Vedi Micronesia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Gli Stati Federati di Micronesia sono formati da quattro stati consociati in un sistema federale e costituiti da altrettanti gruppi di isole. La Federazione comprende 607 isole di piccolissime dimensioni, disperse su di una superficie oceanica molto ampia nell’omonima regione geografica. In seguito al secondo conflitto mondiale la regione fu affidata agli Usa, che, nel 1947, ottennero un mandato dalle Nazioni Unite per amministrare il Territorio fiduciario delle isole del Pacifico. Il mandato comprendeva, oltre alla Micronesia, le Marshall, Palau e le Marianne Settentrionali. Mentre queste ultime, nel 1978, scelsero di restare legate agli Usa, nel 1979 quattro gruppi di isole – Pohnpei, Chuuk, Yap e Kosrae – formarono gli Stati Federati di Micronesia e si dotarono di una propria Costituzione, ancor oggi alla base dell’assetto istituzionale. Tuttavia, solo nel 1986 giunse l’indipendenza, con l’entrata in vigore del Patto di libera associazione con gli Usa, in base al quale questi ultimi, in cambio del diritto esclusivo di operare militarmente sul territorio micronesiano e del vincolo alla consultazione, si impegnarono a provvedere alla sicurezza del paese, tutt’ora privo di un proprio esercito e ad assisterlo sul piano economico. I cittadini micronesiani ottennero, inoltre, il diritto di vivere e lavorare negli Usa a parità di diritti dei cittadini statunitensi e non con lo status di immigrati. Il Patto di libera associazione prevede inoltre che i cittadini dell’ex Territorio fiduciario possano arruolarsi volontariamente nelle forze armate statunitensi, che di fatto rappresentano uno sbocco lavorativo e garantiscono un salario notevolmente al di sopra della media micronesiana. Nonostante la soverchiante influenza di Washington, anche la Cina è un partner di primo piano per la Micronesia. Dopo l’avvio delle relazioni diplomatiche, nel 1989, da Pechino giunge un flusso crescente di investimenti, aiuti economici e turisti.
Il sistema politico micronesiano si basa un Parlamento unicamerale composto da 14 membri, quattro dei quali in carica per quattro anni e in rappresentanza dei singoli stati che compongono la Federazione; i restanti dieci sono invece eletti a livello distrettuale e con un mandato di soli due anni. Presidente e vice presidente vengono nominati dai quattro senatori, ma il governo centrale delega gran parte delle prerogative ai governi dei singoli stati, ciascuno dei quali ha una propria Costituzione e mantiene un ruolo chiave nella distribuzione delle risorse economiche.
L’economia micronesiana è tra le più piccole al mondo in termini di pil ed è fondata sull’agricoltura di sussistenza e sulla pesca. Se si considera che più di un terzo del pil è costituito dagli aiuti internazionali, si comprende quale sia la fragilità del sistema. Gli Usa si sono impegnati a garantire l’assistenza economica, come previsto dalla rinegoziazione nel 2004 del Patto di libera associazione, che prevede un versamento di 2,1 milioni di dollari fino al 2024. Fin dai tempi dell’amministrazione statunitense di John F. Kennedy, buona parte di questi aiuti è andata a finanziare la crescita delle risorse umane (istruzione in primis, ma anche sanità e istituzioni pubbliche) più che la struttura economica. Il risultato è stato che, pur garantendo una risorsa vitale nel breve periodo, nel lungo termine i capitali provenienti dall’estero hanno creato dipendenza. Altro fattore negativo per la crescita è il mancato sviluppo del settore privato e la preponderanza del pubblico quale fonte di occupazione. I problemi strutturali, uniti alla scarsità di risorse, rendono dunque gli aiuti esterni di vitale importanza, anche perché altri settori economici dal grande potenziale (sopratutto il turismo) sono penalizzati dalla posizione geografica isolata e dalla carenza di infrastrutture. Non è dunque un caso che la Micronesia registri uno dei tassi di migrazione pro capite più alti del mondo (nel 2011 sono emigrate 21 persone ogni mille abitanti); un dato che comunque, grazie all’elevato tasso di natalità, non ha compromesso il mantenimento degli attuali equilibri demografici.