MILEŠEVA
Monastero che sorge nei pressi della cittadina di Prijepolje, nella Serbia occidentale, in una regione che nel Medioevo fece parte del regno di Raška, ovvero dell'antico regno di Serbia. Il monastero di M. fu fondato nella prima metà del sec. 13° da Ladislao I (1234 ca.-1243) e nel 1237 venne prescelto come luogo di sepoltura di s. Saba di Serbia (m. nel 1235), zio del fondatore. Grazie alla devozione per questo personaggio M. ottenne il secondo rango nella gerarchia ecclesiastica locale dopo Studenica, luogo di sepoltura di s. Simeone, al secolo Stefano Nemanja, capostipite della dinastia regale serba.Nei secoli successivi il complesso monastico fu al centro di molti avvenimenti e subì notevoli devastazioni, prima nel corso della conquista turca (1459), culminata con la sottrazione delle reliquie di s. Saba (1594), poi a causa del suo coinvolgimento nelle guerre balcaniche. Dell'insieme originario rimangono quindi oggi solo l'edificio chiesastico dedicato all'Ascensione, assai restaurato e rimaneggiato, e parte degli affreschi che lo decoravano.La chiesa, dalla peculiare pianta a cannocchiale, più espansa in larghezza nella zona absidale, doveva in origine comprendere un naós di dimensioni piuttosto ridotte, coperto da un'altissima cupola su tamburo, e un ampio nartece a cui venne poi aggiunto un esonartece a due piani, che inizialmente ospitò la sepoltura di s. Saba. In un secondo tempo il nartece venne accorpato al naós, evidentemente al fine di ingrandire quest'ultimo attraverso la quasi totale demolizione del muro di separazione tra i due ambienti. Non è stato a tutt'oggi possibile definire con precisione gli anni di costruzione dell'edificio; le datazioni proposte si fondano su considerazioni di carattere storico e sull'esame dei numerosi e assai vivi ritratti presenti nel ciclo di affreschi, raffiguranti i ss. Simeone e Saba, i re Stefano Primo Coronato (m. nel 1228 ca.), Radoslav e Ladislao - presente due volte nel naós e nel nartece, in veste di donatore - e un imperatore nella qualità di alto sovrano, identificato da alcuni con Giovanni III Ducas Vatatze (1222-1254), da altri con lo zar bulgaro Ivan Asen II (1218-1241).In base all'esame di questi ritratti, la datazione tra 1220 e 1228, che sembra essersi attestata negli studi recenti, appare come la più probabile; infatti Ladislao era raffigurato in origine senza corona e al terzo posto dopo il padre e il fratello (gli affreschi sono stati parzialmente ridipinti nel sec. 17°, ma questo nuovo strato pittorico, oggi quasi completamente caduto, non ha danneggiato lo strato sottostante); s. Saba apparirebbe ancora vivo e nelle vesti di arcivescovo della Chiesa autocefala di Serbia, indicando una datazione post 1220 (Nagorni, 1982, p. 160); il re Stefano Primo Coronato è anch'esso presentato come vivente; per l'imperatore l'identificazione più probabile è quella con lo zar bulgaro Ivan Asen II, la cui figlia andò in sposa a Ladislao.Anche per quanto riguarda gli affreschi, di qualità assai alta e di intonazione aulica, non c'è totale accordo tra gli studiosi né sulla definizione né sulla datazione delle diverse fasi, né sull'origine serba o bizantina degli artisti impegnati nell'impresa (non sembra infatti opportuno dar credito alle teorie che vi individuano consistenti apporti occidentali). È indubbio però che il ciclo del naós e del nartece appartiene a una prima fase, mentre quello dell'esonartece, di qualità meno elevata - con una peculiare versione del Giudizio universale probabilmente ispirata dall'omelia del sec. 4° sulla seconda venuta di Cristo di Efrem Siro (Radojčić, 1963a, p. 70) -, potrebbe situarsi poco dopo la morte di s. Saba, se non addirittura dopo il 1243 (Radojčić, 1963a), data della deposizione di Ladislao, il quale, fattosi monaco, si ritirò proprio a Mileševa.Gli affreschi del naós e del nartece - che qualche studioso ha voluto appartenenti a due fasi pittoriche diverse, ipotizzando l'attività di una scuola di corte e di una scuola monastica (Radojčić, 1963a) - presentano quattro scene principali nelle campate semicircolari immediatamente al di sotto del tamburo: l'Apparizione di Cristo agli apostoli prima dell'Ascensione, la Deposizione, la Comunione degli apostoli e la Trasfigurazione. Compaiono poi i cicli delle Feste e della Passione, nonché innumerevoli ritratti di santi, a figura intera e in medaglioni, con una preminenza di santi militari nel naós e di santi monaci o eremiti nel nartece. La parete di comunicazione tra i due ambienti presenta tracce di una grande Dormizione della Vergine. Irrimediabilmente perdute sono le decorazioni pittoriche della cupola e dell'abside.Gli affreschi sono disposti sulle pareti in maniera non canonica poiché le scene si snodano da destra verso sinistra e dall'alto in basso; il fatto che taluni cicli inizino nel naós e si concludano nel nartece - insieme a una certa omogeneità stilistica - lascia invero pensare che tali affreschi appartengano alla medesima fase di decorazione, anche se è possibile distinguere da due (Babić, 1991) a otto mani (Nagorni, 1982). Ciò che maggiormente differenzia i due diversi spazi è in effetti il piano di fondo, azzurro nel nartece, aureo e lavorato per sembrare realizzato con tessere musive nel naós: quest'ultimo dettaglio, presente già a Studenica e in seguito impiegato anche negli altri monasteri serbi di Sopočani e Gradac, ha fatto supporre che i maestri attivi qui si siano formati in una bottega di musivari. Discussa è anche la nazionalità degli artefici, secondo alcuni costantinopolitani (Stojković, 1963; Nagorni, 1982; Babić, 1991), secondo altri serbi (Okunev, 1937; Grabar, 1953; Radojčić, 1963a; 19852; Lazarev, 1967). In ogni caso, non sembra costituire un dirimente elemento di prova il ritrovamento di una serie di nomi scritti in serbo che potrebbero costituire sia le firme degli artisti, sia indicazioni ai pittori sul luogo ove posizionare le diverse figure dei santi - suffragando così in entrambi i casi l'ipotesi di un'origine serba dei pittori -, sia tracce grafiche destinate ai calligrafi, certamente serbi, che in caratteri cirillici scrissero i nomi dei santi vicino alle immagini. In ogni caso, sulla base degli elementi stilistici, l'ipotesi di una matrice greca almeno dei maestri principali rimane la più probabile.
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