Microscopia
Microscopia ottica
di Roberto Pizzoferrato
Tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21° nell'ambito della m. ottica si è assistito, più che alla scoperta di nuovi principi di funzionamento, essenzialmente a un grande progresso di tecniche e di metodologie introdotte in precedenza, spesso a livello sperimentale, le quali hanno notevolmente beneficiato di un impiego combinato e sinergico, in un mutuo trasferimento di idee e innovazioni. A un tale sviluppo della strumentazione si è unita l'accresciuta potenza dei mezzi di elaborazione digitale e dei programmi di calcolo tridimensionale.
Ne sono risultati un apprezzabile miglioramento generale della qualità delle immagini ottenute, la realizzazione di rappresentazioni visivamente più efficaci e soprattutto la possibilità di estrarre nuove informazioni fisiche e biochimiche relative agli oggetti osservati. Da questi successi hanno avuto impulso e spesso fondazione interi settori di indagine nei più diversi campi scientifici e diagnostici, dalla dinamica fotochimica delle superfici inorganiche alle nanobiotecnologie e alla microchirurgia. Sono di seguito esaminate brevemente le tecniche microscopiche attualmente più promettenti, partendo proprio da quella che maggiormente rappresenta questa situazione di interrelazione e combinazione tra differenti metodologie.
Microscopio a scansione confocale laser
La realizzazione di microscopi LSCM (Laser Scanning Confocal Microscope), ottenuta attraverso l'integrazione e il raffinamento di tecniche ben consolidate precedentemente, rappresenta forse il più significativo progresso nella microscopia ottica degli ultimi dieci anni. In tali sistemi la scansione ottica viene combinata con l'analisi in fluorescenza attraverso marcatori sintetici e proteine ingegnerizzate geneticamente, con l'uso di un ampio spettro di sorgenti laser accoppiate a filtri acustoottici accordabili molto accurati, con i più avanzati software di analisi delle immagini operativi su moderni computer ad alte prestazioni. Deriva da ciò una capacità di produrre immagini di altissimo dettaglio e in grado di fornire una notevole quantità di informazioni su proprietà fisiche, chimiche e infine biologiche.
Il principio base degli apparati LSCM è l'osservazione in ottica confocale che consiste nell'illuminare un piccolo volume del campione per volta, in corrispondenza del punto focale del sistema ottico, e nel raccogliere la luce unicamente dallo stesso volume tramite filtri spaziali posti sul cammino ottico dei raggi. Un sistema di movimentazione per la scansione laterale (x-y) e un apparato di acquisizione elettronica permettono di ottenere un'immagine completa di tutta l'area di interesse combinando le osservazioni provenienti dai diversi punti. L'attuale velocità dei sistemi di calcolo consente di avere l'immagine completa praticamente in tempo reale. Il vantaggio sostanziale di questa tecnica è l'alto grado di contrasto che si ottiene escludendo la luce proveniente da volumi diversi da quello che si sta osservando. L'utilizzo delle sorgenti laser, per la loro coerenza spaziale, consente di ridurre al minimo il volume illuminato aumentando di conseguenza la risoluzione e il livello di dettaglio apprezzabile.
Il metodo di formazione dell'immagine confocale può operare in luce bianca nelle classiche configurazioni a luce trasmessa o riflessa. Alternativamente, può utilizzare l'eccitazione e osservazione della fluorescenza che, a differenza di altre, basate sulle proprietà macroscopiche del mezzo indagato, permette di formare la mappa della distribuzione di una singola specie molecolare. Si può così ottenere la precisa localizzazione di componenti intracellulari marcati con specifiche molecole fluorescenti (fluorofori).
Nella fig. 1 è mostrato un esempio di tale capacità di evidenziare la distribuzione dei diversi componenti biochimici di una cellula di carcinoma umano. È anche possibile misurare i coefficienti di diffusione delle specie identificate nonché stimare interazioni con altre molecole biologiche. La tecnica della fluorescenza a trasferimento di energia risonante (FRET, Fluorescence Resonance Energy Transfer), per fare soltanto un esempio, risulta in grado di poter fornire informazioni sull'interazione fra diverse proteine cellulari sulla scala spaziale dei decimi di nanometro. Inoltre, la sensibilità della fluorescenza alle condizioni ambientali consente di ricavare il pH, la viscosità, l'indice di rifrazione, le concentrazioni ioniche e la polarità del solvente in cellule e tessuti vivi.
Un'altra metodologia che è comunemente integrata nei sistemi LSCM è la registrazione di quelle che vengono denominate con la locuzione sezioni ottiche, ossia sequenze di immagini a diverse profondità in campioni spessi, in corrispondenza di diversi piani focali, ottenute tramite una scansione del sistema obiettivo lungo l'asse z. Programmi di elaborazione digitale delle immagini possono essere quindi applicati a queste sequenze per fornire una rappresentazione tridimensionale degli oggetti microscopici osservati. Diversamente, una sequenza temporale di dati tridimensionali che viene ottenuta in tessuti vivi può essere registrata come un'immagine a quattro dimensioni, includendo anche il tempo. Infine, le sezioni ottiche possono essere utilizzate da potenti algoritmi matematici di deconvoluzione dati, una complessa tecnica di analisi delle immagini, che sono progettati allo scopo di eliminare a posteriori elementi di distorsione e perdita di contrasto introdotti dall'ottica dell'apparato. Questo metodo permette di migliorare la qualità sia delle immagini bidimensionali sia delle ricostruzioni tridimensionali.
Microscopio ottico a scansione a campo vicino
L'apparato NSOM o SNOM (Near-field Scanning Optical Microscope o Scanning Near-field Optical Microscope) permette di aggirare il principio di Abbe sui limiti imposti dalla diffrazione ottenendo immagini con una risoluzione molto maggiore che in tutti gli altri microscopi ottici, ovvero con dettagli di dimensioni minori della lunghezza d'onda della radiazione utilizzata. Dallo schema applicativo che viene illustrato illustrato nella fig. 2 si deduce come anche in questo caso si faccia uso di più tecniche combinate in un unico sistema.
Il principio di funzionamento è basato su una sonda ottica submicrometrica a (probe) posizionata molto vicino (fino a circa 10 nm) alla superficie del campione b in modo da raccogliere la luce proveniente da quest'ultimo in condizioni di campo vicino, cioè entro una distanza minore di una lunghezza d'onda. In tal modo la sonda interagisce con la cosiddetta onda evanescente, quella parte della radiazione che non si propagherebbe in campo lontano e non è limitata per diffrazione, consentendo quindi una risoluzione spaziale dell'ordine della decina di nanometri. Inoltre, poiché la luce raccolta proviene solo da una porzione molto limitata del campione, si possono realizzare le favorevoli condizioni di alto contrasto tipiche del microscopio confocale. La sonda, che in genere è realizzata deformando per trazione una fibra ottica fino a riuscire a ricavarne una punta di dimensioni submicrometriche, è tenuta a distanza costante dalla superficie tramite sistemi di posizionamento piezoelettrici c del tutto simili a quelli utilizzati in diversi tipi di microscopi non ottici, in particolare elettronici. Più precisamente, i circuiti di amplificazione e controllo (d, e) possono essere sensibili alla repulsione sonda-superficie, come nei microscopi a forza atomica (AFM, Atomic Force Microscope), alla corrente elettrica da effetto tunnel (STM, Scanning Tunneling Microscope) o alla forza di smorzamento laterale (LFM, Lateral Force Microscope).
Da queste tecniche è anche mutuato il sistema di movimentazione laterale della sonda a che è volto a realizzare la scansione della superficie del campione in modo analogo ai microscopi LSCM. È quindi evidente che un microscopio NSOM integra necessariamente almeno un altro sistema di analisi non ottica della superficie (per es., AFM, STM ecc.) che in genere aggiunge delle informazioni di tipo chimico, elettronico oppure topografico. Tutto questo fornisce una rappresentazione quasi completa riguardo alle proprietà strutturali del materiale preso in esame, con la possibilitàinoltre di riuscire a correlare localmente le diverse grandezze fisiche. Per quanto riguarda specificamente la raccolta del segnale ottico da parte della sonda NSOM, essa può avvenire convenzionalmente in luce bianca, nelle tipiche configurazione di trasmissione o riflessione, oppure sfruttare la diversificazione spettrale e l'utilizzo di tecniche di fluorescenza del tutto analoghe a quelle in uso nei microscopi convenzionali e confocali in campo lontano. La sonda a fibra ottica, in questo caso, può trasportare bidirezionalmente la luce d'eccitazione verso il campione e la fluorescenza emessa dalle specie chimiche interessate che viene convogliata fino al sensore f posto in posizione remota. L'adozione di sorgenti laser g a diverse lunghezze d'onda si coniuga perfettamente con sistemi e filtri h per l'accoppiamento e la propagazione guidata della radiazione in fibra ottica. È da notare come entrambi i processi d'eccitazione molecolare e di raccolta dell'emissione ottica avvengano nelle peculiari condizioni di campo vicino, così che diventa possibile costruire la mappa di distribuzione di una determinata sostanza chimica o di una precisa proprietà fisica/biologica con risoluzione nanometrica.
Microscopia multifotonica (MPM, Multi Photon Microscopy); Microscopia CARS (Coherent Anti-stokes Raman Scattering); Microscopia a generazione di seconda armonica (SHG, Second Harmonic Generation)
Queste tecniche sfruttano modalità non convenzionali del processo di assorbimento della luce da parte del campione, per es. per indurre fluorescenza che può essere rivelata sia in campo lontano sia in campo vicino. Sono tutte basate su processi non lineari di interazione luce-materia che hanno la caratteristica di verificarsi soltanto nelle regioni in cui si ha un alto flusso luminoso, ovvero vicino al punto focale. In questo modo si ha una maggiore selettività spaziale e la possibilità di ridurre ulteriormente il volume della zona in cui si eccita la fluorescenza nella configurazione confocale e in quella NSOM. Poiché la posizione del punto focale può essere determinata e controllata accuratamente, si possono esplorare regioni selezionate sotto la superficie del campione. In altri termini, scegliendo adeguatamente la lunghezza d'onda, si può fare in modo che il mezzo indagato sia del tutto trasparente eccetto che nella regione voluta e rispetto alla specie chimica prescelta. Oltre a permettere una maggiore penetrazione nei materiali biologici, questo riduce il livello di diffusione della luce migliorando il grado di contrasto. L'alta localizzazione dell'energia eccitante, inoltre, minimizza gli effetti di fotodanneggiamento, aumentando la durata degli esperimenti su cellule vive. Questi vantaggi consentono la realizzazione di esperimenti su campioni spessi di tessuti vivi, quali sezioni di cervello ed embrioni in sviluppo, di cui sarebbe difficile se non impossibile ottenere immagini microscopiche.
Fotoattivazione e nanochirurgia
La disponibilità di tecniche diverse su uno stesso microscopio, insieme a un preciso sistema di posizionamento e a più sorgenti laser, offre come interessante ricaduta la possibilità di operare a livello microscopico su campioni biologici ed effettuare quella che comincia a essere chiamata nanochirurgia. Sfruttando il confinamento della radiazione luminosa a volumi dell'ordine dell'attolitro (10−3 μm3), tipici del microscopio confocale e NSOM in unione con le tecniche di eccitazione multifotonica, si riesce a portare la chirurgia laser per effetto termico a una precisione impensata finora. Per es., è stata effettuata la dissezione di cromosomi con tagli spessi 100 nanometri. Inoltre, con un approccio molto più raffinato e promettente, vi è la possibilità di stimolare i meccanismi di risposta fotodinamica di proteine o di specifici marcatori fluorescenti su scala molecolare. In questo caso si sfruttano particolari reazioni chimiche indotte dalla luce laser che rompono particolari legami chimici o producono sostanze dannose per componenti cellulari o per la cellula stessa, fino a provocarne la morte (apoptosi). Si può quindi produrre un danneggiamento molto localizzato di alcuni settori del DNA per studiare la dinamica delle proteine di riparazione. Oppure si possono disattivare le proteine responsabili di specifiche reazione cellulari senza danneggiare la cellula stessa. Allo stesso modo singoli organelli cellulari, quali i mitocondri, membrane o cromosomi possono essere manipolati o distrutti otticamente all'interno e senza perturbare la cellula ospitante, mentre delle cellule tumorali possono essere eliminate senza recar danno alle vicine cellule sane.
bibliografia
Near-field optics: principles and applications, ed. X. Zhu, M. Ohtsu, Singapore-River Edge (NJ) 2000.
Confocal and two-photon microscopy: foundations, applications and advances, ed. A. Diaspro, New York 2002.
Roberto Pizzoferrato
Microscopia elettronica
di Elisa Tata
La m. elettronica ha assunto nel decennio a cavallo del secolo sempre più importanza per lo studio delle superfici e di spessori sottili di materiali fino a divenire indiscutibilmente il metodo di analisi principale. Le maggiori innovazioni hanno riguardato soprattutto la possibilità di osservare, tramite scansione ad alta risoluzione, anche materiali non conduttori in ambiente umido e di investigare con analisi a sonda il mondo subnanometrico, aprendo le frontiere alla nanotecnologia. Anche nel settore dell'analisi in trasmissione si sono raggiunti limiti subatomici.
La m. con sonda di scansione (SPM, Scanning Probe Microscopy) include diverse tecniche tra le quali: STM (Scanning Tunneling Microscopy), AFM (Atomic Force Microscopy), MFM (Magnetic Force Microscopy), CFM (Chemical Force Microscopy), LFM (Lateral Force Microscopy), STBM (Scanning Tunneling Ballistic Microscopy), TFM (Tapping Force Microscopy) e SKM (Scanning Kelvin Microscopy). Tutti questi metodi di analisi sono accomunati dall'utilizzo di una sonda, costituita da una sottile punta, che esplora la superficie del campione muovendosi in prossimità di essa percorrendo linee adiacenti. L'estremità della punta può ridursi alla dimensione di un solo atomo sicché è possibile raggiungere una risoluzione di 0,1 nm. I principali e più frequenti tra gli strumenti SPM sono la AFM e STM che sono stati estesi dalla loro area di ricerca originale, la fisica, alla scienza dei materiali e all'ingegneria, alla biologia e alla biotecnologia. In questi ultimi due campi l'espansione rapida è dovuta a diversi vantaggi che offrono tali tecniche quali: una facile, se non nulla, preparazione dei campioni, tanto che le biomolecole possono essere osservate direttamente; una ricostruzione tridimensionale della superficie del provino con una risoluzione altissima; minore invasività rispetto ad altre tecniche, quali m. a scansione e trasmissione (SEM, Scanning Electron Microscopy, e TEM, Trasmission Electron Mycroscopy), e infine possibilità di operare in ambienti diversi dal vuoto quali l'aria e i liquidi.
Nel caso di AFM, invece della corrente di tunneling come nella STM, si utilizza per l'analisi superficiale l'interazione esistente tra gli atomi della punta e quelli del materiale in osservazione. Questa, quando il campione viene avvicinato alla sonda, dà luogo inizialmente a una forza attrattiva, dovuta a interazioni di Van der Waals, che successivamente diventa repulsiva quando la distanza diventa sufficientemente piccola. Il microscopio è costituito da una leva a sbalzo (cantilever), generalmente di forma rettangolare o triangolare, nella cui parte apicale è posizionata la sonda. Il campione è posto in movimento nel piano orizzontale xy da attuatori piezoelettrici. L'entità della forza, sia essa repulsiva o attrattiva, che si esercita tra la sonda e il campione dipende non solo dalla distanza tra di essi ma anche dalla natura e dalla geometria della punta, dal materiale analizzato e dall'ambiente. Le variazioni della forza durante la scansione della punta si manifestano con movimenti di quest'ultima nella direzione verticale z e quindi con una deformazione del cantilever a cui essa è connessa. Le variazioni di posizione verticale della punta sono rilevate mediante una leva ottica da un fotorivelatore tipo PSD (Position Sentitive Device) su cui giunge un sottile fascio luminoso emesso da un diodo laser e riflesso dalla leva a sbalzo. Da una scansione si può ottenere un'immagine tridimensionale della morfologia della superficie con un'accuratezza nell'ordine di 0,1 nm in z. Nel caso della forza repulsiva la sonda esercita una pressione sul campione e, quindi, la tecnica utilizzata (in contact mode) può essere distruttiva rendendo più utile il metodo con la forza di tipo attrattivo (non contact mode) anche se con una risoluzione inferiore risultando i limiti di questa connessi alla dimensione della sonda, in particolare al suo raggio apicale, e alla natura dell'interazione utilizzata. In regime repulsivo si ha la maggiore dipendenza della forza dalla distanza e massima risoluzione. Nel 1994 si è realizzata una variante dinamica del metodo con un contatto intermittente (tapping-mode), con un'oscillazione del cantilever a una frequenza prossima a quella di risonanza. Se la sonda si avvicina al campione, a causa della variazione della forza mutano i parametri caratteristici dell'oscillazione: frequenza, fase e ampiezza. La rilevazione di queste grandezze permette di ottenere una ricostruzione della superficie del campione. Dal 2005 è disponibile una nuova sonda per misure in soft contact mode. Questa sonda è realizzata in BS-SiNi e ha due cantilever triangolari, uno corto (100 μm) con una frequenza di risonanza di 45 kHz e uno lungo (200 μm) con una frequenza di risonanza di 12,6 kHz. Ogni cantilever ha una punta con un raggio apicale minore di 15 nm.
Altri tipi della SPM costituiscono sostanzialmente varianti di AFM: come la MFM che, con una sonda opportunamente magnetizzata, permette di misurare interazioni magnetiche; la EFM (Electrostatic Force Microscopy) che, con una sonda conduttrice, può quantificare le interazioni coulombiane o capacitive fra questa e il campione; o la CFM che dà informazioni sulla specifica natura delle molecole e, con gli sviluppi del 2004, rileva la composizione chimica locale della superficie del campione. Nella SKM la sonda è costituita da un sensore di temperatura, sicché variazioni sia di composizione sia di struttura del campione possono essere poste in evidenza.
Nei moderni microscopi a scansione (SEM), cambiando l'energia del fascio primario e l'angolo di emissione degli elettroni secondari rilevati o la posizione del rivelatore, è possibile massimizzare le informazioni relative al campione in esame. I nuovi SEM hanno dimostrato un miglioramento in termini di contrasto chimico, cioè nella capacità di rivelare specie chimiche diverse, nelle informazioni superficiali a bassa tensione e un'amplificazione di alcuni effetti topografici connessi alla variazione dell'angolo di emissione degli elettroni secondari. In particolare si può variare la profondità del volume di interazione del fascio primario da 1 μm a 10 keV a 10 nm con 0,2-0,8 keV. Nel caso di materiali non conduttivi l'utilizzo di fasci primari a bassa energia (LVSEM, Low Voltage SEM), o la variazione della frequenza di scansione e l'alternarsi di successive scansioni con alta e bassa energia, minimizza gli effetti di carica sul campione anche se non li elimina del tutto. Un ulteriore miglioramento negli strumenti recenti si ha nell'utilizzare sorgenti di elettroni a emissione di campo (catodo freddo di W o Shottky ZrO/W), che permettono una risoluzione dell'ordine del nm a 20 keV e di pochi nm a 1 keV, sostanzialmente limitata dalle aberrazioni cromatiche.
Uno degli svantaggi della m. elettronica in scansione tradizionale è l'impossibilità di esaminare campioni a bassa tensione di vapore. Per tale motivo grassi, adesivi, liquidi, cibi, gel, semisolidi e, in particolare, i materiali biologici non possono essere analizzati se non, ove possibile, disidratati o in condizioni criogeniche. Pertanto è stato messo a punto un microscopio (ESEM, Environmental SEM) che, potendo operare anche con un'atmosfera umida, risulta specificatamente adatto allo studio di materiali contenenti acqua, petrolio, derivati e isolanti, sicché polimeri, cellule biologiche, piante, cemento, legno, asfalto e sospensioni di liquidi possono essere studiati senza dover preparare i campioni o renderli conduttori con ricoperture di oro. I provini possono essere esaminati in vapore d'acqua o altri gas come CO2 e N2 a una pressione vicino a quella atmosferica. La possibilità di osservare campioni non conduttivi si fonda sul fenomeno che l'accumulo di carica creato dagli elettroni primari viene neutralizzato dagli ioni prodotti nell'atmosfera della camera e vengono utilizzati appositi rivelatori GDD (Gaseous Detection Device). Negli ESEM più recenti è possibile operare sia in alto sia in basso vuoto (p〈200 Pa): in quest'ultimo caso si ha l'osservazione simultanea sia degli elettroni secondari sia di quelli retrodiffusi. L'esigenza di avere un alto vuoto sul cannone e nella colonna di accelerazione degli elettroni e, invece, una pressione prossima a quella atmosferica nella camera in cui è posto il campione richiede la presenza di sistemi sofisticati di diaframmi differenziali e camere intermedie a vuoto differenziato. Un sistema di microiniettori permette di mantenere costante la concentrazione di liquido nell'atmosfera della camera contenente il campione. Come nei SEM tradizionali è possibile abbinare un sistema di microanalisi EDS (Energy Dispersive Spectrometer) per la rivelazione dei raggi X emessi nell'interazione tra gli elettroni primari e il provino: qui un detector di Si(Li) utilizza una sottile finestra ATW (Atmospheric Thin Window) realizzata in film di polimeri, diamante, nitruri di boro o di innovativi compositi che permette di rilevare un range di elementi con numero atomico compreso tra quello del boro (Z=5) e quello del bismuto (Z=83) con una pressione nella camera tra 260 e 1300 Pa.
Nel 2005 è stato realizzato un nano-SEM a emissione di campo per campioni non conduttivi con un nuovo rivelatore a elica, che, combinando lenti magnetiche e tecnologia a basso vuoto, elimina l'accumulo di cariche e le contaminazioni indotte dal fascio elettronico permettendo una caratterizzazione a ultra-alta risoluzione (1,8 nm a bassa tensione, in alto e in basso vuoto).
Sempre nel campo della m. a scansione, ulteriori sviluppi hanno portato a ottenere un microscopio dual beam, combinazione di un SEM e un FIB (Focused Ion Beam) operanti con un'unica camera portacampione. Tale tecnologia consente di superare uno dei limiti del SEM tradizionale: l'osservazione del solo ossido superficiale in un campione ricoperto con un tale strato. Il FIB, utilizzando ioni di Ga+ o In+ accelerati in un fascio finemente focalizzato sulla superficie del materiale, oltre a rimuovere lo strato superficiale permette di ottenere immagini (SIM, Scanning Ion Microscopy) con informazioni complementari a quelle ottenute tramite un fascio di elettroni. L'immagine viene realizzata analizzando gli elettroni e gli ioni secondari emessi dal campione nell'interazione tra gli ioni primari e la superficie del campione. La risoluzione delle immagini SIM è inferiore a quelle SEM perché la dimensione minima di un fascio ionico è almeno cinque volte maggiore rispetto a un fascio elettronico. Nel caso delle immagini SIM si possono avere informazioni sulla composizione chimica del materiale con una risoluzione spaziale fino a 20 nm anche se il campione resta danneggiato a causa di un processo di impiantazione ionica. Variando l'angolo di incidenza del fascio ionico è possibile ottenere immagini con un forte contrasto, potendosi così investigare proprietà policristalline come la dimensione e la distribuzione dei grani.
Un metodo che dà informazioni quantitative per lo studio della grandezza e orientazione dei grani è l'analisi EBSD (Electron Back Scattered Diffraction) in quanto, per angoli di incidenza del fascio elettronico primario quasi radenti (circa 20°), gli elettroni retrodiffusi risultano fortemente influenzati dalla natura cristallina del materiale. In particolare gli elettroni del fascio primario, a seguito dell'interazione con il campione, possono riemergere dalla superficie per retrodiffusione alla Bragg dando luogo a una figura di diffrazione da cui si può risalire all'orientamento cristallografico del volume di interazione. Registrando le varie immagini e attribuendo a ciascuna orientazione un colore diverso si ottiene la cosiddetta immagine IOM (Imaging Orientation Maps). La preparazione della superficie in questo caso è particolarmente critica in quanto influenza la qualità dell'immagine di diffrazione: occorre che sia ben levigata e priva di contaminazione, da cui la preparazione in situ tramite FIB appare ottimale. La combinazione di queste tecniche EBSD, SEM e FIB può essere utilizzata per studi volumetrici in quanto si può assottigliare il campione in situ e procedere alla successiva analisi EBSD e SEM della superficie sottostante e così via.
La tecnica dual beam è stata recentemente applicata anche nel campo della STEM (Scansion Transmission Electron Microscopy), arrivando a una risoluzione di 1 nm e permettendo lo studio di
dislocazioni, bordi di grano, precipitati e così via. Il microscopio STEM rispetto al TEM convenzionale è equipaggiato con bobine di scansione del fascio focalizzato e con rivelatori di elettroni secondari, retrodiffusi e raggi X. Per quanto riguarda i raggi X lo STEM ha il vantaggio rispetto al SEM, operando con un campione sottile, di ottenere una migliore risoluzione spaziale (fino a 10 nm con uno spessore di 100 μm) e quindi anche del sistema di microanalisi EDS. Recentemente i classici detector Si(Li) per la microanalisi sono stati affiancati da una nuova generazione di rivelatori al Ge intrinseco (IGe, Intrinsic Germanium) o al Ge ultra puro (HPGe, High Purity Germanium), che hanno dimostrato di avere una migliore efficienza con i raggi X di alta energia, aumentando così la qualità dell'indagine in m. elettronica.
Il campo subnanometrico è invece raggiunto dal TEM ed è proprio l'interesse per la materia su scala nanometrica che ha dato l'impulso all'implementazione della m. in trasmissione. Si è scoperto che i materiali visti nel range 1-100 nm mostrano proprietà diverse da quelle dello stesso materiale macroscopico: per es., nel caso delle nanoparticelle di Si si ha un valore della durezza molto maggiore di quello del Si massivo. La tecnica EBSD è stata recentemente applicata con successo anche nella m. in trasmissione, abbinata alla preparazione del campione tramite FIB, ottenendo mappe di orientazione con una risoluzione spaziale di 10 nm.
Nel campo proprio della m. in trasmissione la Carl Zeiss STM sta sperimentando un microscopio a ultra-alta risoluzione (UHRTEM, Ultra High Resolution TEM) che presenta la massima risoluzione di immagine di 0,08 nm, ulteriormente ridotta a 0,07 nm in specifiche direzioni cristallografiche del campione. Ha un filamento a emissione di campo a 200 kV, componenti di ottica elettronica per le correzioni di aberrazioni e un monocromatore per il fascio elettronico.
Tra le nuove tecniche di analisi va ricordata la CBED (Convergent Beam Electron Diffraction) che, utilizzando un fascio di elettroni convergenti, permette di limitare l'area del campione che contribuisce alla diffrazione e consente di superare i limiti della risoluzione spaziale della tecnica convenzionale di diffrazione degli elettroni, nonché la SAD (Selected Area Diffraction), che utilizza un fascio parallelo di elettroni. Le applicazioni sono molteplici e spaziano dalla misura dello spessore del campione, di piccole variazioni del parametro reticolare (0,1%), degli stress residui, all'identificazione di fasi, alla determinazione di simmetrie e del vettore di Burgers e così via.
Merita di essere menzionata un'ultima tecnica abbinata al TEM che ne potenzia la mole di informazioni ricavabili: la EELS (Electron Energy Loss Spectroscopy) nella quale separando gli elettroni diffusi anelasticamente si può caratterizzare il materiale dal punto di vista della composizione chimica e della struttura elettronica con una risoluzione spaziale di 0,14 nm.
La risoluzione in termini di energia che si riesce a raggiungere negli strumenti più recenti è limitata a 0,5-1 eV per l'allargamento termico del fascio elettronico; una sorgente fredda di elettroni a emissione di campo o monocromatica permette una risoluzione di 0,2 eV. L'aumento nella risoluzione dell'energia, abbinato al raggiungimento di diametri del fascio di elettroni sempre minori, ha consentito di identificare nello spettro gli effetti locali dei difetti e delle interfacce sulle proprietà dei materiali, la struttura fine e informazioni sui legami. Questo è da considerarsi tra i più importanti traguardi della recente tecnologia della m. elettronica.
bibliografia
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D.B. Williams, C. Barry Carter, Transmission electron microscopy, 4 voll., New York 1996.
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J. Cazaux, Recent developments and new strategies in scanning electron microscopy, in Journal of microscopy, 2005, 217, pp. 16-35.