Mida
Mitico re della Frigia, figlio di Gordio e forse della dea Cibele, al quale gli antichi ricollegavano svariate leggende. Le due più note, trattate di seguito in Ovidio Met. XI 85-145 e 146-193, ricorrono in due luoghi distinti dell'opera dantesca.
La prima leggenda voleva che M. a titolo di ricompensa, per aver ritrovato e riportato a Bacco Sileno che si era smarrito, chiedesse al dio la facoltà di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse; dono funesto, a seguito del quale M. corse pericolo di morire di fame e di sete; e ne fu liberato solo quando lo stesso Bacco, supplicato da lui, gli consigliò d'immergersi nel fiume Pattolo, le cui acque da allora avrebbero trasportato pagliuzze d'oro.
Con riferimento a tale episodio M. è posto tra gli esempi di avarizia punita che le anime dei penitenti gridano durante la notte nel quinto girone del Purgatorio: XX 106 la miseria de l'avaro Mida, / che seguì a la sua dimanda gorda, / per la qual sempre convien che si rida.
La seconda leggenda accosta M. al mito apollineo anziché al dionisiaco: chiamato a far da giudice in una contesa musicale tra Apollo e Pan, M. dichiarò vincitore quest'ultimo e Apollo, per vendetta, gli fece crescere le orecchie di asino. A tutti il re riuscì a nascondere la penosa deformazione, tranne che al servo che gli tagliava i capelli; e questi, incapace di tacere, sussurrò la sua scoperta in una buca scavata nella terra, dalla quale spuntarono delle canne che, scosse dal vento, diffondevano il segreto di Mida.
In Eg IV 50-53 ambedue le leggende sono rievocate di scorcio dal pastore Alfesibeo (forse il medico Fiducio de' milotti; cfr. EGLOGHE) nelle parole che rivolge a Titiro, in cui è impersonato D., per dissuaderlo dall'accettare l'invito a lasciare " il capo Peloro " (Ravenna) per trasferirsi nell' " antro del Ciclope " (Bologna), inviatogli in forma poetica da Mopso (Giovanni del Virgilio). il fascino del flauto che, modulato da un giovane pastore, emette parole articolate, riportando il canto di Mopso, per ammaliare Titiro e convincerlo ad abbandonare i vecchi compagni, è dovuto a un prodigio divino - così afferma Alfesibeo - simile a quello delle canne che spargevano al vento il segreto di M.: tibia... canora / ... similis natis de murmure cannis, / murmure pandenti turpissima tempora regis / qui iussu Bromii Pactolida tinxit arenam.