ROSI, Michele
– Nacque a Pieve di Camaiore (Lucca) il 29 settembre 1864 da Basilio e da Ersilia Lazzarini, primo di numerosi fratelli.
La sua fu una giovinezza difficile a causa di una paralisi infantile che lo menomò a vita. Il che, tuttavia, non gli impedì di dedicarsi con tutto se stesso agli studi. Allievo di Alessandro D’Ancona e Amedeo Crivellucci, si laureò nel giugno del 1888 all’Università di Pisa e contestualmente ottenne l’abilitazione all’insegnamento della storia in quanto allievo della Scuola normale superiore. Nell’anno scolastico 1888-89, iniziò, nel ginnasio di Recanati, la sua attività di docente che già nel 1889, dopo aver vinto il concorso per l’insegnamento della storia negli istituti tecnici, lo portò a Catania e pochi anni dopo, nel 1892, all’istituto tecnico di Genova. Qui lavorò fino al 1896, quando si spostò a Roma dove insegnò nei licei Tasso e Visconti. Nel frattempo (1895) aveva ottenuto la libera docenza in storia moderna presso l’Università di Genova trasferita poi (1897) all’Università di Roma dove, dopo aver tenuto corsi liberi in storia moderna, dal 1905 fu nominato professore incaricato di storia del Risorgimento, che insegnò fino al ritiro nel 1933.
Dal 1° gennaio 1915 al 30 settembre 1920 fu comandato presso l’Accademia dei Lincei e negli anni accademici 1923-24, 1924-25 e 1925-26 presso l’Università di Roma. Il comando, divenuto definitivo dopo il 1926, gli consentiva di dedicarsi all’attività universitaria e di ricerca, esonerandolo da quella scolastica. Insegnò storia del Risorgimento anche nei corsi di perfezionamento per i licenziati dalle Scuole normali fino all’istituzione della facoltà di magistero. Benché generalmente stimato per le sue doti di insegnante (fra i suoi allievi vi furono Alberto Maria Ghisalberti ed Emilia Morelli), da un punto di vista accademico la sua carriera non fu fortunata poiché non arrivò mai all’ordinariato. Al concorso per storia moderna bandito dall’Università di Catania nel 1900 ottenne un buon giudizio con una riserva della commissione sulle sue capacità nel dare un’interpretazione generale dei fatti storici presi in esame. Per questo motivo fu escluso dalla terna dei vincitori, composta da Agostino Rossi, Gaetano Salvemini e, giudicati a pari merito terzi, Giuseppe Calligaris e Albano Sorbelli. La stessa dinamica e le stesse riserve si ripeterono per il concorso in storia moderna bandito dall’Accademia scientifico-letteraria di Milano nel 1905 dove fu preceduto da Gioacchino Volpe, Pietro Fedele e Salvemini. La vera delusione, tuttavia, fu il primo concorso a cattedra per storia del Risorgimento, bandito nel 1925, in cui la terna dei vincitori fu composta da Francesco Lemmi, Giuseppe Gallavresi e Pietro Silva. Rosi era stato severamente giudicato dalla commissione che aveva trovato scarse le sue capacità di giudizio sui documenti e sui fatti così come quelle di ricostruzione storiografica e di scrittura. Non andarono a buon fine neppure tre tentativi (1918, 1922 e 1932) di ottenere la cattedra per chiara fama. Il nome di Rosi, infatti, continuò a trovare ostacoli anche in seno alla facoltà di lettere dell’Università di Roma. Tra i critici più severi si segnalò Giovanni Gentile il quale nel consiglio di facoltà del 25 giugno 1918 dichiarò che «al Rosi mancano cognizioni fondamentali» e che «i suoi lavori hanno carattere cronistico» dicendosi, infine, poco convinto che egli fosse un buon insegnante come si sosteneva (Ghisalberti, 1980, p. 17).
Se i suoi primi lavori si erano concentrati sul Medioevo e l’Età moderna, Rosi spostò ben presto il proprio interesse verso il Risorgimento. Estraneo per motivi anagrafici alle vicende che portarono all’unificazione nazionale, apparteneva a una generazione di studiosi in cui forte era l’esigenza di dare alla storia del Risorgimento una dimensione nuova, che la allontanasse definitivamente dalla visione agiografica e dilettantistica che ancora agli inizi del Novecento la caratterizzava. Si trattava di fornire allo studio di quella che era allora la storia contemporanea una pari dignità metodologica e scientifica rispetto agli altri indirizzi. Per questo si insisteva molto sulla necessità di mettere al centro dell’indagine i documenti archivistici secondo i dettami del metodo filologico-critico.
Fondamentale per la svolta risorgimentistica di Rosi era stato nel 1902 l’incontro con Antonio Mordini, uno degli ultimi patres patriae ancora in vita. Il professore lucchese lo aveva cercato per ottenere il suo appoggio di grande notabile contro la statizzazione del Real Collegio di Lucca, decisa dal ministro della Pubblica istruzione Guido Baccelli nel 1899. I due entrarono subito in confidenza tanto che, appresa la notizia della morte dell’anziano patriota, avvenuta il 14 luglio 1902, Rosi decise di dedicargli uno studio biografico, uscito con il titolo Il Risorgimento italiano e l’azione di un patriota, cospiratore e soldato (Roma-Torino 1906).
Per questo lavoro il figlio di Mordini, Leonardo, gli concesse di lavorare nell’archivio di famiglia a Barga senza porre limiti allo storico che voleva, grazie a quei documenti, finalmente scrivere «una seria pagina di storia del Risorgimento» (Rosi, Appunti personali (1901-1933), a cura di C. Ferrara degli Uberti, 2015, p. 34). Per integrare le carte Mordini, Rosi si rivolse agli ultimi protagonisti viventi delle vicende risorgimentali come Luigi Guglielmo di Cambray Digny e Giovanni Cadolini per chiedere documenti e testimonianze. Oppure contattò i discendenti: alcuni si rivelarono bendisposti, come gli eredi dei Cairoli o di Angelo Bargoni. Al volume su Mordini, seguì, nel 1908, lo studio I Cairoli anch’esso fondato su una larga indagine archivistica e riedito nel 1929.
Incline a preferire il genere biografico, Rosi si misurò anche con delle sintesi generali di storia d’Italia – la Storia contemporanea d’Italia (Torino 1914) e L’Italia odierna. Due secoli di lotte, di studi e di lavoro per l’indipendenza e la grandezza della patria (Torino 1916-1919) – sulle quali tornò costantemente, aggiornandole, fino a quando gli fu possibile. Anche in queste opere, coerentemente con le sue convinzioni Rosi si astenne dal mettere in primo piano le proprie interpretazioni storiografiche, preferendo far parlare i documenti e i fatti al fine di fornire una visione il più rigorosa, neutra e scientifica possibile delle vicende nazionali dal Settecento alla contemporaneità.
Ancora oggi l’opera maggiormente conosciuta di Rosi è il Dizionario del Risorgimento nazionale, la cui idea nacque e prese corpo fra il 1909 e il 1913, quando iniziarono a uscire i primi fascicoli divisi in due serie, I fatti e Le persone. Attorno a questo progetto, Rosi tentò di collegare studiosi di grande fama, quali Benedetto Croce e Pasquale Villari; personalità di rilievo, come Ferdinando Martini; colleghi risorgimentisti quali Giuseppe Gallavresi; giovani allievi come Ersilio Michel e Ghisalberti; semplici cultori di storia del Risorgimento come Gaetano Badii di professione ragioniere, autore di decine di voci. Il tutto sotto la direzione scientifica di Rosi stesso che curò personalmente la maggior parte delle voci, soprattutto quelle storiograficamente più significative e problematiche, sia nei Fatti, sia nelle Persone. La lunga e articolata introduzione all’opera costituì l’occasione per riproporre la sua convinzione che le origini del Risorgimento andavano ricercate nel Settecento riformatore italiano. L’impresa si fermò a causa della prima guerra mondiale e riprese solo negli anni Venti quando l’editore Vallardi, dopo varie diatribe con il professore lucchese, decise di far uscire l’opera in quattro volumi stampati tra il 1930 e il 1937, l’ultimo dei quali dopo la morte di Rosi.
Uomo di idee conservatrici, Rosi fu sempre ostile alla politica militante e alle sue commistioni con la ‘scienza’. Nel suo diario censurò severamente l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra e il mutamento di alleanze. Si ritenne un apolitico convinto. Non fu neppure un fautore del fascismo, di cui non approvava i metodi intimidatori e gli attacchi alle istituzioni dello Stato liberale. Profondamente cattolico, criticò gli accordi del 1929 perché, richiamando in vita il potere temporale, rinnegavano uno degli esiti del Risorgimento. A suo avviso sarebbe bastato solo un concordato fra Stato e Chiesa. Tuttavia, del fascismo non fu neanche un attivo oppositore. Quando, nel 1931, il regime obbligò i docenti universitari al giuramento di fedeltà, Rosi si prestò a quel gesto che definì «vincolante un’azione che non ho mai esercitata» (Appunti personali (1901-1933), cit., p. 310), ovvero fare politica attiva. Non avendo mai fatto politica né prima, né dopo l’ascesa del fascismo non si sentiva toccato da un atto che implicava, invece, una grave menomazione alla libertà d’insegnamento. Rosi, infatti, era convinto che gli «insegnanti anche dopo il giuramento dovevano servire [...] la scienza e non i governi» (p. 310).
Morì celibe a Lucca il 23 gennaio 1934.
Fonti e Bibl.: Le carte di Michele Rosi, che constano di un vasto carteggio e dei materiali di lavoro, si conservano a Pisa, presso il Centro archivistico della Scuola normale superiore. Una nutrita selezione del suo diario in M. Rosi, Appunti personali (1901-1933), a cura di C. Ferrara degli Uberti, Pisa 2015. Per la sua bibliografia: Bibliografia degli scritti editi e inediti di M. R., in C. Gabrielli Rosi - A.M. Ghisalberti, M. R., Lucca 1961, pp. 24-60. Sulla vita di Rosi: A.M. Ghisalberti, Ricordo di un maestro: M. R., in A.M. Ghisalberti - C. Gabrielli Rosi, M. R., cit., pp. 7-8; Id., M. R., in Id., Maestri e compagni di strada, Città di Castello 1972, pp. 81-93; Id., M. R. e i «patti lateranensi», in Rassegna storica del Risorgimento, LXIII (1976), 4, pp. 462-471. Per un inquadramento dell’opera di Rosi: Rassegna storica Toscana, XXXII (1986), 2, monografico: M. R. e la storiografia del Risorgimento; M. R. e Antonio Mordini, a cura di C. Gabrielli Rosi, Pisa 2004; S. Marcucci, Il pensiero storico-filosofico di due accademici lucchesi M. R. e Arturo Moni, Lucca 2002; M.P. Paoli, «[...] Mi scriva, caro professore»: prime note sull’epistolario di M. R. (1864-1934), in Culture e libertà. Studi di storia in onore di Roberto Vivarelli, a cura di D. Menozzi - M. Moretti - R. Pertici, Pisa 2006, pp. 189-238; R. Pertici, M. R. e Antonio Mordini in un libro recente, in Atti dell’Accademia lucchese di scienze, lettere e arti, s. 2, 2006, vol. 33, pp. 43-56; Actum Luce. Rivista di studi lucchesi XLIII (2014), 1, monografico: Le carte di M. R. (1864-1934). Magistero e percorsi di ricerca sul Risorgimento italiano, a cura di R. Bacchiddu - C. Satto. Sulla carriera accademica di Rosi: A.M. Ghisalberti, Una pagina di storia universitaria: perché M. R. rinunciò alla cattedra, in Ottocento piacentino e altri studi in onore di Giuseppe S. Manfredi, Piacenza 1980, pp. 7-42; L. Giambastiani, M. R. nella docenza e nella memoria postuma, Torre del Lago 2012. Sull’esperienza del Dizionario del Risorgimento nazionale: U. Carpi, M. R. e il Dizionario del Risorgimento, in Passato e presente, 2011, vol. 83, pp. 123-136.