Microelettronica
Sempre meno spazio, sempre più potenza
La microelettronica è il campo dell’elettronica che si occupa dell’ideazione, progettazione e realizzazione di circuiti elettrici, come i microprocessori dei computer, sempre più piccoli e potenti. Ha iniziato a svilupparsi negli anni Sessanta del secolo scorso nell’ambito delle prime imprese spaziali, per l’esigenza fondamentale di ridurre il peso delle attrezzature a bordo di un satellite nel momento del lancio. Lo sviluppo in questo settore è stato, negli ultimi cinquant’anni, incredibilmente veloce e oggi microcircuiti
e microprocessori sono presenti in ogni ambiente, dalla casa alla scuola
al supermercato In continua evoluzione
Attualmente si riescono a realizzare microcircuiti come i microprocessori elettronici – le unità di elaborazione dei computer in grado di effettuare operazioni decisionali e di calcolo – con una densità ben superiore al milione di componenti per centimetro quadrato. Si tratta principalmente di transistor ma anche di diodi, capacità e resistenze.
Il numero di elementi di un microcircuito è ciò che definisce la quantità di operazioni logiche che possono essere eseguite in un secondo; tale quantità determina la velocità di esecuzione delle funzioni del circuito stesso. Oggi possiamo avere circuiti molto potenti in dimensioni ridottissime e in grado di svolgere funzioni sempre più complesse; ma, come sempre accaduto, anche gli attuali microprocessori sono destinati a venire presto sorpassati a causa del continuo e velocissimo progresso del settore.
La microelettronica riesce a sviluppare circuiti in cui la densità di elementi è sempre maggiore, e quindi le dimensioni dei singoli elementi è sempre minore ma, via via che si riducono le dimensioni, aumentano le difficoltà e gli effetti indesiderati, come il riscaldamento del circuito, che deve essere mantenuto a temperature comprese tra i 30 e i 45 °C.
Microcircuiti sempre più piccoli e sempre più potenti hanno già cambiato la nostra vita negli ultimi decenni, e continueranno a farlo, diventando anche sempre più ‘invisibili’ all’utente. In molti uffici o alberghi, le normali chiavi per serrature, per esempio, sono oramai spesso sostituite da chiavi elettroniche che possono avere anche funzioni di controllo e di registrazione degli eventi, memorizzando le ore di entrata e uscita del cliente. È possibile da tempo inviare bigliettini di auguri che suonano una piccola melodia memorizzata in un microcircuito; anche gli elettrodomestici più comuni, come il tostapane, la lavatrice, gli impianti stereo, il telecomando del televisore e così via, hanno tutti ormai da uno a più microcomputer o microcircuiti al proprio interno.
Per avere un’idea di quanto sia progredito questo settore basti pensare che il minuscolo microcircuito contenuto in un bigliettino di auguri musicale possiede una capacità di elaborazione paragonabile a quella che è stata utilizzata per portare l’uomo sulla Luna nel lontano 1969. Un computer diventato un simbolo di quell’epoca, l’IBM 360, riempiva una stanza di almeno 30 m2 e doveva essere continuamente raffreddato per smaltire il calore prodotto. Un qualunque telefono cellulare con funzioni supplementari, come la possibilità di effettuare fotografie, trasmissione di immagini o filmati o musica, oggi è centinaia di volte più potente di un IBM 360!
Oltre che puntare ad aumentare gli elementi per unità di area, la microelettronica ha come obiettivo anche quello di diminuire le dimensioni fisiche dei microcircuiti, mantenendo al contempo una moderata capacità di elaborazione.
Questo filone si rivela molto promettente e permette già oggi di produrre microcircuiti completi di alimentazione della grandezza di un granello di polvere. Questi ridottissimi microcircuiti trovano numerose possibilità di utilizzo: possono, per esempio, essere sparsi su grandi zone di territorio per effettuare rilevazioni continue di parametri ambientali, come la temperatura o i livelli di inquinamento.
Un altro campo di sviluppo molto promettente è l’integrazione nei microcircuiti di ottica e micro-servomeccanismi per realizzare vere e proprie micromacchine, robot in grado di svolgere, per le ridottissime dimensioni, operazioni altrimenti impossibili.
Gordon Moore, ingegnere elettronico statunitense tra i fondatori della società Intel, nel 1965 ipotizzò che i progressi dell’elettronica sarebbero stati tali da permettere nel corso degli anni Settanta di raddoppiare il numero di transistor posti su un chip (e quindi la capacità di elaborazione dei dati dei circuiti) ogni 12 mesi. Moore poi corresse la formulazione nel 1975, parlando di un raddoppio ogni due anni.
Nella forma oggi più diffusa, basata sull’osservazione di quanto accaduto negli ultimi decenni, la legge di Moore afferma che la potenza dei microprocessori raddoppia ogni 18 mesi. Il 4004, il primo microprocessore prodotto industrialmente nel 1971, aveva 2.250 transistor; l’8080, realizzato nel 1974 e che fu il ‘cuore’ dei primi Personal Computer, ne aveva 5.000; l’8086, costruito nel 1978 ne aveva 29.000. Nel 2006 il microprocessore di un normale personal computer casalingo racchiude 300 milioni di transistor. Ovviamente ciò, oltre a confermare la legge di Moore, ci dice subito che il parametro fondamentale nello sviluppo è la dimensione dei singoli transistor che, nel decennio in corso, è partita dai 150 nm (cioè 150 miliardesimi di metro) e che si pensa arriverà presto ai 10 nm. Un transistor è quindi già oggi delle dimensioni di un virus.
Ma cosa significa effettivamente la legge di Moore? È semplice: ogni 18 mesi la velocità dei microprocessori, raddoppiando, fa un salto in avanti pari a quello che è stato fatto dall’invenzione del transistor fino a quel momento. Quali siano i limiti di questo sviluppo non è ancora chiaro, poiché sorprendentemente questa legge, enunciata nel 1965, sembra reggere a qualunque progresso.
I problemi da superare via via che si procede nella miniaturizzazione sono tuttavia molto complessi: l’aumento quasi esponenziale del riscaldamento, l’inadeguatezza delle batterie usate per alimentare la microelettronica e i limiti fisici alla trasmissione del segnale che può viaggiare, al massimo, alla velocità della luce.
Tra i più recenti sistemi di spionaggio militare ha fatto la comparsa una ‘polvere spia’ formata da una miriade di computer microscopici, della dimensione di meno di 1 mm3, in gradodi captare fonti di calore, suoni e movimenti. È stata chiamata smart dust («polvere intelligente») ed è già stata probabilmente usata, in gran segreto dall’esercito americano. Come spesso già accaduto, questa microspia, pensata per l’ambito militare, potrebbe avere numerose applicazioni civili.
Per esempio, spalmata sui muri con la vernice, potrebbe consentire l’autoregolazione della temperatura e della luminosità degli ambienti domestici, evitando sprechi di energia.
L’età dell’Universo è grosso modo il tempo che servirebbe per verificare tutti i possibili stati che un circuito integrato può assumere. Un microcircuito è infatti una macchina logica formata da milioni di elementi che possono assumere stati logici diversi. Questo vuol dire che il test di tutte le combinazioni possibili, per esempio per verificare che nessuna dia luogo a errori, richiederebbe un tempo, è proprio il caso di dirlo, astronomico: superiore cioè al numero di secondi che pensiamo siano passati dal Big Bang, l’inizio del nostro Universo, 13 miliardi di anni fa! Per effettuare questo controllo in tempi accettabili si divide il circuito complessivo in vari sottosistemi che vengono testati uno alla volta, facendo passare attraverso il circuito logico stesso una serie di bit di informazione, e controllando che all’uscita si ottenga il risultato atteso.