MICHELOZZO
. Scultore e architetto, nato a Firenze nel 1396, ivi morto nel 1472. Giovanissimo incise coni alla zecca fiorentina. Poi collaborò coi grandi del suo tempo: col Ghiberti al S. Matteo d'Orsanmichele (1420-22) e alla prima porta del Battistero (1420-24); con Donatello, nel tabernacolo per il S. Lodovico, pure all'esterno di Orsanmichele (1420-25), nel pergamo del duomo di Prato (1425-38), nel fonte battesimale di Siena (1425), nei monumenti funebri di Giovanni XXIII (circa 1427; Firenze, Battistero), Brancacci (circa 1426-z8; Napoli, S. Angelo a Nilo), Aragazzi (circa 1437; Montepulciano, duomo) ora smembrato (due Angeli si trovano a Londra, nel Victoria and Albert Museum).
La questione della sua originalità è connessa con quella della collaborazione in queste opere, e non è ancora risolta. Si deve, ad esempio, dar merito a M. dell'equilibrio plastico-architettonico che appare in questo momento nelle forme costruttive di Donatello, in seguito più mosse e ricche di contrasti? Probabilmente il pensiero creatore è di Donatello, partecipe della classicità di questo periodo dell'arte fiorentina. M. la riflette nella sua plastica, e disciplina il più elaborato pittoricismo donatelliano a esprimere in alcune cariatidi dei monumenti Brancacci e di Giovanni XXIII, nei resti, tutti suoi, di quello Aragazzi, un'ardente ma dominata passionalità.
Classicità che non ha niente d'archeologico. È piuttosto misura stilistica, freno al procedere di M., d'accordo con l'arte del suo tempo, verso più commosso naturalismo. Per essa mantengono maestà le scarne figure del Battista a S. Romolo di Bivigliano e all'Annunziata, quest'ultima aridamente ripetuta (1452) nel dossale d'argento dell'opera del duomo, e le Madonne, nei rilievi dell'Annunciata, del Bargello, cui molti altri se ne avvicinano (Firenze, Museo Bardini; Berlino, collez. privata, ecc.) senza assoluta certezza, come altre opere: un San Giovannino (Bargello) e, in bronzo, un S. Giovanni pure al Bargello, un altro al Museo di Berlino, e altre cose minori.
Solennità di ritmi e senso della luce caratterizzano la sua architettura. Dopo una perduta attività veneziana (1433-34), dopo la facciata ancora goticizzante di S. Agostino a Montepulciano, aderisce in pieno alle forme del Brunelleschi. Ma nel riordinare e ricostruire (circa 1437-51) la chiesa e il convento di S. Marco sa individualmente riviverle dando al chiostro più ampio ricorrere di archi, mentre nella biblioteca, sopra l'agile fuga dei colonnati, luce ed ombra s'alternano in largo ritmo nell'articolarsi delle vòlte. Elabora da elementi brunelleschiani forme nuove per la cappella (S. Croce, Noviziato, circa 1445), il tabernacolo, a vòlta (S. Miniato al Monte, 1447-48) o a trabeazione (Annunciata, 1448, su suoi progetti), la villa, ridente trasformazione del castello turrito del Medioevo (Cafaggiolo 1451; Careggi, 1459). La più completa è il palazzo - e ne è esempio quello Medici poi Riccardi - per l'inserirsi nel sobrio schema del Brunelleschi d'un più complesso moto plastico-luminoso che procede da Donatello. Già, M. aveva dato senso di luce al fine disegno decorativo in certe parti della lanterna della cupola, cui attese (circa 1446-1451) capomaestro dopo il Brunelleschi. Ma qui, ogni parte ha dalla luce più intensa vita: il bugnato digradante nei tre ordini delle facciate, il cornicione dagli aggetti di classica forza, il cortile spartito da più robuste membrature, e, nella cappella, gl'intagli ricchi d'oro e di colore. Schemi che ritornano nel cortile di Palazzo Vecchio condotto da M. dal 1454 in poi, in un riordinamento cui si devono anche le grandi sale e il ricco disegno dei soffitti a lacunari, attuato dopo la sua morte.
Si è pensato, per la forte plasticità di questa architettura, a influssi dell'Alberti. Vi sono difficoltà cronologiche. Mentre poi, nell'Alberti, il movimento chiaroscurale investe, variandolo, tutto l'organismo costruttivo, in M. lo arricchisce senza alterarne la brunelleschiana essenzialità. Egli stesso sembra, invece, precorrere l'Alberti quando, nei lavori per l'Annunziata (circa 1444-55), cui diede l'atrio e il protiro, affronta il problema d'innestare nella crociera della chiesa, a guisa di coro, una rotonda d'imitazione classica.
Egli diffonde i suoi modi costruttivi a Milano con la cappella Portinari in S. Eustorgio e col palazzo del Banco Mediceo (circa 1462) di cui non rimane che la porta (ora nel Museo archeologico) ornata da scultori lombardi; a Ragusa, lavorando nel palazzo dei Rettori e molto concedendo allo stile gotico locale.
A Firenze e in Toscana i suoi caratteri hanno vasta risonanza. Nei cortili dei palazzi Canigiani e Corsi, in ciò che resta del palazzo dello Strozzino, nei due tabernacoli della collegiata dell'Impruneta, come in altre cose a Fiesole e a Volterra v'è, se non la sua opera, il riflesso del suo pensiero che trasmette le idee artistiche del primo Rinascimento alla generazione dei Rossellino e dei loro seguaci.
V. tavv. LVII e LVIII.
Bibl.: F. Wollf, M. di Bart., Strasburgo 1900; Willich, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, Lipsia 1930; A. Lensi, Ville fiorentine medievali, in Dedalo, XI (1930-31), pp. 1319-34; L. H. Heydenreich, Die Tribuna der SS. Annunziata in Florenz, in Mittheil. des kunsthist. Instit. in Florenz, III (1930), pp. 268-85; id., Spätwerke Brunelleschi's, in Jahrb. d. preuss. Kunsts., LII (1931), pp. 1-28; V. Mariani, Una scultura in legno, ecc., in Dedalo, XII (1932), pp. 429-39; J. von Schlosser, Künstlerprobleme der Frühreinassance, Vienna 1933.