NOVARO, Michele
NOVARO, Michele. – Nacque a Genova il 23 dicembre 1818 (Genova, parrocchia di S. Lorenzo, Liber Baptizatorum 1793-1864).
Fu il primo dei cinque figli (seguito da Giovanni Battista, poi architetto ornatista e professore all’Accademia Lingustica, Luigi, Giovanni Carlo e Caterina) di Gerolamo, oriundo di Dolceacqua (Ventimiglia) e futuro macchinista del teatro Carlo Felice, e di Giuseppina Canzio, sorella del pittore e scenografo Michele Canzio (1788-1868): costui, dapprima attivo al teatro S. Agostino, passò poi al Carlo Felice, dove in due diversi periodi (1832-36 e 1850-54) operò anche come impresario; dal suo matrimonio con Carlotta (figlia del poeta Martin Piaggio) nacque Stefano, che sposò Teresita, figlia di Garibaldi.
All’apertura della Scuola gratuita di canto – istituita nel 1829 ed embrione dell’attuale Conservatorio Nicolò Paganini – fu iscritto come allievo. Il 6 ottobre 1838 cantò alla prima cittadina di Gianni di Calais di Gaetano Donizetti al Carlo Felice, dove partecipò pure alla Marescialla d’Ancre di Alessandro Nini (1840). Fu poi secondo tenore al Regio di Torino nelle stagioni 1841 (Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini e Il lago delle fate di Carlo Coccia), 1842 (I Puritani di Bellini e Marin Faliero di Donizetti), 1843 (Ilreggente di Saverio Mercadante) e 1845 (Ernani di Giuseppe Verdi e Norma di Bellini).
Toccò l’acme della carriera di cantante negli anni 1842-44 come secondo tenore nel cast italiano del teatro di Porta Carinzia di Vienna: nel 1842 cantò nella Vestale di Mercadante, nella Lucia di Lammermoor e nella prima di Linda di Chamounix di Donizetti (nella parte dell’Intendente); nel 1843 ancora nella Linda, nel Don Pasquale e nella prima di Maria di Rohan di Donizetti (vi sostenne la parte di Armando di Gondì, che l’autore riscrisse poi per mezzosoprano); nel 1844 nella Gazza ladra di Gioachino Rossini.
Nel 1847 si stabilì di nuovo a Torino per lavorare come secondo tenore e maestro dei cori al Regio e al Carignano. Lì, nel giro di poche ore, compose il Canto degli Italiani, il cosiddetto Inno di Mameli (per voci maschili e pianoforte).
Secondo una testimonianza di Anton Giulio Barrili, una sera di novembre fu raggiunto in casa dello scrittore e patriota Lorenzo Valerio dal pittore Ulisse Borzino che, proveniente da Genova, gli consegnò un componimento di Goffredo Mameli: Novaro lo lesse, ne fu colpito, abbozzò lì per lì un tema, poi corse a casa e compose l’inno, che in breve s’impose come il più appassionante canto patriottico in un momento storico in cui di inni se ne componevano a decine, in lingua o in dialetto.
Appartenente alla categoria degli inni patriottici bellicosi, sul modello della Marsigliese, il Canto degli Italiani tradisce nel suo teso lirismo il legame col melodramma (è un «Canto», non una marcia). Lo si può immaginare come una scena teatrale: il tenore (l’eroe) si rivolge al coro (il popolo) con un’invocazione («Fratelli d’Italia, / l’Italia s’è desta», Allegro marziale in Si bemolle maggiore); il popolo ascolta, freme e poi ripete (Allegro mosso, Mi bemolle maggiore), sottovoce, quasi a volersene convincere; poi, la decisione di combattere («Stringiamci a coorte», Do minore) inizialmente piano per poi crescere e accelerare fino all’esplosione finale in Mi bemolle maggiore (inconsueta la conclusione in altra tonalità rispetto all’avvio).
Il 12 ottobre 1946 il Canto degli Italiani, assai diffuso nel secondo Ottocento come canto patriottico, è stato provvisoriamente adottato come inno nazionale della Repubblica Italiana; la proclamazione definitiva da parte del Senato è del 17 novembre 2005.
Convinto liberale, mise il proprio talento al servizio della causa risorgimentale. Non solo compose pagine d’occasione, ma organizzò spettacoli benefici, come il 12 agosto 1859 al teatro Doria («pro feriti della guerra d’indipendenza»; Gazzetta di Genova, 10 agosto 1859) e il 13 febbraio 1860 al Carlo Felice («in vantaggio della patriottica soscrizione di un milione di fucili, promossa dal prode generale Garibaldi»; ibid., 9 febbraio 1860).
Nel 1860 diresse la Società filarmonica di Mutuo soccorso a Genova e nella stagione autunnale del 1861 e in quella successiva di carnevale (1861-62) lavorò come impresario al Carlo Felice. Sempre nei primi anni Sessanta fondò una Scuola di canto popolare per la quale adottò il metodo numerico ideato da Jean-Jacques Rousseau: il 21 luglio 1864, come attesta l’indomani la Gazzetta di Genova, presentò i suoi giovani allievi al teatro Paganini. Nei mesi successivi si recò in Germania per studiare l’organizzazione delle scuole musicali di quel paese. Per i suoi giovani studenti rielaborò celebri opere: si cita nel 1876 la parodia della Norma belliniana, La sacerdotessa d’Irminsul (testo di Domenico Taddei).
Due anni prima (22 ottobre 1874) al teatro Nazionale di Genova aveva messo in scena la sua opera buffa in dialetto genovese, Ö mego pe forza, libretto di Niccolò Bacigalupo (da Molière). D’indole modesta, incapace di trarre vantaggi dal successo, trascorse gli ultimi anni in povertà; la sua condizione migliorò nel 1878 quando ottenne l’incarico di maestro di canto nelle scuole municipali.
Morì a Genova il 20 ottobre 1885. È sepolto nel Cimitero di Staglieno, non lontano da Mazzini.
Opere: oltre quelle citate nel testo, si ricordano È risorta!, canto di Barrili, per coro e pianoforte, 1859; Suona la tromba, inno di guerra, testo di Mameli, 1860; Grido siculo, ossia La Rivoluzione siciliana, canto popolare per coro, campane, cannone, tamburo e pianoforte, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, s.d.; Viva l’Italia: album di canti popolari italiani, testi di F. Dall’Ongaro, Milano, s.d.; Umberto e Margherita, Marcia reale d’ordinanza, Torino, s.d.; Satana, valzer diabolico per pianoforte, Milano, s.d.; Una battaglia, pezzo descrittivo di fantasia a grand’orchestra e banda, riduzione per pianoforte a 4 mani di Luigi Truzzi, Milano 1868. Scrisse anche una Raccolta di regole d’armonia (cfr. G. Piumatti, Catalogo delle opere di musicisti liguri esistenti presso la Biblioteca del Conservatorio di musica «Nicolò Paganini» di Genova, Genova 1975, p. 31)
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca Berio, Archivio Monleone: M. Novaro, Sei lettere manoscritte a Leonardo Monleone; A.G. Barrili, Come nacque l’Inno, in Il Canto degli Italiani, a cura di D. Alaleona, Roma 1924, pp. 11 s.; C. Schmidl, Dizionario universale dei Musicisti, II, Milano 1926, p. 184; G.B. Vallebona, Il Teatro Carlo Felice. Cronistoria di un secolo, 1828-1928, Genova 1928, passim; E. Frassoni, Due secoli di lirica a Genova, Genova 1980, I, p. 149; II, pp. 310 s., 418; A. Cantù - G. Tanasini, La lanterna magica, Genova 1991, pp. 72-74; R. Iovino et al., I palcoscenici della lirica - Cronologia dal Falcone al nuovo Carlo Felice (1645 - 1992), Genova 1993, pp. 71, 90 s., 178, 209; R. Iovino, M. N. e l’Inno di Mameli, in Fratelli d’Italia. Goffredo Mameli e Genova nel 1847, a cura di E. Costa - G. Fiaschini - L. Morabito, Genova 1998, pp. 87-99; F. Della Peruta - M. Benedetti - C. Sillitti, Suona la tromba. Verdi, la musica e il Risorgimento, Genova 2001, pp. 69-78, 89; G. Mameli - M. Novaro, Il Canto degli Italiani, revisione di M. Benedetti, [Roma] 2001; T. Maiorino - G. Marchetti Tricamo - P. Giordana, Fratelli d’Italia, Milano 2001, pp. 17-24; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1836 bis 1848. Die Ära Balochino-Merelli, Wien 2005, ad ind.