Unamuno, Miguel de
Scrittore e filosofo spagnolo (Bilbao 1864 - Salamanca 1936); per la sua caratteristica problematica sulla vita, la morte e l'aldilà dimostra una larga conoscenza dell'opera dantesca. I riferimenti e la lezione della Commedia non sono assenti in nessuno dei generi cui U. fu portato dalla vastità dei suoi interessi letterari, dagli articoli giornalistici al romanzo, dal saggio filosofico alla poesia. Anche il carattere specifico della menzione abbraccia un ampio giro di atteggiamenti che vanno dai giudizi di valore alla semplice citazione e dal riconoscimento dell'affinità biografico-passionale alla ricreazione lirica. Più che un significato aneddotico ha un valore altamente indicativo il fatto che quando U. andò in esilio alle Canarie - anch'egli come D. per motivi politici - portò con sé, con il Nuovo Testamento in greco, solo due opere: la Commedia e i Canti leopardiani nelle edizioni Barbera.
Se già nel 1911 aveva recisamente dichiarato, in uno dei tanti articoli che scrisse, " Dante, questo formidabile fiorentino che è una delle mie debolezze ", più di quindici anni dopo, in Cómo se hace una novela, ribadisce: " Scelgo per me la fantasia e la passione di Dante ". Su questa scia, Mosè e s. Paolo sono per lui, assieme a D., i " tre grandi iracondi della storia ". Torna anche spesso sull'universalità dell'italiano, che viene paradossalmente giustificata perché D. fu il più fiorentino dei fiorentini del secolo XIII in quanto " l'universalità non è il cosmopolitismo ". Nell'ambito di una concezione ancora ottocentesca, D. è sempre per U. il " ghibellino " e così dipinge il mondo dei trapassati non da poeta cristiano ma da " politico ghibellino " e il suo poema risulta " una commedia biblica e non evangelica " (La agonía del Cristianismo, 1924). Tema costante quindi in U. è l'identificazione di poesia e impegno civile, e D. non è solo citato in quanto politico e letterato contemporaneamente, ma anche per il suo disprezzo verso gl'ignavi e gli apolitici, di fronte ai quali U. rievoca, e in luoghi diversi, il guarda e passa e il gran rifiuto. Questi inserimenti testuali, in qualche caso con rielaborazione lessicale e stilistica, quando non vere e proprie citazioni, abbondano: da quelli più o meno ovvii come lasciate ogne speranza o il nessun maggior dolore ad altri, se non rari, meno consueti: libertà va cercando, l'avara povertà di Catalogna, il riveder le stelle o il diventare per più anni macro. E non mancano quelli ben più personali, sia quando ricorda che la gloria umana dura quanto il verde sulla cima sia che anche lo scrittore debba farsi tetragono. E accanto ai relitti di lingua, si trovano le situazioni e le figure emblematiche (gli " uomini-alberi ", Ugolino, Catone, Oderisi da Gubbio) e i commenti ed interpretazioni più o meno appassionati (i versi 2-3 di Pd XXV in un articolo, un passo di Pd XXXIII in Del sentimiento tragico de la vida) e persino con letture erronee: nell'episodio di Filippo Argenti vengono attribuite a questo personaggio le parole (If VIII 44-45) che Virgilio rivolge a Dante.
Ma con tutta l'ampiezza di citazioni negli articoli e saggi, è più interessante l'atteggiamento della lirica unamuniana, dove espressioni ed episodi danteschi vengono reinterpretati con nuova sensibilità. Un enigmatico sonetto, il XVIII del Rosario de sonetos líricos (1911), si lega al tema del rifiuto dantesco non solo perché è preceduto dai due noti versi (If III 59-6.0), ma perché si chiude con il sintagma dell'originale, ripreso nel titolo: La gran rehusa. Tra le sue ultime liriche raccolte nel Cancionero (1928-1936), ce n'è una dal titolo Divina Commedia. Il Purgatorio, 1-7, che prende lo spunto dal verso testualmente riprodotto ma qui la morta poesi' resurga, il cui concetto viene rivolto al proprio D. (" la tua non muore mai, Dante mio "), chiamato pure, con un impasto della lingua originale adattata a un registro diverso, " ... gibelino eterno / proscrito del burdel de Italia sierva ". Una delle Rimas de dentro (1923) svolge il tema, messo in epigrafe, del Noi leggiavamo un giorno per dimostrare l'importanza dei libri per la storia: " Quante storie nascondono nelle loro pagine / i libri, i galeotti ! ". Anche il sonetto XXVIII della raccolta De Fuerteventura a París (1925) si appoggia sui versi di Pg XXI 133-139 citati in testa. E nel Romancero del destierro (1928) dichiarerà fervorosamente (Romance XVIII) in quale grado gli fu congeniale il fiorentino: " Dante mio, tu, amico mio, / compagno di sventura / e di sogni e di ragioni ". Quando scrisse una Epistola in terzine (Teresa, 1924), riconobbe pure il lontano modello formale: " il suo artificio dantesco e trinitario ". E per caratterizzare linguisticamente lo spagnolo prenderà le mosse, nel 1929, dalla " lingua del sì, quella di Dante " per concludere paradossalmente, dopo aver accennato a quelle d'oil e d'oc, che la lingua di Cervantes è " lingua del no! " (Cancionero, n. 657). In U. quindi la conoscenza di D. non è quella generica, e limitata al solo Inferno. È lettura costante e appassionata che abbraccia tutta la Commedia (con qualche riferimento alla Vita Nuova) e si dimostra acuita e più congenialmente sentita nel periodo dell'esilio e della maturità intellettuale.
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