PERETTI DAMASCENI, Michele
PERETTI DAMASCENI, Michele. – Nacque nel 1577 dal gentiluomo romano Fabio Damasceni e da Maria Felice Mignucci Peretti, nipote del cardinale Felice Peretti.
Quando il prozio (da cui prese il cognome) venne eletto papa con il nome di Sisto V (24 aprile 1585), Peretti aveva solamente otto anni, ma fu presto nominato governatore di Borgo e capitano generale della guardia pontificia (12 novembre 1585). Fu questo l’inizio di un’ascesa rapida e incisiva, straordinaria se posta a confronto con le traiettorie di altri consanguinei dei papi del secondo Cinquecento. Ebbe come precettore Torquato Tasso. Il 1° dicembre 1585 Sisto V lo dichiarò con un breve emancipato dalla potestà del padre e gli diede facoltà di comprare, vendere e donare beni senza altra formalità che il contestuale intervento del cardinale Alessandro Damasceni Peretti (suo fratello maggiore).
Governi di altri Stati cattolici corroborarono la strategia in atto: la Repubblica di Venezia creò Peretti patrizio veneto, il re di Spagna Filippo II gli fece assegnare una pensione annua di 4000 scudi. Peretti poteva contare anche sulle entrate derivanti dai benefici e dalle pensioni ecclesiastiche: una bolla del 18 novembre 1587 gli diede a riguardo idonee facoltà. Seguirono nuovi incarichi nello Stato della Chiesa: il 20 dicembre 1587 egli fu nominato governatore di Ancona, il 2 novembre 1589 governatore di Fermo. Peretti acquistò quindi, il 20 gennaio 1590, il marchesato di Incisa e la contea di Calusio (nel Monferrato), feudi del duca di Mantova e del Monferrato Vicenzo I Gonzaga. Nella conclusione di questi importanti negozi giuridici, fu assistito dal fratello cardinale. Nel contempo, veniva preparata per lui l’importante unione matrimoniale con la milanese Margherita Cavazzi della Somaglia, ricca erede di un casato che vantava parentele con il conte di Chinchón (Pedro Pérez de Cabrera-Bobadilla), in posizione di spicco nella corte di Filippo II. Il patto fu concluso per procura nell’aprile 1589 e le nozze furono celebrate nonostante la giovane età degli sposi: nell’occasione, la poetessa e autrice teatrale Isabella Andreini compose un Epitalamio (opera rara, di cui resta un esemplare nella Biblioteca Augusta di Perugia). Il matrimonio sarebbe però stato consumato soltanto nell’autunno 1595, quando già sembrava che esso dovesse essere sciolto lasciando libero Peretti per soluzioni ancora più prestigiose (con una delle sorelle di Cesare d’Este o con Caterina Gonzaga).
La morte del prozio pontefice (il 27 agosto 1590) non comportò una drastica cesura: il 2 settembre 1590 il Sacro Collegio nominò Peretti «conductorem generalem ad custodiam Conclavis» (Archivio di Stato di Roma, Camerale I, b. 934, c. 140r) con 500 scudi al mese di stipendio; a suo nome, il 6 settembre 1590, uscì il Bando da osservarsi da tutti gli capitani, offitiali, soldati, et altri stipendiati, che regolamentò la condotta dei militari durante il periodo di sede vacante. Sul fronte degli interessi personali, il 20 dicembre 1590 la nonna Camilla (vero motore delle fortune familiari) fece donazione «inter vivos» a Peretti di tutti i suoi beni, mobili e immobili, riservandosi l’usufrutto in vita di alcuni immobili. Vi erano compresi (solo per citare i beni più cospicui) la villa con ampio giardino che copriva la parte superiore dei colli Esquilino e Viminale (posta a disposizione anche di suo fratello, il cardinale Alessandro), un palazzo in Borgo, il palazzo nel rione Pigna acquistato da Muzio Mattei, alcuni casali nei dintorni di Roma (fra cui Palidoro, Torre in Pietra, Leprignana e Sant’Angelo sulla via Aurelia, valutati 150.000 scudi), diversi altri orti, vigne e fondi. La nonna acquistò altresì per Peretti, il 21 luglio 1594, il feudo di Mentana dai fratelli Fabio e Virginio Orsini con tutti i relativi immobili e diritti. Furono spesi nell’occasione 250.000 scudi: ottenuto il relativo beneplacito da Clemente VIII, Peretti ne prese possesso per procura nel marzo 1595 assumendo titolo marchionale. Quindi, nel 1596, Camilla Peretti donò al nipote la baronia di Pescina e la contea di Celano (in Abruzzo), acquistate cinque anni prima dai Piccolomini. La città di Venafro (presso Isernia), pure acquistata da Camilla dal Demanio regio intorno al 1588, fu ereditata da Peretti nel 1605. Filippo II, con diploma del 27 novembre 1605, la eresse in principato. Il 28 luglio 1606 Peretti comprò infine il castrum di Monte Gentile (presso Mentana) per 24.775 scudi.
Si affacciò alla professione militare, cercando di ottenere, nel 1594, il grado di generale della cavalleria dello Stato di Milano (senza però reali speranze di successo); nel 1604 sembrò prossima la sua partecipazione alle guerre di Fiandra negli eserciti spagnoli; quindi, nella primavera 1607, durante l’ultima, acuta fase del contrasto tra Roma e Venezia (colpita dall’interdetto), ricevette la nomina a capitano generale della cavalleria pontificia: tuttavia, la composizione della vicenda fece sì che egli non dovesse impegnarsi sul campo. Era ormai un protagonista della scena romana: agli osservatori più acuti (quale, per esempio, il futuro cardinale Guido Bentivoglio) appariva «nato grande e non divenuto» (cit. in Loskoutoff, 2011, p. 352). Nel luglio 1608, un suo intervento nell’accademia che si teneva in casa del cardinal Giambattista Deti fu accompagnato da quattro cardinali, dieci prelati di Curia, più alcuni membri dell’aristocrazia romana. Peretti mostrava inoltre un gusto spiccato per gli spettacoli teatrali: suo segretario fu Giulio Cesare Bagnoli, poeta e tragediografo; la Nova Amarilli di Tiberio Gambaruti gli fu dedicata nel 1605. Giambattista Marino gli dedicò un sonetto della terza parte delle sue Rime (intitolato Splende Michel fra gli angeli immortali) e lo raffigurò come il primo dei nobili romani nell’Adone (canto XX, ott. 301).
Nella primavera 1610, Peretti iniziò a progettare un grande viaggio in Europa: dovette inizialmente rinunciarvi a causa dell’assassinio del re di Francia Enrico IV (14 maggio 1610). Partì due anni dopo, nel giugno del 1612, dopo essere stato autorizzato da Paolo V (con chirografo del 18 luglio 1611) a donare al figlio Francesco (nato nel 1595) il feudo di Mentana. Fu a Venezia, in Germania, nei Paesi Bassi; arrivò anche a Londra, prendendo dimora nell’ambasciata spagnola. Poco dopo il suo ritorno, la morte della consorte (il 6 febbraio 1613) aprì la prospettiva di un suo secondo matrimonio. Peretti fu in questa circostanza molto disinvolto: prese infatti in moglie Anna Maria Cesi, impegnata con il figlio Francesco attraverso capitoli matrimoniali già conclusi. Le nozze avvennero il 13 novembre 1613, ma fu necessaria una dispensa di Paolo V (datata 23 settembre 1613) per l’impedimento publicae honestatis. In onore della nuova unione, nel febbraio 1614, fu messo in scena a Roma L’amor pudico, «festino distinto in cinque hore» di Iacopo Cicognini musicato e rappresentato nel palazzo della Cancelleria (ne fu stampato il libretto a Viterbo, presso Girolamo Discepolo).
La solidità economica di Peretti poteva contare sul sostegno del debito pubblico: nel 1609 Paolo V autorizzò l’erezione del «monte Viano» (di 220.000 scudi di valore), garantito dalle entrate del casale di Torre in Pietra; nell’ottobre 1610 esso fu ulteriormente ampliato mediante una nuova emissione di titoli. Peretti utilizzava anche forme di rendita meno usuali: nel giugno 1613 suddivise fra Camillo Pavoni, Roberto Primi e Ottavio Doni un appalto per «cavare e far cavare argenti, et ori, metalli et altro nella montagna chiamata della Fogna contado della città di Camerino vicino al fiume della Fiastra» (Archivio di Stato di Roma, Archivio Sforza-Cesarini, parte I, n. 73, cc. n.n.); in cambio avrebbe avuto 500 scudi annui, più una parte dei metalli estratti.
La tenuta di Torre in Pietra, nel secondo e nel terzo decennio del Seicento, fu a più riprese oggetto di lavori diretti dall’architetto Francesco Peperelli: poiché vi soggiornava per parte dell’anno, Peretti volle che vi fosse edificato un palazzo, decorato con pitture e marmi e abbellito da una fontana al suo ingresso. Nel 1624 egli acquistò dalla Camera apostolica per 30.000 scudi il palazzo contiguo alla basilica romana di S. Lorenzo in Lucina, prevedendo che dovesse diventare la sua dimora.
Peretti morì a Roma il 4 febbraio 1631, probabilmente di peste, senza aver fatto testamento. Venne seppellito nella cappella funeraria voluta da Sisto V in S. Maria Maggiore.
I suoi beni furono ereditati dal figlio Francesco, che abbracciò la carriera ecclesiastica (avrebbe raggiunto il cardinalato in occasione della promozione del 16 dicembre 1644). Peretti ebbe dal suo primo matrimonio anche due figlie: Maria Felice (che sposò Bernardino Savelli) e Camilla (monaca domenicana nel monastero romano di S. Caterina da Siena). Restano un suo busto, opera di Giuseppe Finelli, e un ritratto a figura intera (in armatura) di Pietro Facchetti.
Fonti e Bibl.: Parte dell’archivio di Peretti si trava nell’Archivio di Stato di Roma, Archivio Sforza-Cesarini, parte I, bb. 51-74 e nell’Archivio storico Capitolino, Archivio Cardelli, in particolare nella sezione denominata Appendice; M. Franceschini - E. Mori - M. Vendittelli, Torre in Pietra. Vicende storiche, architettoniche, artistiche di un insediamento della Campagna romana dal Medioevo all’età moderna, Roma 1994, ad ind.; S.G. Vicario, Le vicende medievali, in Nomentum, Lamentana, Mentana, Roma 1999, pp. 65 s.; Y. Loskoutoff, Un art de la Réforme catholique. La symboliquye du pape Sixte-Quint et des Peretti-Montalto (1566-1655), Paris 2011, ad indicem.