VALORI, Michele
– Nacque a Bologna il 23 giugno 1923 da una famiglia di origine fiorentina. Il padre, Aldo (Firenze 1882-Pisa 1965), fu un affermato giornalista, scrittore, capo della redazione romana del Corriere della sera dal 1925 al 1943 e autore di articoli per molte testate nazionali, commentatore radiofonico dei fatti di guerra negli anni Quaranta e commentatore dei ‘fatti del giorno’ per la radio EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), attivissimo e prolifico nell’editoria e nella politica. Sposò Etre Rontini, terzogenita di una famiglia di anarchici che come conseguenza dell’esclamazione «e tre!» inventò questo nome per la figlia, la quale si convertì alla religione cattolica e fu battezzata con il nome di Etre Maria alla nascita del primo dei cinque figli.
Il primogenito Francesco fu magistrato alla corte dei conti e storico; nacquero poi Luigia, medico, Paolo, gesuita, teologo e docente della Pontificia Università Gregoriana e della Lateranense, Michele e Maria Bice (v. la voce in questo Dizionario), attrice di teatro e di televisione molto nota e apprezzata anche per il sodalizio professionale con il marito Paolo Panelli. L’atmosfera culturale della casa, frequentata da personalità come Luigi Pirandello, Silvio d’Amico, Mario Missiroli, fu terreno fertile per la crescita dei fratelli Valori, che giunsero a Roma nel 1925 per il lavoro del capofamiglia. Nella capitale frequentarono anche i parenti materni, e tra questi Michele Valori condivise con il cugino Arnaldo Bruschi, di poco più giovane di lui, che sarebbe diventato studioso di fama internazionale dell’architettura del Rinascimento, la fascinazione dello studio del nonno materno di Arnaldo, lo scultore Arnaldo Zocchi, che lavorava in un grande atelier a più livelli, uno spazio rapente e misterioso in viale Regina Margherita popolato di disegni e statue ma anche da un’imponente libreria che ospitava intere annate di riviste d’arte, dall’Illustrazione italiana alla Tribuna illustrata. Fu in questo luogo che certamente Michele capì quali fossero i suoi interessi.
Con il cugino Arnaldo condivise anche gli studi classici dai gesuiti e in seguito quelli di architettura presso la Sapienza. Si laureò, nel 1948, con un progetto di una piscina coperta da una volta sottile su modello delle strutture di Ulrich Finsterwalder, ingegnere tedesco che negli anni Venti aveva studiato un metodo di calcolo delle cupole di spessore molto ridotto, e che faceva parte delle figure di riferimento degli studenti di architettura che si interrogavano sull’eredità del movimento moderno, ossia una tendenza che appartenendo al periodo prebellico aveva esaurito la sua capacità di riferimento diretto. Negli anni a cavallo tra gli studi universitari e i primi passi nella professione fu intensa la sua partecipazione alle attività del centro studi intitolato a Giorgio Labò, il figlio di Mario Labò e di Enrica Morpurgo, studente in architettura al Politecnico di Milano, torturato e ucciso a soli venticinque anni dai nazisti nel 1945. In questa fucina di cultura architettonica, con i colleghi della facoltà romana fu impegnato nell’organizzazione di conferenze sull’architettura degli anni Trenta e di mostre di progetti dimostrativi, tra cui quello notevole che sviluppò con Carlo Melograni per un caffè in un parco, che esprimeva la loro idea di una modernità necessaria, etica e civile.
Subito dopo la laurea iniziò l’attività professionale in un piccolo studio che condivideva con Leonardo Benevolo e Giampaolo Rotondi. Contemporaneamente, per un breve periodo, dal 1948 al 1949 lavorò come impiegato tecnico nella Società generale immobiliare di Roma (SGI).
I primi incarichi riguardarono progetti per la cittadina di Civita Castellana (Viterbo): la sistemazione della sala consiliare del Comune, il progetto di restauro della chiesa dei Cappuccini e alcune ville private. Seguì il concorso per la sistemazione urbanistica e la lottizzazione della pineta di Donoratico (Livorno), che vinse il secondo premio. In gruppo con i colleghi che vissero quella stagione fervida dell’architettura italiana, Valori partecipò a diversi concorsi di architettura. Molti ne vinse. Tra i primi, quello del 1949 per la partecipazione al piano INA-Casa, per il quale egli propose un’innovativa aggregazione di tre unità abitative intorno a una scala triangolare centrale, un tipo che fu largamente impiegato per gli interventi del primo settennio INA-Casa, in particolare nel quartiere Tiburtino, del 1950, alla cui costruzione partecipò con Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Mario Fiorentino, Federico Gorio. In questo periodo di fondazione del suo studio professionale Valori fu impegnato in molti altri interventi di edilizia popolare, realizzati nell’ambito dei programmi per la ricostruzione del secondo dopoguerra. Tra questi, del 1950 sono i quartieri INA-Casa di Civita Castellana e Lavinio (Roma); del 1957 quelli di Trapani e di Catania e il CEP di Brindisi; del 1959-60 i quartieri UNRRA Casas di San Cataldo (Caltanissetta), Messina, Brindisi e Santa Marinella (Roma). Per tali interventi Valori elaborò i piani urbanistici e i progetti degli edifici, che sviluppò con Bruschi, Giulio Ceradini, Giuseppe Garofalo, Rotondi, Hilda Selem.
Furono di questi intensi anni di ricostruzione del Paese la partecipazione di Valori alla realizzazione del quartiere Spine Bianche a Matera, del 1951, del quale il ministero ai Lavori pubblici assegnò la realizzazione a un gruppo formato da vincitori a pari merito composto da Carlo Aymonino, Carlo Chiarini, Marcello Girelli, Sergio Lenci, Mario Ottolenghi, Fiorentino, Selem, Vito Sangiraldi, Valori stesso, Gorio, Giancarlo De Carlo, e alla costruzione del villaggio rurale della Martella a Matera (1952-54), progettato da Gorio, che coordinò il gruppo formato da Piero Maria Lugli, Quaroni e Valori.
Nel 1954 vinse il primo premio al concorso per il borgo di Torre Spagnola a Matera con la chiesa parrocchiale, il cui progetto, non realizzato, viene considerato esemplare del periodo neorealista dell’architettura italiana.
Da queste esperienze progettuali nasceva una nuova idea di edilizia popolare, che mise insieme le migliori menti di quegli anni. Nei suoi taccuini, a tale proposito Valori (1997) affermava: «L’architettura nasce dalla civiltà di un popolo, da un’industria attrezzata, da scuole serie e selezionatrici, dall’educazione della gente, dall’onestà delle imprese, da buone semplici sensate legislazioni, e da un minimo di fede nell’avvenire» (p. 31).
In ambito privato, di rilievo sono due palazzine in viale dell’Umanesimo a Roma, del 1955. Una, con Selem, è un sofisticato esperimento di ibridazione tipologica che consiste nell’aggregazione di dodici alloggi duplex in un lotto quadrato del quartiere dell’EUR. La sagoma dell’edificio, rigidamente fissata dal piano regolatore in un parallelepipedo di 20×20 metri di base e 18 di altezza, divenne occasione per ragionare sulla razionalità del pensiero organico e sulle questioni di ordine. L’altra costruzione, con Benevolo e Rotondi, interpreta in modo più canonico la tipologia della palazzina romana.
Un intimo e urgente bisogno di mettere ordine in ogni cosa emerge dai racconti e dalle testimonianze dei più stretti amici e colleghi di Valori, che riportano il suo pensiero in proposito, come d’abitudine sintetico e chiaro: «Il compito dell’architetto è in fondo quello di mettere in ordine case, strade e città» (A. Bruschi, in Valori, 1997, p. 12). In ogni suo lavoro, compresi i piani urbanistici, è esplicita la sua ricerca di dimensione e forma appropriata.
Sono del 1961 due grandi palazzine a via di Poggio Ameno, nello stesso settore sud della città di Roma, nelle quali Valori confermava la sua personale interpretazione della razionalità inserita nell’organismo urbano, un tema che aveva condiviso con altri architetti della sua generazione fin dalla sua adesione all’APAO, l’Associazione per l’architettura organica, fondata da Bruno Zevi. Fu interprete proprio di ciò che l’APAO formulò nella dichiarazione di principi, pubblicata nella rivista Metron (1945, n. 2), dove si sanciva che la genesi dell’architettura contemporanea si trova essenzialmente nel funzionalismo e che l’architettura organica è un’attività sociale, tecnica e artistica allo stesso tempo, diretta a creare l’ambiente per una nuova civiltà democratica, modellata secondo la scala umana, secondo le necessità spirituali, psicologiche e materiali dell’uomo associato. In queste frasi si riconoscono i risvolti etici, politici e sociali che sono propri delle scelte progettuali di Valori, coerentemente illustrati nei suoi progetti e anche nei suoi scritti teorici. Che siano in forma di saggi, o di lezioni, o appunti di viaggio, o lettere private, questi testi permettono una lettura della sua ampia attività progettuale, anticipatrice di temi oggi molto attuali, come il recupero dei centri storici e la questione ambientale.
La professione, svolta con impegno e passione, condusse spesso Valori all’estero. È del 1956 un primo viaggio in America, dove incontrò Ludwig Mies van der Rohe nella tappa a Chicago. Sono documentati nei suoi taccuini i viaggi in molte parti del mondo, dalla Turchia alla Polonia ai Paesi africani, dove fu chiamato a redigere piani urbanistici quali il piano regolatore generale e i progetti per edifici nella Cité d’Exploitation della Repubblica Popolare del Congo.
Parte importante dell’attività professionale di Valori fu la progettazione urbanistica, disciplina della quale fu anche docente universitario.
Nel giugno del 1962 fu incaricato con Fiorentino, Lugli, Vincenzo Passarelli e Luigi Piccinato di collaborare con gli uffici comunali di Roma nella predisposizione del piano regolatore. Il suo fu un contributo critico al piano, dolorosamente formulato in un suo profetico articolo dal titolo Fare del proprio peggio, pubblicato dalla rivista Urbanistica nel 1959.
In ambito accademico, dopo aver insegnato a lungo la disciplina urbanistica a Cagliari, Valori vinse nel 1976 la cattedra di urbanistica alla facoltà di architettura di Roma, dove fu direttore dell’istituto di urbanistica. Fu inoltre membro del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.
Il 4 ottobre 1964 sposò Maria Valentina Tonelli, laureata in farmacia. Ebbero tre figlie: Giovanna, Paola e Francesca, alle quali Valori indirizzava brevi lettere attraverso i suoi diari, per condividere con loro i suoi pensieri.
Fu molto attivo anche negli anni del boom economico, realizzando edifici residenziali intensivi, come quelli per la cooperativa Roma 70, collaborando alla progettazione del piano di zona IACP Corviale, e mettendo a punto nuove tipologie residenziali per la Gestione case per lavoratori (GESCAL).
Fa parte di questa fase consolidata della professione il centro sperimentale metallurgico di Castel Romano, realizzato tra il 1963 e il 1968 con Franco Donato, Aldo Matteoli, Elio Piroddi, Giulio Sterbini, un complesso industriale e direzionale caratterizzato da fitte e alte lamelle metalliche verticali che rivestono tutti i volumi e che denunciano con il materiale la funzione cui gli edifici sono destinati.
Del 1975-78 è il progetto per l’Hotel Sheraton di Roma, per il quale Valori collaborò con lo studio Passarelli. Esso presenta una struttura a pianta ‘cruciforme’, richiesta dalla committenza, e lunghi prospetti tagliati da finestre a nastro con vetri color fumee.
Valori morì improvvisamente a Roma il 16 ottobre 1979.
È dipinto da chi lo conobbe come un uomo al contempo severo e brillante. Il letterato Masolino d’Amico, che con lui condivise una profonda e duratura amicizia, definisce il suo carattere pignolo e operoso, esaltando al contempo le sue doti umoristiche, che paragona (in Valori, 1997, pp. 7 s.) a quelle di Ennio Flaiano e di Achille Campanile. Dalla famiglia ereditò solidissime basi etiche e di convinto credente che, oltre a essere lo sfondo del suo operato, lo portarono a produrre per una sua personale ricerca numerosi progetti ideali di edifici religiosi e chiese.
Nel 2012 la mostra «Michele Valori. Abitare le case», nella sala studio del Centro archivi del Museo MAXXI architettura, che l’ha organizzata con l’Associazione Michele Valori, istituita dalla moglie con il fine di tutelarne e promuoverne l’opera artistica e intellettuale, e l’ha presentata anche a Venezia alla XIII Biennale di architettura, ha esplorato la partecipazione di Valori al dibattito sull’architettura e sulla pianificazione in Italia dal 1949 al 1979, presentando al pubblico una selezione degli oltre 100 progetti di cui è ricco l’archivio.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Michele Valori è stato donato al Centro archivi del MAXXI di Roma nel 2006, dopo essere stato dichiarato di notevole interesse storico il 20 maggio 1995.
V., M., in Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, a cura di P. Portoghesi, VI, Roma 1969, pp. 369 s.; V., M., in Architettura del XX secolo, a cura di M.A. Crippa, Milano 1993, p. 437; M. Valori, Posta fatta in casa... vorrei chiamare questo diario vita e famiglia di un architetto..., a cura di V. Tonelli, Roma 1997; M. V., in Guida agli archivi di architettura a Roma e nel Lazio, a cura di M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Roma 2007, p. 177; P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna, 1909-2011, Roma-Bari 2012, p. 198; M. V. Taccuini di architettura (catal.), a cura di V. Tonelli - M. Guccione, Roma 2013.