ALLEMANDI, Michele Napoleone
Nacque nel 1807 da una famiglia di Saluzzo.
Il padre, Benedetto Cesare (con cui talvolta viene confuso), nato a Verzuolo (Saluzzo) nel 1784, aveva militato sotto Napoleone, divenendo poi, con la restaurazione, sottotenente dei carabinieri sardi in Ivrea. Condannato a 20 anni di carcere per la partecipazione ai moti del '21, si era rifugiato in Svizzera, dove aveva preso attiva parte nell'organizzazione dell'emigrazione politica italiana e straniera. La persecuzione del governo piemontese lo aveva obbligato a spostarsi nei vari cantoni e a recarsi in Inghilterra. Dalla Francia e nuovamente dalla Svizzera aveva lavorato attivamente ai progetti d'insurrezione del 1830 e d'invasione della Savoia del 1831 e del 1834, rivolgendo anche ai soldati piemontesi diversi proclami invitanti all'insurrezione. Nel 1834 aveva avuto un comando nella colonna che doveva puntare su Les Echelles. Dopo quest'anno se ne perdono le tracce: si sa soltanto che, rifugiatosi per qual che tempo in Inghilterra, era morto in Svizzera intorno al 1844.
Il figlio Michele Napoleone, che lo aveva seguito con la madre e tre sorelle nell'esilio, si inserì presto nella lotta politica accanto al padre, partecipando al menzionato tentativo d'invasione della Savoia del '34. Implicato in una rappresaglia politica, esule in Inghilterra, combatté nella Spagna, militò nel Belgio, per tornare poi nella Svizzera, nel cui esercito prese parte alla campagna del Sonderbund, agli ordini del Dufour, ottenendo, nel 1847, la nomina a colonnello federale. All'annuncio della rivoluzione lombarda del 1848, si dimise temporaneamente dall'esercito svizzero e il 28 marzo 1848 si presentò al governo provvisorio che teneva pratiche con la Svizzera per avere soldati. Fu ritenuto idoneo a condurre la guerra di bande e nominato generale di brigata della costituenda Armata italiana, restandogli affidato il supremo comando di tutte le formazioni mobili dei volontari lombardi, svizzeri e genovesi, pur senza un piano di campagna ma con la disposizione vincolante di attenersi alla cooperazione operativa immediata coi Piemontesi. La sua nomina non piacque però al ministro sardo della Guerra A. Franzini, anche perché l'A. era tenuto in sospetto dallo stesso governo provvisorio per i suoi precedenti repubblicani. Resosi conto della situazione per cui nel clima di freddezza dei comandi regi i volontari in operazioni campali nel Quadrilatero si sarebbero resi sempre meno utili, l'A., incoraggiato anche dai profughi del Trentino, progettò in quella regione una vasta operazione approvata all'unanimità nel consiglio di guerra di Montichiari del 6 aprile.
Già il Cattaneo e il Comitato di guerra avevano pensato di destinare i corpi franchi a condurre operazioni di montagna, estendendo la rivoluzione e l'iniziativa popolari nelle valli alpine dell'Alto Bresciano e del Trentino, zone di grande importanza per le comunicazioni con l'Austria attraverso la Val d'Adige e le altre conferenti, impedendo così il rafforzamento del Quadrilatero. Col Veneto tutto libero l'operazione aveva probabilità di riuscire, facendo leva sulle buone disposizioni delle popolazioni, purché nei primissimi giorni si operasse con rapidità e decisione, sfruttando la sorpresa, e sollevando Trento e la regione circostante, mentre il grosso delle truppe di Welden si trovava ancora nel Voralberg per timore che i liberali svizzeri aiutassero quelli austriaci e italiani.L'A., benché avesse chiaro il concetto strategico dell'operazione, non seppe imprimerle vigoria e tempestività: alterando l'ordine dell'operazione proprio su richiesta del comando piemontese, che pur la aveva approvata, acconsentì subito che la colonna Manara concorresse alle operazioni di Peschiera e Castelnuovo. La spedizione si indebolì, quindi, sul nascere, anche perché altri corpi volontari che avrebbero potuto rinforzarla furono trattenuti come avanguardia dei Piemontesi. Si perdette così tempo prezioso e le quattro colonne (comandate da Manara, Arcioni, Longhena e Thannberg) si inoltrarono nelle vallate alpine non più a scaglioni, ma disunite e lontane dal comandante. I successi del 13 e 14 aprile a Toblino e Vezzano portarono le avanguardie a poco più di 10 km da Trento, ma la linea lunga e sottile di 40 km, coperta da poche forze lasciate sprovviste di tutto, indeboliva pericolosamente questo schieramento, del resto collegato sommariamente con altri gruppi sulla destra verso il Garda e sulla sinistra fino a Clès in Val di Sole. In questa situazione, ancor per poco propizia, l'estensione efficace della guerra rivoluzionaria era già più difficile e l'A. non seppe fare coll'audacia quello che non poteva fare colla forza: procedere su Trento sollevandola, troncando così la Val d'Adige e minacciando la Vallarsa, uniche linee di comunicazione aperte al nemico. L'A., andato a Tione il 14 per dirigere l'offensiva, sempre a corto di equipaggiamenti, con 5-6.000 uomini sparsi e spesso fuori del suo controllo, fisso al principio di non operare fuori del concorso piemontese e fermo a regole operative tradizionali, ordinò alle colonne avanzate in un primo tempo di fermarsi (14 aprile) e, subito dopo (14-15 aprile), di ritirarsi da Vezzano su Sclemo e Stenico per costituire una massa di manovra da Condino a Tione, col quartier generale a Vestone.
Lo slancio iniziale era paralizzato e l'offensiva interrotta, come poi ordinava anche il governo sardo. L'A. si recò poi a Milano presso il governo provvisorio, sperando di raccogliere mezzi e forze per una ripresa offensiva, ma senza successo.
Confidate al Mazzini le sue amarezze per l'abbandono totale in cui erano lasciati i volontari, l'A. fece ancora un tentativo al quartier generale del re a Volta, ma venne confermato l'ordine di non procedere con l'operazione. Incapace di reagire costruttivamente a questa ultima manifestazione della decisa volontà di centralizzazione da parte dei Piemontesi, l'A. voleva dare le dimissioni (19 aprile). Intanto però, mentre l'ordine di ripiegamento produceva scoraggiamento e disordine nei reparti più provati dai disagi e nelle popolazioni che si sentivano abbandonate, il Welden aveva avuto il tempo di arrivare a Trento minacciata e riprendere l'offensiva (19 aprile), con l'intento di cogliere i volontari in crisi di assestamento nel passaggio da uno schieramento offensivo ad uno difensivo. Attaccando fra Ripa e Vezzano, portò l'attacco principale in due direzioni: per Stenico su Condino e per Clès su Malé, riuscendo a sfondare (20 aprile) dappertutto l'esile ragnatela delle schiere dei volontari. Lo schieramento si stabilizzò sulla linea di confine del 1815 tra il Lombardo-Veneto e la Confederazione germanica.
Ancora una volta l'A., preso dal problema dei collegamenti e dei rifornimenti, non era riuscito a dominare la situazione, che poi, nel precipitare degli eventi, non risolse né organizzativamente né operativamente, sconosciuto ai più dei volontari, e senza ascendente su di essi.
Finì così rapidamente, quasi miseramente, come episodio di fiancheggiamento della guerra regia, una vasta operazione pur animosamente iniziata, mentre, se condotta con autonomia e mezzi come guerra di popolo e di bande, portando fulmineamente la rivolta nel Trentino e collegandosi per l'alto agli insorti di Val Brenta e Val Piave ancor a lungo combattenti, nel Veneto ancor tutto italiano, avrebbe giovato anche ai Piemontesi isolando Radetzky. La condotta della guerra di popolo doveva essere improntata a quella celere temerità che la cooperazione operativa coi Piemontesi negava, obbligando invece alle lentezze di una tattica in parte superata.
L'A. non seppe decidersi per una delle due forme di guerra. Le popolazioni e i volontari ricevettero dall'insuccesso e dalla collaborazione infelice un grave danno morale e psicologico, che diminuì l'iniziativa popolare, vera forza della guerra nazionale.
L'A. cercò ancora successivamente qualche aiuto a Milano e a Brescia, ma era troppo tardi: il governo provvisorio, qui come a Bergamo, non aveva predisposto la riorganizzazione dei volontari pur avendo in tal modo giustificato l'ordine di ripiegamento. Così che essi tumultuavano incolpando il comandante e rendendolo sospetto anche alle autorità locali. Per le ingiuste e gravi accuse, l'A. diede le dimissioni dal comando e si portò a Milano dove rimase in servizio in attesa di un altro incarico che, nel clima di sempre maggior spregio delle forze volontarie, non gli fu dato. Polemizzò da un lato con i moderati, dall'altro con Cattaneo e i democratici che lo accusavano di aver fatto il gioco dei primi. I suoi collaboratori pubblicarono una Relazione ufficiale documentata delle sue operazioni militari. In seguito si adoperò per procurare l'aiuto di contingenti di volontari svizzeri, già del Dufour, nella guerra del Sonderbund, ma ne fu ostacolato dai moderati e dai rappresentanti piemontesi pur essendo favorevole il governo federale. Nel luglio fu incaricato di offrire il comando dell'Armata lombarda al Dufour che, ormai senza fiducia, lo ricusò. Rifugiatosi dopo il 6 agosto in Piemonte, fu addetto senza comando alla Divisione lombarda. Dopo Novara preferì l'esilio in Svizzera e stampò a Berna dei Cenni storici sulla sua attività militare nel 1848. Morì a Basilea il 13 febbr. 1858.
Opere dell'A.: I volontari in Lombardia e nel Tirolo l'aprile del 1848. Cenni storici, Berna 1849; Rapport du général A. sur les opérations militaires de tous les corps des volontaires pendant le mois d'avril 1848, in Relazioni e rapporti finali sulla campagna del 1848 nell'Alta Italia, Roma 1910, II, pp. 409-417.
Fonti e Bibl.: Relazione officiale delle operazioni militari del gen. A. nel Tirolo, Milano 1848; Relazione non officiale della spedizione militare in Tirolo, Italia maggio 1848; C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel 1848 e la successiva guerra, in Scritti storici e geografici, a cura di G. Salvemini e E. Sestan, IV, Firenze 1957, pp. 210-213, 215 s., 219, 323, 463; C. Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, Roma-Milano 1906, pp. 64, 69; C. di Belgioioso, L'Italie et la révolution italienne de 1848, in Revue des Deux Mondes, XVIII (1848), pp. 103 s.; Id., L'insurrection du Tyrol italien, ibid., XIX (1849), pp. 215-220, 222 ss., 227; E. Dandolo, I volontari ed i bersaglieri lombardi, Torino 1849, pp. 46, 48, 53-55, 66 s.; A. Noaro, Dei volontari in Lombardia e nel Tirolo e della difesa di Venezia del 1848-49, Torino 1850, pp. 26 ss., 30-32, 35, 39 ss.,45, 54-58, 61; F. Anfossi, Memorie della campagna di Lombardia del 1848, Torino 1851, pp. 34, 35, 40-44; Ediz. naz. degli scritti... di G. Mazzini, Epistolario, XXXV, pp. 119 s. (altre citaz. e note della commissione editrice, ibid., IX, pp. 179, 226, 434; X, 51,435; XI, 386; XXXV, 119, 120, 125, 133); 7 lettere dell'A. a Francesco Pigozzi, con nota biografica, in G. D. Leoni, Un patriota del '53: Francesco Pigozzi, in Rass. stor. d. Risorgimento, XVIII (1930), pp. 110, 118-125; una lettera dell'A. al Cattaneo del 24 giugno 1850 in Epistolario di C. Cattaneo, raccolto e annotato da R. Caddeo con appendice di scritti e docudenti inediti e rari, IV [1862-1869], Firenze 1956, pp.658 s.; Archivio triennale delle cose d'Italia, Chieri 1855, s. 1, III, pp. 368 ss., 555 ss., 600, 624; F. Pinelli, Storia militare del Piemonte, Torino 1854-55, III, pp. 218 ss., 231-36, 263-279, 362; C. Baroni, I Lombardi nelle guerre italiane (1848-49), Torino 1856, I, pp. 44, 52 ss.; G. Ulloa, Guerre de l'indépéndance italienne en 1848 et en 1849, Paris 1859, I, pp. 130 s., 133; V. Ottolini, La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849, Milano 1887, pp. 220-225; G. B. Locatelli Milesi, I volontari bergamaschi nel Trentino e in Val Camonica, Bergamo 1896, pp. 11 ss.; C. Fabrie, Gli avvenimenti militari del 1848 e 1849, Torino 1898, I, 1, pp. 247-55,260-65, 326-38, 347, 351-70; C. Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo all'agosto 1848, Milano 1906, p. 445; L. Marchetti, Il Trentino nel Risorgimento, Milano 1913, pp. 113-179; M. Battistini, Esuli italiani nel Belgio. Gli Italiani al servizio dell'esercito belga, in Rass. stor. d. Risorgimento, XXI (1934), pp. 994 s.; M. Mauerhofer, Les rapports politiques italo-suisses pendant la première guerre d'indépendcznce italienne, ibid., XXXV (1938), pp. 1656 s.; G.Ferretti, Esuli del Risorgimento in Svizzera, Bologna 1948, pp. 121, 124.
Per l'Allemandi Benedetto Cesare: Archivio di Stato di Torino, fasc. pers. A. B.C.; U. Barengo, Un carabiniere mazziniano, in Rivista dei R. R. Carabinieri, VII, 6 (1940), pp. 354-364.