microstoria
Tendenza affermatasi nell’ambito della storiografia sociale italiana, a partire dagli anni Settanta del 20° sec., per influsso di molteplici influenze straniere (la storia delle mentalità, inaugurata dalla scuola francese delle Annales, gli studi dell’inglese E.P. Thompson sui concetti di classe e popolo, l’antropologia economica di K. Polanyi e quella di C. Geertz, sul valore dei simboli). Sul piano metodologico, la m. ha prodotto indagini di lunga durata che si concentrano su aree geografiche molto circoscritte, per offrire una ricostruzione minuziosa e analitica della storia di piccole comunità locali: avvenimenti, personaggi e atteggiamenti mentali che inevitabilmente sfuggono alla storia di vasta scala, fatta di grandi processi storici analizzati per mezzo di categorie generali (Stato, ordini sociali, sistemi economici ecc.) e periodizzazioni convenzionali (Età medievale, moderna e contemporanea). I maggiori contributi forniti da questo indirizzo di ricerca (per cui è stata avanzata la proposta di autonomo genere storiografico) sono la capacità di cogliere elementi di continuità e mutamento nascosti dietro i modelli sociali tradizionali (che in tal modo vengono stimolati all’aggiornamento, alla correzione e alla sintesi), e l’introduzione di fonti e metodi nuovi (da un lato la quotidianità, i piccoli dettagli di biografie minori, dall’altro la dimensione dei comportamenti, delle strategie, del ricordo, della memoria, delle credenze, delle paure e dei dubbi collettivi). I contributi degli esponenti più rappresentativi della m. (C. Ginzburg, G. Levi, E. Grendi, S. Cerutti ecc.) sono confluiti nella collana Einaudi Microstorie, che dal 1981 ha affiancato il dibattito promosso dalla rivista Quaderni storici (1976-83).