SOFIANO, Michele
SOFIANÒS (Σοφιανός, Sofiano, Sophianus, Soffiano), Michele (Μιχαὴλ). – Filologo post-bizantino, nacque a Chio da Giorgio e dalla nobile e coltissima Maria Petrocòcchina nella prima metà del XVI secolo. Visse per anni in Italia. I dotti che frequentò in Occidente gli riconobbero, senza eccezioni, acuto giudizio e perizia linguistica superiori alla media e in molteplici àmbiti disciplinari (ne offrono documento i molti omaggi poetici in morte, raccolti nei codici di Milano, Biblioteca Ambrosiana, N 156 sup. e P 242 sup.).
Da un'anonima orazione funebre, di cui si ignora anche il luogo in cui fu tenuta (edita e commentata in Meschini, 1981, pp. 10-18), si desume che sia nato tra il 1525 e il 1530. Nulla sappiamo del suo aspetto fisico, ma in una testimonianza tardiva di Jacopo Corbinelli, affidata a una lettera indirizzata a Gian Vincenzo Pinelli (16 aprile 1578), si afferma che Michele poteva essere scambiato con il giovane Giuseppe Giusto Scaligero, che all'epoca soggiornava a Padova per ragioni di studio.
Appartenne a una famiglia benestante, che da tempo estendeva il suo potere e la sua influenza nell'antistante regione dell'Asia Minore con centro Focea. Il nonno riuscì a sposare una Cantacuzèna; il padre Giorgio sposò la nobile e coltissima Maria Petrocòcchina, che apparteneva a una delle più antiche e potenti famiglie dell'isola; e i ‘Sofiani’ rimasero nella toponomastica di Focea anche dopo la conquista turca. Ebbe dunque l'istruzione primaria nell'isola, che grazie alle scuole di tradizione bizantina richiamava dotti da tutto il mondo greco (è accreditato come allievo del dotto zantiota Ermodoro Lìstarchos), ma anche non pochi professori di lingua e cultura latina; acquisì dunque eguale padronanza nei due idiomi e fu con questo bagaglio culturale che in una data non certa (ma sicuramente prima del 1550), giunse in Italia.
A Venezia frequentò Giovanni Battista Egnazio e l'ambiente manuziano (Paolo, gran latinista e figlio di Aldo, mantenne legami di studio con lui anche dopo il trasferimento a Roma nel 1561); l'orazione racconta che «inde obiit cetera gimnasia, Ticinum, Bononiam, Florentiam, Senas, Pisas, Ferrariam, ubique cum viris eruditissimis assiduus fuit […]» (Meschini, 1981, p. 13); e affiorano tra le sue conoscenze i nomi di Pier Vettori, Ciriaco Strozzi, Pietro Angelo Bargeo, Lazzaro Bonamico, Francesco Robortello, Carlo Sigonio. Tra i greci italianizzati con i quali ebbe fecondi e duraturi contatti furono i corfioti Matteo Devarìs e Costantino Rhallis, già allievo del Ginnasio greco del Quirinale; incerte sono le notizie di un suo viaggio in Grecia negli anni Cinquanta, ma assai probabile è il suo interesse per le epigrafi chiote, ricavabile da varie fonti manoscritte.
Dal testamento del 30 novembre 1562, reperito da Emilia Veronese Ceseracciu presso l'Archivio di Stato di Padova (segnato Liber extensionum Gasparis villanii notarii 1562-1564, ff. 87-88; cfr. Meschini, 1981, p. 22, n. 37), apprendiamo che Sofianòs da anni risiedeva a Padova studii causa: fu proprio a Padova che entrò nella cerchia di Pinelli (lì maturò in particolare l'amicizia e la collaborazione scientifica con i dotti ungheresi Nicasio Ellebodio e Andrea Dudith), e fu senz'altro a Padova che approfondì gli studi di filosofia aristotelica, che dettero frutto nella traduzione latina del De anima (edita nel 1562; la versione del proemio del commento di Simplicio rimase inedita nel manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, D 465 inf.), orgogliosamente rivendicata (contro predecessori umanistici come Teodoro Gaza e Giovanni Argiropulo) come letterale e fedele al testo greco, e concepita come l'inizio di una resa latina di tutto il corpus aristotelico che la morte gli impedì di realizzare.
A Padova rimase fino al 1564 quando fu chiamato a Torino dal duca di Savoia Emanuele Filiberto come precettore del figlio e come collaboratore dello zio Nicola Petrocòcchino, ambasciatore del re di Portogallo, nel tenere i rapporti diplomatici col sultano turco durante le trattative sulla sorte di Cipro. Nel citato testamento le disposizioni per il funerale, ove fosse morto a Padova, erano d'essere sepolto «in uno deposito humili» nella chiesa di S. Francesco, mentre i denari per la sepoltura sarebbero stati ottenuti dall'impegno di «omnes eius libros latinos et grecos tam impressos quam calamo scriptos artium, philosophie et humanitatis, qui esse possunt valloris ducatorum tercentorum»: i libri però avrebbero dovuto essere riconsegnati all'erede alla restituzione della somma prestata. L'erede, il medesimo Nicola Petrococchino, veniva contestualmente esortato a dare alle stampe, con l'aiuto di Pier Vettori o di altra persona idonea, il «libro scritto in greco intitolato Isocrate», «ne tanto dignum opus omittatur» (Meschini, 1981, p. 23)
Gli studi più recenti hanno iniziato a ricostruire l'attività filologica di Sofianòs sul testo di Isocrate (parallela peraltro a quella del suo amico Pier Vettori), e a raccogliere con sistematicità le tracce della sua mano su codici suoi e altrui, soprattutto Ambrosiani: la sua biblioteca infatti, ricondotta a Chio dallo zio Nicola Petrocòcchino, fu poi in parte acquistata dal cardinal Federico Borromeo al principio del XVII secolo. Ad oggi, Sofianòs rimane noto ai filologi soprattutto per le sue congetture al testo di Eschilo, raccolte da Francesco Robortello nell'edizione veneziana del 1552, e per i suoi attenti studi sul testo del grammatico greco Apollonio Discolo; egli collaborò inoltre con Nicasio Ellebodio nelle traduzioni da Licofrone e da Aristofane, e suoi interventi alla Poetica e alla Politica di Aristotele sono ricavabili da lettere e scritti di Pinelli.
Di lui, inoltre, rimangono cinque lettere greche e sei lettere italiane (tutte edite da Meschini, 1981, pp. 55-79), e otto epigrammi greci (editi e commentati ibid., pp. 84-87; un suo epigramma orna l'entrata della chiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia), mentre nulla si sa di un breve poemetto dal titolo Le quattro parti del giorno a Citera dedicato a una sua amica nota sotto il nome di Delia, e di un trattato sulla processione dello Spirito Santo.
Risulta certa solo la morte, che lo colse a Ferrara il 15 agosto 1565 in seguito a un aneurisma cerebrale
E. Legrand, Bibliographie hellénique des XVe et XVIe siècles, II, Paris 1885, pp. 168-76; A. Meschini, M. S., Padova 1981; Ead., La biblioteca di M. S., in Paleografia e codicologia greca. Atti del II Colloquio internazionale..., Berlino- Wolfenbuttel... 1983, a cura di D. Harlfinger - G. Prato, Alessandria 1991, pp. 551-569; S. Martinelli Tempesta, L'Isocrate di M. S., in Acme, LII (2005), pp. 301-316; Id., Alcune vicende del testo isocrateo nel Cinquecento: M. S. e Piero Vettori, in Vestigia antiquitatis, Milano 2007, pp. 283-312; E. Santin, Autori di epigrammi sepolcrali greci su pietra, Roma 2009, pp. 214-220; A. Gialdini, Fonti codicologiche e archivistiche per la ricostruzione della biblioteca di M. S., in Miscellanea Graecolatina, a cura di F. Gallo - L. Benedetti, II, Roma-Milano 2014, pp. 287-323.