso filosofica dell'esposizione e per l'accennata stretta connessione col Vedānta, che la Mīmāṃsā venisse compresa tra i sistemi filosofici. In 915 capitoli del Mīmāṃsāsūtra di Jaimini, si contiene difatti ogni questione che sia possibile fare intorno al rituale. La massima ampiezza della discussione comprende cinque punti diversi: 1. la proposizione (viṣaya; es.: l'asserzione che il Veda è eterno e increato - ripete, cioè, la sua origine da sé stesso - e infallibile e noto ai veggenti patriarchi, ṛṣi, che l'hanno trasmesso agli uomini, per rivelazione); 2. il dubbio sull'esattezza e verità della proposizione (saṃcaya; es.: dubbî sulle qualità del Veda); 3. la tesi avversaria (pūrvapakṣa; es.: l'esistenza di nomi di uomini nel Veda e di personaggi storici e la narrazione in esso di fatti favolosi); 4. la replica (uttarapakṣa); 5. l'attinenza (saṃgati): la dimostrazione, cioè, della verità per mezzo di altre che la suffragano (es.: essendo eterno il suono, eterno è pure il "significato della parola", che di suoni risulta). Ne consegue che una parola è connessa col suo significato, non per convenzione, ma per natura. Ora, siccome il Veda è costituito di parole rispondenti ciascuna al suo significato, così esso è infallibile.
Ediz. e traduz.: Mīmāṃsādarśana, ed. Nyāyaratna, Calcutta 1889 (Bibliotheca Indica); Mīmāṃsālokavārttika, ed. Tailānga, Benares 1898-1899 (Chowkhamba Sanskrit Series); traduzione inglese di Gaṅgānātha Jhā, Calcutta 1903-06 (Bibl. Ind.); Arthasaṃgraha, ed. e trad. di G. Thibaut, Benares 1882 (Benares Sanskr. Ser.), con esposizione del sistema della Pūrva-Mīmāmsā nell'introduzione all'edizione; traduz. del comm. di Śabarasvāmin al Pūrvamīmāṃsūtra (Bibl. Ind., 1873 segg.) per opera di Gaṅgānātha Jhā, Sacred Books of the Indus, X, 1910.
Bibl.: Ampia esposizione in: A. B. Keith, The Karma-Mīmāṃsa, Calcutta e Londra 1921; F. Belloni Filippi, I maggiori sistemi filosofici indiani, Palermo s. a., p. 39 segg.; Surendarnath Dasgupta, A History of Indian Philosphy, Cambridge 1922, I, p. 367 segg.