TESTA, Michele (in arte Armando Gill)
Nacque a Napoli nel quartiere Stella il 23 luglio 1877, terzogenito di Pasquale e Concetta Saracino: il padre, che vantava una discendenza dalla casata Piccolomini, possedeva una distilleria; la madre era casalinga. I fratelli maggiori erano Gustavo e Arturo; seguirono Lavinia, Pia e Ottavio. Frequentò la scuola elementare in via Foria fino al 1887: morta la madre, fu trasferito nel vicino collegio di via Misericordiella diretto da Alfonso Chierchia. Qui cominciò a manifestare il suo interesse per l’arte poetica. Conseguita la licenza liceale e già destinato alla carriera forense per desiderio paterno, proseguì la formazione accademica nell’Università di Napoli. Negli stessi anni frequentò le ‘periodiche’, feste private organizzate nelle abitazioni dell’alta borghesia partenopea, durante le quali si esibiva come cantante. Appassionato versificatore, nel 1896 scrisse Fenesta ’nchiusa, canzone musicata dall’amico Vincenzo De Crescenzo, cui seguì, sempre a firma dei due, ’O surdato (Il soldato, 1899).
A pochi esami dalla laurea, nel 1899, decise d’interrompere gli studi giuridici per dedicarsi interamente alla carriera teatrale già intrapresa all’Eden, storico caffé-concerto di via Guglielmo Sanfelice. Firmato un contratto al Salone Margherita, si esibì con assiduità in spettacoli di varietà facendosi conoscere come Armando Gill (lo pseudonimo probabilmente deriva da Martino Gill, eroico spadaccino cinquecentesco divenuto personaggio di fama grazie alle riviste dell’editore Sonzogno). In parallelo, continuò a scrivere versi per canzoni da porre in musica. Già dal primo decennio del secolo la sua produzione si caratterizzò per l’uso dello stornello, altrimenti infrequente nel panorama musicale napoletano. Tale predilezione riflette la tendenza dell’artista a una canzone facile, comunicativa e spettacolare, rispondente alle esigenze di genuinità e frivolezza richieste dal pubblico dei cabaret; e nello stornello l’artista trovò il luogo ideale in cui trovò il genere idoneo per combinare spunti folklorici e sortite di rustica comicità. Tra questo vanno annoverati gli Stornelli montagnoli e campagnoli: quadretti dal vero e i Nuovi stornelli spagnoli (musiche di Alfredo Mazzucchi, 1909). Nel 1910, con Bel soldatin (musica di Agostino Magliani), il poeta ritornò al tema delle milizie, presenza costante nella sua produzione..
Nel 1909 al Teatro Jovinelli di Roma conobbe Assunta Irma Fricchione (in arte Irma La Martiny), e la assunse come canzonettiste della sua compagnia. Nel 1911 si sposarono; non ebbero figli. L’attività artistica congiunta proseguì fino al 1915, quando la donna si ritirò dalle scene.
Nel 1914 Testa assunse la direzione artistica del Teatro Goldoni a Bellavista – una struttura estiva a Portici –, che tenne per oltre un decennio. Nello stesso anno fondò la Compagnia musicale Armando Gill, con la quale, nel decennio seguente, si dedicò al teatro di rivista toccando i palcoscenici delle maggiori città italiane, tra cui Roma (Teatro Umberto), Napoli (Eden, Trianon), Palermo (Olimpia), Bari (Giardino Modernissimo). Il repertorio di riviste e sceneggiate, come di consueto all’epoca, fu derivato dalle canzoni di maggior successo dello stesso Testa: ’O zampugnaro’nnammurato (canzone del 1918, sceneggiata nel 1919), Come pioveva!... (1918, sceneggiata nel 1920), Palomma (1926, sceneggiata nel 1927).
All’entrata in guerra dell’Italia fu arruolato nonostante il forte strabismo. Dato per disperso alla notizia che la nave su cui viaggiava fosse affondata, l’artista sfruttò con ironia l’annunciodella propria morte approdando di lì a poco al Teatro Trianon con la rivista Gill affondato. In questo periodo – il più prolifico anche per la sua carriera di autore – produsse indistintamente brani in lingua italiana e napoletana, affiancando la composizione di liriche a bozzetti umoristici: Nun so’ geluso (1917), ’E quatt’ ’e maggio (1918), Bella ca bella si’ (1919), Canti nuovi (1919), Stornelli dell’Aviatore (1920). L’artista, autodidatta (musicava i brani ad orecchio), seguiva ogni aspetto nella produzione delle sue canzoni – ironicamente le firmava «testi di Armando, musica di Gill, cantata da Armando Gill» -- e si curava pure della loro pubblicazione e promozione, avendo fondato una casa editrice apposita (Edizioni Gill). Più discosto dallo stile della romanza da salotto di quanto non fossero i contemporanei, e più incline ai modi colloquiali tipici del varietà, Testa diede ai consueti soggetti amorosi un’impronta pragmatica, narrando con linguaggio schietto – alla stregua di un novello cantastorie – episodi quotidiani, non senza ricorrere al dialogo diretto in seno alle liriche, secondo una prassi d’uso nei repertori della sceneggiata e della macchietta nel primo Novecento.
Le naturali doti di versificatore estemporaneo lo facilitarono nell’improvvisata, una forma teatrale allora assai in voga, consistente nel creare sul momento – di preferenza a fine serata e prendendo spunto da osservazioni o battute emerse durante lo spettacolo – versi in rima di tono umoristico pronunciati su moduli ritmico-melodici iterativi e orecchiabili. Assai apprezzato per la sobrietà dello stile e la raffinata eloquenza, fu talvolta criticato per la vocalità caricata e un’intonazione non impeccabile, sintomi della mancata formazione musicale.
Accanto a brani melodici quali Palomma, con bozzettistico umorismo seppe dipingere la società contemporanea in canzoni quali Cinemà cinemà (1921), E allora? (1926), Villeggiatura a Capri e La donna al volante (1927).
Negli anni Trenta la presenza di Gill sul palcoscenico si andò rarefacendo. Nel 1935 prese parte al film Napoli verde-blu (regìa di Armando Fizzarotti, musiche di E.A. Mario) accanto a Girolamo Gaudiosi, Lina Gennari e Carlo Buti. Restio a cedere i diritti dei suoi lavori agli editori, nel 1943 finì per vendere tutte le sue opere a Ferdinando Bideri e lasciò i palcoscenici per ritirarsi a vita privata.
Morì a Napoli nella sua abitazione di viale Elena 19 (l’attuale viale Gramsci) la notte del 1° gennaio 1945 per un attacco di angina pectoris. I funerali furono celebrati in S. Giuseppe a Chiaia alla presenza di concittadini, amici e artisti, tra cui Raffaele Viviani, che ne pronunciò l’elogio funebre.
Regina, XVII (1920), 3-4, p. 45; F. Cangiullo, Le novelle del varietà, Napoli 1938, pp. 51-54; V. Paliotti, Storia della canzone napoletana, Milano 1958, pp. 139-150; M. Mangini, Il café chantant, Napoli 1967, pp. 133-139; E. De Mura, Enciclopedia della canzone napoletana, II, Napoli 1969, pp. 224‐226; P. Gargano-C. Cesarini, La canzone napoletana, Milano 1984, pp. 113-116; G. Baldazzi, La canzone italiana del Novecento, Roma 1989, pp. 37-40; P. Scialò, Sceneggiata. Rappresentazioni di un genere popolare, Napoli 2002, pp. 203-214; P. Gargano, Nuova enciclopedia illustrata della canzone napoletana, IV, Napoli 2010, pp. 52-58; F. Liperi, Storia della canzone italiana, Roma 2011, pp. 100-102; R. Cossentino, La canzone napoletana dalle origini ai nostri giorni, Napoli 2013, pp. 270-276; F. Castelli – E. Jona – A. Lovatto, Al rombo del cannon. Grande guerra e canto popolare, Vicenza 2018, pp. 115-123.