MARULLO TARCANIOTA, Michele
– Nacque con ogni probabilità a Costantinopoli, nel 1453, da Manilio Marullo, nobile originario della città di Dime, in Acaia, e da Eufrosine Tarcaniota, probabilmente discendente dai signori di Tarcanio, nel Peloponneso.
La composizione II 32 della sua raccolta di Epigrammata è una lunga elegia indirizzata Ad Neaeram che, in mezzo a elegiache e topiche proteste d’amore e a una proposta di matrimonio che sembra realistica, contiene (vv. 65-80) un compendio autobiografico, da cui si apprende che all’epoca della conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (29 maggio 1453) egli non era ancora nato e si direbbe concepito da poco. Il M. si definisce Costantinopolitanus nell’edizione degli Epigrammata ed è chiamato Bizantius nel De cardinalatu di Paolo Cortesi. Il padre discendeva dai re di Dime; antenati più lontani la famiglia vantava negli imperatori Gordiani, a loro volta discendenti dai repubblicani Gracchi e dall’imperatore Traiano: su una delle lapidi tombali della famiglia nella chiesa di S. Domenico in Ancona si legge «vetustissimo Marullorum genere, qui ex D. D. Gordianis Romanorum imperatoribus originem ducunt» (Monumentorum Italiae); nelle sue poesie il M. si richiama più volte alla propria origine greca e romana. L’origine argiva della madre, imparentata con i Paleologi, e la prosperità della famiglia materna sono ricordate nell’epitafio composto dal M. alla sua morte (Epigr. I 52, v. 3).
Dopo la caduta di Costantinopoli la famiglia si rifugiò a Ragusa, la Repubblica mantenutasi indipendente tra i Turchi, Venezia e il Regno di Napoli. Un riferimento alla puerizia si trova nell’Epigr. IV 17, De laudibus Rhacusae, in cui sono cantate l’indipendenza e la libertà della città, insieme con l’ospitalità, le bellezze, la prosperità e la fedeltà alle leggi e alle tradizioni. Poté essere ispirato anche dal lodato governo della città l’atteggiamento politico repubblicano del M., del quale è un esempio l’Epigr. III 30, in morte di Giovanni Andrea Lampugnani, il promotore della congiura contro Galeazzo Maria Sforza, ucciso il 26 dic. 1476. Nonostante ciò il M. non ha accenti di tenerezza per la sua infanzia: lamenti, ricordi di ingiurie subite, rimpianti e il dolore dell’esilio da una patria mai vista costellano ogni riferimento autobiografico.
Secondo lo storico Giovanni Tarcaniota, figlio di un cugino del M., Eufrosine raggiunse la Calabria, dopo un breve soggiorno nell’isola di Leucade, al seguito della «desposta d’Arta», da identificare in Melissa d’Arta, moglie di Leonardo Tocco. Si ritiene comunemente che il M. e il fratello Giovanni seguissero la madre, ma nessuna documentazione lo attesta; né è noto con certezza dove il M. ricevette la sua prima educazione letteraria. Da Epigr. II 32 si apprende che anche il padre fu costretto a raggiungere l’Italia, dove fu il M. fu educato alle lettere e dove subì molte sventure.
L’indicazione non autorizza a prestar fede a Ginguené, il quale afferma che il M. studiò latino e greco a Venezia e filosofia a Padova, senza citare la fonte delle notizie, che potrebbero essere plausibili se fosse dimostrato il soggiorno della famiglia ad Ancona, ipotizzato sulla base della presenza di numerose epigrafi con il nome dei Marullo nella chiesa di S. Domenico (alcune delle quali composte dal M. e corrispondenti a Epigr. I 39 e II 36). Ad Ancona fu sepolto sicuramente il bisnonno del M., Manilio. Gualdo Rosa (Poeti latini del Quattrocento, p. 963 n. 68) intende «Iliade» di Epigr. II 32, v. 68 come «troiano»: si alluderebbe all’origine troiana di Remo, citato «a preferenza di Romolo per la sua sorte infelice» e l’espressione si riferirebbe dunque genericamente all’Italia. Se così fosse, potremmo presumere che il luogo in cui il M. visse la sua adolescenza fosse Napoli, sia perché lì si stabilì il padre Manilio, provenendo da Ragusa con il nipote della madre, Paolo (la notizia ci viene dal figlio di questo, quel Giovanni Tarcaniota autore di Delle historie del mondo, c. 484v: ma è difficile pensare, con Kidwell, pp. 20 s., che a Paolo indirizzasse l’Epigr. I 5 un M. non ancora diciassettenne, visto che nello stesso epigramma il M. fa riferimento alla sua canizie: vv. 12-16), sia perché indubbiamente il giovane esule ebbe una raffinata educazione umanistica, possibile a Napoli, sede dell’Accademia Antoniana, poi Pontaniana. È certo che il M. visse a Napoli successivamente, che strinse amicizia con Giovanni Pontano e gli altri «accademici» e subì l’influsso della cultura «astrologica» ivi in auge. Tosto interpreta invece non peregrinamente l’espressione «Iliadae […] tecta Remi» di Epigr. II 32, v. 68 come un riferimento alla città di Siena, fondata, secondo la leggenda, dai figli di Remo, a sua volta figlio di Ilia, cioè di Rea Silvia («Iliades» è Romolo in Ovidio, Met. XIV, vv. 781 e 824); l’interpretazione è avvalorata dalla definizione di Siena come «soboles Remi» nell’Epigr. III 10, De laudibus Senae, vv. 2 e 24; meno plausibile ci pare l’ipotesi, formulata dallo stesso Tosto sulla base dei numerosi riferimenti al M. nel De cardinalatu, che il poeta non abbia studiato a Siena, ma «abbia frequentato piuttosto la scuola della vicina San Gimignano […] e l’accademia poetica che i Cortese tenevano nel loro castello di Monti» (p. 561); il M. potrebbe aver frequentato i Cortesi a Roma ed essere stato loro ospite a San Gimignano anche senza studiare in quella città.
A diciassette anni il M. cominciò probabilmente a servire come mercenario e raggiunse lontane terre orientali. Dalla sua poesia si ricavano notizie piuttosto vaghe sulla sua vita militare e sui suoi itinerari di guerra. Il M. indica infatti i luoghi visitati con generici e poetici toponimi e nomi di popoli antichi (Scizia, monti Rifei, Bessi, Geti), che rimandano imprecisamente all’area a nord del mar Nero e ai territori circostanti il Danubio (le attuali Romania, Bulgaria e Moldavia); la sapiente architettura della raccolta degli Epigrammata non coincide con un ordinamento cronologico e i numerosi riferimenti a nomi di potenti che si incontrano nella poesia del M. (per es., Federico da Montefeltro o Iacopo [IV] Appiani) non consentono di individuare precise relazioni con essi stabilite. Morirono in quel periodo la madre e il fratello Giovanni.
Se in Epigr. II 32, vv. 71-78 il M. indica con precisione l’età in cui il destino lo trascinò in luoghi lontani, questi luoghi sono designati con toponimi antichi generici e non sempre esattamente identificabili. Nello stesso epigramma sembra presente un riferimento alla vita del soldato di ventura, mentre è solo ipotizzabile che la «servitù» cui il M. si riferisce in Epigr. III 37 sia militare.
Per la morte della madre e del fratello il M. compose due carmi, Epigr. I 52, Epitaphium Euphrosynes Tarchaniotae matris, e I 22, De morte Iani fratris: nella sua autentica commozione, la poesia trae evidente ispirazione dal carme 101 di Catullo; il primo distico presenta un M. di ritorno da quegli stessi luoghi lontani e desolati menzionati negli Epigrammi citati in precedenza.
Si è anche ipotizzato che il M. ruotasse in quel periodo nel vasto raggio dell’attività militare del re di Ungheria Mattia Corvino. Paolo Giovio, nei suoi Elogia, afferma che egli servì come mercenario in Italia, nelle forze veneziane, sotto un non identificato Nicola Rhallis, tra gli «equites alarios»: ciò può essere accaduto dopo il ritorno del M. dall’Oriente, nella guerra di Ferrara (marzo 1482 - agosto 1484); o, dati i rapporti dei Veneziani con Mattia Corvino, è possibile che il M. fosse stato inviato in aiuto del sovrano ungaro contro i Turchi.
Nell’Epigr. IV 22 Mattia Corvino è lodato per la sua attività legislativa e militare, per il favore accordato agli studi e per la sua politica di accoglienza. Anche agli «aspri» Veneziani il M. fa riferimento rievocando le tappe della sua vita lontano da Ragusa in Epigr. IV 17. I Veneziani si avvalsero degli «stradioti» nella guerra contro i Turchi del 1463-79; molti furono inviati in Asia Minore nel 1472; in Italia combatterono nella guerra di Ferrara e nel 1482 in una spedizione in Puglia (Croce, 1945, p. 273). Un Nicola Rhallis che combatté per la Serenissima nel Peloponneso, lì fu trucidato dai Turchi nel 1465; il padre del poeta Manilio Rallo, amico del M., si chiamava Demetrio: cade così l’identificazione proposta da Ciceri; non suffragata da documenti nemmeno l’identificazione in un fratello di Manilio, prospettata da Hody.
Di ritorno dall’Oriente, verso la metà del 1476, il M. si stabilì a Napoli. Prima di giungervi passò verosimilmente da Firenze, in lutto per la morte di Simonetta Cattaneo Vespucci, o stabilì comunque rapporti con l’ambiente umanistico fiorentino: l’Epigr. I 36 è un epitafio per Simonetta; sicuramente di questo periodo anche Epigr. II 11 (epitafio di Roberto Sanseverino, principe di Salerno e grande ammiraglio del Regno di Napoli, morto nel dicembre 1474) ed Epigr. I 8, epitafio di Teodoro Gaza, morto probabilmente nel 1476. Il M. partecipò alla vita colta e gaia della città e stabilì rapporti con Pontano e con i membri della sua Accademia («Ex Pontani Academia» lo considera proveniente Giraldi).
La cultura astrologica napoletana e, in particolare, l’Urania di Pontano non furono elementi estranei alla genesi degli Hymni naturales del Marullo. È anche probabile che Pontano e il M. discutessero insieme sul testo di Lucrezio, se Pietro Candido, nella prefazione all’edizione da lui curata del De rerum natura, li cita insieme come restitutori del testo di Lucrezio. Negli Hendecasyllaborum libri di Pontano il M. è citato più volte: in I 10, Laetatur de reditu Francisci Aelii, è invitato a festeggiare il ritorno di Francesco Elio Marchese insieme con Giovanni Albino, Gabriele Altilio, Elisio Calenzio (Luigi Gallucci) e Pietro Golino (il Compater); la sodalitas accademica è più estesamente rappresentata nell’Epigr. I 54, Ad sodales, vv. 1-3, in cui sono invocati Lorenzo Bonincontri, il «Compare», Altilio, Elisio Calenzio, F.E. Marchese, Giovanni Pardo, Lucio Fosforo, Rallo, Iacopo Sannazzaro, Pontano; se Zanobi è, come pare, Zanobi Acciaiuoli, richiamato da Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico a Firenze dall’esilio nel 1478, questo è il terminus ante quem per la composizione dell’epigramma (l’identificazione è proposta da Perosa, e accolta da Kidwell; Percopo, p. 23 n. 4, seguito da Croce, 1945, p. 280, ritiene invece che «Zenobi» del testo sia un errore dietro cui si cela il nome di Rutilio Zenone, accademico pontaniano; la «Thalia» di cui si parla in questi endecasillabi può essere una rappresentazione metaforica della poesia dello stesso M., opportunamente indirizzata agli amici accademici, e non una ragazza amata dal poeta, come intendono invece Croce, 1945, pp. 279 s. e Kidwell, pp. 64, 66). Rapporti particolarmente stretti con Sannazzaro sono attestati dagli epigrammi I 25, I 44 e II 26, a lui indirizzati, e dall’epigramma I 42 e dalle elegie I 11 e II 2 di Sannazzaro. In Hendecasyllaborum libri, I 26, De Marulli amoribus, e I 29, De Marulli munusculis, Pontano rappresenta il M. come amante di una Settimilla (citata dal M. in Epigr. IV 34, 55). A questo ambito cronologico possono appartenere le relazioni, non necessariamente amorose, con altre donne cantate dal M. negli epigrammi, alcuni dei quali epitafi: Albina, Aura, Gemma, Egle, Camilla, Eufrosine, Glicera, Leucotoe, Lucia, Marzia, Nape.
Il M. strinse probabilmente già da questo periodo rapporti con Antonello Petrucci e Antonello Sanseverino, grande ammiraglio del Regno dal 1477, forse con Iacopo (IV) Appiani, signore di Piombino, e con la famiglia Acquaviva. Si è supposto, ma senza prove, che partecipasse all’offensiva napoletana contro Firenze del 1478-80 agli ordini di Appiani e di Giulio Antonio Acquaviva. Si presume anche che dall’autunno 1480 al settembre 1481 abbia partecipato alla guerra aragonese per la liberazione di Otranto dai Turchi con lo stesso Acquaviva e poi, dopo la sua morte (febbraio 1481), con il figlio Andrea Matteo, ma anche questa ipotesi non è suffragata da sicura documentazione.
In morte di Giulio Antonio il M. compose due carmi, Epigr. I 48, Consolatio ad Andream Matthaeum Aquavivium de morte Iulii patris, e II 22, Epitaphium Iulii Aquavivi (un distico); l’inizio di Epigr. I 48 (elegia consolatoria ad Andrea Matteo per la truce morte del padre, cui i Turchi staccarono la testa) fa ritenere che il M. fosse allora lontano da Giulio Antonio, anche se sul campo di battaglia, e in mezzo a soldati che piangevano la morte di un capitano che poteva dunque essere il loro. A una dimora in terra d’Otranto potrebbe riferirsi l’Epigr. I 9, a Francesco Scales, che coprì uffici amministrativi e diplomatici presso gli Aragonesi.
Se anche, in questa occasione, combatté per gli Aragonesi, il M. non fu certo stabilmente al loro servizio, né mostra di avere stabilito con quella casa buoni rapporti. Suoi amici e protettori napoletani furono invece Antonello Petrucci e Antonello Sanseverino, i due capi della congiura dei baroni, a cui partecipò anche A.M. Acquaviva.
All’«odio» del M. nei confronti di Alfonso allude P. Cortesi nel De cardinalatu (p. LXXXI). Indirizzato ad Alfonso duca di Calabria, ritiene Croce (1945, pp. 275 s.), l’Epigr. I 34, In superbientem, in cui il destinatario è ammonito a non confidare troppo nella fortuna e a essere clemente con i vinti e i miseri. Si allude agli Aragonesi (e in particolare ai baroni messi a morte da re Ferdinando I nelle segrete di Castelnuovo) secondo Croce (p. 275) e Perosa (2000, ad ind., s.v. Ferdinandus I, p. 243) in Institutiones principales, vv. 512-519. Riferimenti ai re aragonesi, e in particolare ai provvedimenti successivi alla congiura dei baroni, potremmo cogliere anche in alcune considerazioni relative alla condotta improba e avida di regnanti, espresse negli Hymni naturales: nella sezione «astrologica» dell’inno al Sole (III 1), specialmente ai vv. 173-177; e nell’inno a Giove del quarto libro (IV 2), dove sono rappresentati e marchiati con parole durissime i regnanti grondanti del sangue dei cittadini (vv. 131-145). «Inquieto» è definito il Regno di Napoli in Epigr. IV 17, v. 42. Invece, di Antonello Petrucci il M. loda la generosità in Epigr. I 32, la clemenza in Epigr. II 27; Ad Antonium principem Salernitanum (cioè a Sanseverino) sono indirizzati gli epigrammi I 7, 12 e 46 e II 9: Antonello è lodato come novello Omero e novello Achille insieme; con lui il M. esibisce la franca familiarità del poeta che considera i suoi versi di maggior valore dei doni del principe; la nobiltà dell’indole di Sanseverino è giudicata superiore a quella tributatagli dalla fortuna e le sue virtù sono considerate superiori a quelle di personaggi celebri dell’antichità. Un aneddoto relativo alla sua generosità è narrato in I 29, De Antonio principe Salernitano.
È da ritenere che nella congiura dei baroni il M. stesse dalla loro parte, ma non è possibile collocarlo esattamente in questo periodo. La data di una cedola di prestito dei dialoghi di Platone della Biblioteca Vaticana (aprile 1485: pubblicata da Perosa, 2000, p. 219) ci rimanda a Roma. Da Roma, nel 1488, il M. scrisse una lettera all’amico Giovanni Pico della Mirandola, che si trovava a Firenze, dispiacendosi di non poterlo raggiungere, dando giudizi negativi sui Romani, mostrandosi in una situazione di inattività e incertezza e senza speranze per le sorti dell’Italia (ibid.). Al periodo romano possono risalire l’amicizia con i fratelli Cortesi, come i rapporti con il cardinale Marco Barbo, con la famiglia Cesarini, con le propaggini romane dei Medici – Giovanni figlio di Lorenzo, il futuro Leone X, e Francesco (Franceschetto) Cibo, figlio del papa Innocenzo VIII e genero di Lorenzo –, con Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III. Come amico di quel periodo il M. ricorda anche Cosimo Pazzi (Epigr. III 21). A Roma era ancora nel maggio 1489.
Con i fratelli Cortesi, Alessandro e Paolo, il M. intrattenne una corrispondenza epistolare: Alessandro gli chiedeva giudizi sulla sua poesia (Pintor, pp. 32-35, 40 s.), e una lettera consolatoria, di tono più lucreziano che cristiano, il M. scriveva a Paolo in occasione della morte del fratello (pubblicata da Perosa, 2000, pp. 220 s.); Paolo lo cita spesso nel De cardinalatu, ricordandolo come «hospes familiae meae». Al cardinale Barbo è indirizzato l’epigramma encomiastico II 34, e secondo la cedola di prestito del codice di Platone garante del prestito fu il veneziano Giovanni, segretario del cardinale di S. Marco. Altieri ricorda che al M., come a Niccolò Lelio Cosmico, furono chiesti dei versi per le nozze di Giangiorgio Cesarini e la relazione con Cosmico potrebbe far pensare a rapporti con i superstiti componenti dell’Accademia di Pomponio Leto (così Croce, 1945, p. 283, che tuttavia dà poco credito all’affidabilità di Altieri). L’epigramma III 21 indirizzato a Cosimo Pazzi ci presenta i due amici in una analoga condizione infelice, vissuta dal M. a Roma e da Cosimo a Fiesole. La possibile ospitalità offerta al M. da F. Cibo si deduce da una lettera di Lorenzo de’ Medici del 22 maggio 1489, in cui è raccomandato Teodoro Marullo, «fratello de uno Marullo uomo molto dotto che sta in casa del signor Francesco»: Picotti, p. 148 n. 3). Il nome del M. compare nella corrispondenza di Alessandro Farnese per il 1489.
A questo periodo risalgono verosimilmente anche le relazioni con Massimiliano d’Asburgo, appellato come «Caesar» (Massimiliano fu re dei Romani dal 1486 al 1493, anno in cui fu incoronato imperatore) negli epigrammi che lo lodano: I 4 e 10; II 5 e 37; III 3, 12, 47, 53; IV 19. Tuttavia non è provato che il M. partecipasse a campagne al seguito di Massimiliano.
Il M. era a Firenze il 3 ag. 1489 (data di una lettera di Alessandro Farnese a Stefano d’Aquila con i saluti per il M.); a Firenze trovò protezione – come Botticelli e il giovane Michelangelo – presso Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, appartenenti al ramo cadetto della famiglia de’ Medici. Di Botticelli (Alessandro Filipepi) è il ritratto del M., che ora fa parte della collezione Cambó (Barcellona). A Giovanni de’ Medici il M. si dichiarava debitore nella citata lettera a Pico e l’ospitalità dei Medici è ricordata nell’inno alla Luna (Hymni naturales, III 2, v. 8).
La prima edizione a stampa degli Epigrammata è senza data, ma sembra da collocare nel periodo 1489-90, o in epoca immediatamente successiva: la dedica a Lorenzo di Pierfrancesco ne fa un biglietto di presentazione per il soggiorno fiorentino e rimase inalterata nella seconda edizione degli epigrammi, definitivamente raccolti in quattro libri: nei cinque distici che la compongono il M. insiste sulla sua doppia, e conciliabile, vita di poeta e di soldato e presenta se stesso e il dedicatario geograficamente distanti ed entrambi impegnati in opere di guerra.
Tuttavia tentativi di ingraziarsi il Magnifico parrebbero attestati, oltre che dalla possibilità di individuare in suo figlio il primo dedicatario del terzo libro degli Inni, da varie composizioni del M., fra cui l’epitafio per Clarice Orsini, morta nel 1488 (Epigr. III 20 ter: il carme risulta da un poco impegnativo rifacimento dell’epitafio IV 19, per Maria di Borgogna, morta sei anni prima). Più probabilmente a Firenze che a Napoli il M. visse il suo grande amore per la donna cantata come «Neaera», se in Epigr. IV 2 gli amici Martelli e Risorboli, membri del circolo fiorentino dei Medici «di Pierfrancesco», sono presentati come non entusiasti della ragazza. Al nome di Neera si affianca quello di Camilla nella prima redazione dei carmi (anche i carmi originariamente scritti per Camilla vengono dedicati a Neera nella seconda redazione): impossibile dare una fisionomia storica alle due donne, i cui nomi potrebbero anche indicare un’unica figura femminile.
A Firenze, negli anni in cui il M. vi dimorò, le personalità intellettuali di maggior spicco erano Marsilio Ficino e Angelo Ambrogini detto Poliziano.
Nelle poesie marulliane non vi è traccia né del Ficino né dell’Accademia Platonica, anche se sembra impossibile che il M. non fosse in contatto con la cultura neoplatonica, che sostanzia gli Hymni naturales; è noto tuttavia che Ficino era in relazione con Lorenzo di Pierfrancesco, cui indirizzò una lettera in cui si parla dell’orazione al Sole di Giuliano, un testo fondamentale per la composizione del marulliano inno al Sole.
Pessimi furono i rapporti con Poliziano: la polemica cominciò per le critiche rivolte dal M. ai Miscellanea di Ambrogini, pubblicati nel 1489, mentre sembra una leggenda che il reale oggetto della contesa fosse la bella e coltissima Alessandra Scala, che di Poliziano fu allieva e che il M. sposerà. Della polemica con Poliziano ci rimane una sola voce, quella affidata agli epigrammi marulliani In Ecnomum, pseudonimo del rivale (Picotti dimostrò che non si cela il M. dietro il Mabilio degli epigrammi di Poliziano, ma il milanese Mabilio Novato): III 50 è un violento carme scoptico, mentre tutte le altre composizioni appartengono a un «microgenere» elaborato dal M., quello dell’epigramma «filologico», in cui alcuni passi dei Miscellanea polizianei sono criticati argutamente, anche se sempre ingiustamente. Una implicita competizione può rilevarsi fra i due nella traduzione degli stessi epigrammi dell’Antologia greca: qui è la tensione emulativa del bilingue M. che spicca rispetto alla pedissequa versione di Poliziano. Poliziano cercò di seminare zizzania fra il M. e Alessandro Cortesi, riferendo a quest’ultimo fatti, del tutto credibili, relativi all’intransigenza critica del M. (lettera del l’11 ag. 1489, in Pintor). Infine, per quanto sappiamo del carattere irruente del M., possiamo credere a Cortesi del De cardinalatu, che racconta (p. XCVI) che egli «cum iam esset maledicendi et recriminandi assiduitate fessus, non ultra se dixit cum eo velle certare verbo sed ferro».
A questo periodo può risalire anche l’amicizia con il camaldolese Pietro Candido, l’editore del De rerum natura, che si avvalse delle cure prestate dal M. al testo lucreziano, attestando nella prefazione l’amore del M. per il poeta latino.
Alla vigilia della discesa di Carlo VIII in Italia il M., vicino al partito filoangioino sia napoletano sia fiorentino, non fu estraneo ai complotti preliminari all’invasione francese: nel 1493 l’ambasciatore napoletano a Firenze, Marino Tomacelli, informò re Ferdinando «dela pratica del papa con Marullo sopra le cose de Franza» (Croce, 1945, p. 287); l’anno successivo insieme con Costantino Lascaris il M. tradusse, o inventò, lettere portate da ambasciatori turchi al papa, la cui diffusione fu comunque organizzata dalla propaganda francese. Protesta la sua fedeltà e dedizione Ad Carolum regem Francorum nell’Epigr. IV 26; nell’ode IV 32 esorta Carlo a venire in Italia per poi passare in Oriente contro i Turchi. Nella primavera del 1494 raggiunse a Lione Antonello Sanseverino e altri esuli napoletani: in prossimità di questa partenza si colloca l’Epigr. IV 34, a Giovanni de’ Medici, in cui un M. sollecitato da Amore a celebrare le bellezze di una Della Rovere è costretto a declinare l’invito perché una lettera di Sanseverino lo chiama urgentemente in Francia; nel carme ci sono riferimenti ai passati amori del M., Settimilla, Glicera, Neera, di cui si ricorda la morte: poiché manca il nome di Alessandra Scala (non coperto da pseudonimi negli epigrammi), si può supporre che nel 1494 il matrimonio non avesse ancora avuto luogo. In prossimità di questa partenza da Firenze può collocarsi anche l’inno alla Luna (Hymni naturales, III 2), che inizia appunto con un saluto ai «Colles Etrusci», alla città, agli ospiti Medici e alla «fida […] cohors sodalium».
Il M. raggiunse Sanseverino e lo seguì ad Asti presso il quartier generale francese. Salpò infine con lui e altri esuli napoletani per raggiungere Napoli; una tempesta lo sbatté contro le coste della Corsica mentre Carlo VIII, entrato in Roma, si apprestava a invadere la Campania.
Al naufragio, come alla morte del piccolo Everardo, figlio di Lorenzo di Pierfancesco, fa riferimento la prima delle Neniae, intitolata De acerbitate fortunae. Probabilmente il M. raggiunse Napoli, se in Naen. IV, carme di esortazione e rimprovero a Carlo VIII, scritto probabilmente fra il 1495 e il 1496, dopo aver ricordato il vano sogno di rivedere la patria libera (Carlo VIII aveva fatto balenare la speranza della riconquista di Costantinopoli fra i pretesti della sua invasione), rievoca la triste realtà di una terra (evidentemente Napoli) difesa con il proprio sangue e ora in mano ai nemici. Sentimenti di delusione sono espressi anche in Naen. II, in cui il M. continua a sognare Costantinopoli.
Al periodo delle relazioni con Carlo VIII risale l’inizio della composizione delle Institutiones principales, progettate come poema in quattro libri per l’educazione del figlio del re, Carlo Rolando, morto nel 1495 all’età di tre anni; ce ne restano 694 versi, che furono editi per la prima volta nei Libelli di Belisario Acquaviva.
Tornato a Firenze, non prima del 1496, il M. sposò, non è noto quando, Alessandra, figlia del segretario della Signoria fiorentina, umanista e poeta, Bartolomeo Scala: in lode di Alessandra sono gli epigrammi III 4, 15, 41; IV 4, 13, 18.
Nel 1497 il M. pubblicò definitivamente i carmi composti fino ad allora, cioè i quattro libri di Epigrammata e i quattro di Hymni naturales (le Neniae uscirono postume, insieme con i carmi di Marcantonio Flaminio, nel 1515).
Si tratta della prima edizione a stampa degli Hymni naturales, mentre gli Epigrammata avevano avuto una precedente edizione, in due libri (ristampata tre volte, la prima, senza note tipografiche, probabilmente a Roma, Silber, nel 1489: presso lo stesso editore le due edizioni del 1490 e 1493). Gli epigrammi conservano la dedica a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, a cui è rivolto il primo carme di ogni libro. Gli Hymni naturales sono invece dedicati ad Antonello Sanseverino; i quattro versi della dedica riciclano il carme che in una precedente redazione dell’opera (attestata solo dalla tradizione manoscritta: cfr. Perosa, in ed. Carmina, pp. XIV-XVII) indirizzava il solo terzo, e allora ultimo, libro Ad Petrum Medicen Laurentii filium, mentre i primi due erano dedicati rispettivamente a Lorenzo e a Giovanni di Pierfrancesco. Il Piero de’ Medici in questione è identificato da Perosa nel Pierfrancesco figlio di Lorenzo di Pierfrancesco, mentre McGann (The Medicean dedications) lo riconosce nel Piero figlio del Magnifico. Alle considerazioni di McGann si può aggiungere che nella prima redazione del III libro di epigrammi (conservato isolatamente dalla tradizione manoscritta: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 915, di mano di Pietro Crinito) compaiono poesie indirizzate a Lorenzo il Magnifico e a suo figlio Piero, che nella redazione definitiva vengono leggermente modificate e destinate a Massimiliano di Lussemburgo. Nell’edizione definitiva della sua opera comunque il M. ricorda i personaggi che, nelle due città italiane che lo hanno accolto, gli hanno offerto amicizia e protezione e possono continuare a offrirgliene.
Sotto il titolo di Epigrammata il M. raccolse 199 composizioni che, secondo l’uso umanistico, non corrispondono sempre al concetto moderno di «epigramma»; esse sono varie per lunghezza, metri, tipologia, temi e contenuti: al distico elegiaco e al catulliano endecasillabo falecio si accompagnano epodi di varia natura, metri giambici, strofe liriche; accanto a epigrammi veri e propri troviamo epitafi, carmi funebri, carmi catulliani ed elegie; molte sono poesie d’amore, di ispirazione catulliana, ma anche petrarchesca; altri temi sono l’amicizia, le relazioni con i potenti, il dolore dell’esilio e della morte di amici e familiari, argomenti mitologici. La raccolta segna una decisa inversione di tendenza rispetto all’epigramma della prima metà del secolo, inaugurato dal licenzioso Hermaphroditus di Antonio Beccadelli detto il Panormita; al modello Marziale si sostituisce l’Antologia greca, degli epigrammi della quale sono proposte numerose traduzioni-rifacimenti. Particolarmente rilevanti per la poetica dell’autore gli epigrammi I 16, De poetis Latinis, in cui il M. dichiara che l’«epigramma cultum» non ha ancora trovato il suo «auctor» e si propone implicitamente come tale, e I 62, rivendicazione di una linea poetica improntata a castità formulata rovesciando le giustificazioni topiche opposte di Catullo, Marziale e Panormita.
I ventuno Hymni naturales, raccolti in quattro libri, furono verosimilmente composti dal M. a Firenze negli anni fra il 1489 e il 1497; oltre che dall’edizione del 1497, ci sono trasmessi dai codici fiorentini Magl., VII.1146 della Biblioteca nazionale e Riccard., 971 (contenenti la redazione arcaica in tre libri) e Magl., VII.1195. Il titolo dell’opera dipende dalla tradizione che chiama «naturali» gli inni di Parmenide e di Empedocle e dalla tripartizione della filosofia in morale, naturale e logica che troviamo in Macrobio e Agostino. Gli inni sono composti in metri vari: esametri, epodi, strofe liriche, galliambi, dimetri anapestici acatalettici, distici asclepiadei. Come nell’innografia omerica e orfica, ciascun carme è indirizzato a una divinità, invocata all’inizio e alla fine ed evocata secondo una più o meno canonica aretalogia. Varie le interpretazioni offerte per l’opera marulliana: vi si è ravvisato un autentico paganesimo o una raffigurazione metaforica del cristianesimo, si è evidenziata la costruzione platonica o la componente lucreziana: è sembrato a chi scrive che l’architettura della raccolta ripercorra a ritroso il percorso platonico, conciliandosi con istanze epicuree: da un «iperuranio», sede di dei che paiono rappresentare i vari aspetti di un unico dio (I libro, arduamente filosofico), si passa al mondo uranico intelligibile abitato dalle divinità celesti invocate nel II e III libro per lo più in più facili epilli di stampo alessandrino, e infine al mondo degli elementi naturali: il primo inno, intitolato Iovi Optimo Maximo, si conclude con l’aspirazione platonica alla liberazione dal tetro carcere del corpo e alla contemplazione dell’«antica patria»; l’ultimo è indirizzato alla Terra, la gran madre che accoglie benignamente – e materialisticamente – tutti i morti nel suo abbraccio. A istanze platoniche si associano inoltre motivi autobiografici, e l’insistito riferimento all’antica patria si vela della nostalgia dell’esule greco, che si riappropria della patria perduta ricostruendone le mitiche radici culturali in un’opera di grande poesia.
Nel 1498 morì Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, pianto nella Nenia III. Il M. rimase a servizio della vedova, Caterina Sforza, in qualità di «huomo d’arme» (così è definito in un documento pubblicato da Pasolini, III), e per lei si recò a Milano come ambasciatore presso Luigi XII nell’ottobre del 1499. Combatté poi nella resistenza di Forlì a Cesare Borgia e ai Francesi il 14 genn. 1500. In seguito a quella battaglia fu preso prigioniero.
Il M. morì pochi mesi dopo: il 12 apr. 1500 (domenica delle palme), o in un giorno vicino, egli annegò nel fiume Cecina in piena.
Secondo Pietro Candido, al momento della morte il M. aveva una copia di Lucrezio nella bisaccia. Le circostanze della sua morte sono riassunte in una nota manoscritta apposta sul foglio di guardia di una copia dell’edizione parigina dei Poetae tres elegantissimi del 1582, appartenuta ad Anton Francesco Marmi, ora alla Biblioteca nazionale di Firenze (segnata Rinasc., M.203): «Michel Marullo morì affogato nel fiume Cecina, tornandosene di Volterra da visitare Raffaello Maffei uomo non meno letterato che di santi costumi, che lo aveva dissuaso a non partire, non solo per essere giornata piovosissima, quanto per essere la Domenica delle Palme; di che Marullo si burlò, e Iddio forse per questo gli diede questo castigo; mentre non era di gran religione». Un testo recentemente scoperto nel ms. XLVII.2.2 della Biblioteca Guarnacci di Volterra induce a ritenere che il M. stesse per realizzare il sogno di tornare a Costantinopoli, espresso tante volte. In uno degli scritti che costituiscono le Memorie per servire alla vita di Raffaello Maffei infatti si legge: «La fama della santità e dottrina di questo homo [sc. Raffaele Maffei] tirò molte persone virtuose a Volterra solo per vederlo, et particolarmente Marullo, poeta celebre e maestro nelle lettere greche, nel ritorno suo a Costantinopoli […] né fuor di proposito parmi dire che, avendo Marullo hauto aviso che infino a Piombino era arrivata una nave, la quale doveva esso condurre in Costantinopoli, fece risolutione di partirsi» (cfr. Rapezzi). Maffei ne curò la sepoltura nella pieve di S. Giovanni Battista a Pomarance, dove il M. è ricordato in un epitafio.
Edizioni. Epigrammata (s.n.t.: L. Hain, Repertorium bibliographicum, 10877); Epigrammata ad Laurentium Medicen Petri Francisci filium, Romae, per Eucharium Silber, 1490 (Hain, 10878), ristampata del 1493 (Hain, 10879); Hymni et Epigrammata, Florentiae, Societas Colubris, VI Kal. Decembris 1497 (Hain, 10880); Hymni et Epigrammata, Bononiae, per Benedictum Hectoris, 1504; Epigrammata et Hymni, Argentoraci, in aedibus Matthiae Schüreris, 1509; Michaelis Tarchaniotae Marulli Neniae. Eiusdem epigrammata nunquam alias impressa. M. Antonii Flaminii carminum libellus. Eiudem ecloga Thyrsis, Fani, in aedibus Hieronymi Soncini, 1515; Epigrammata et Hymni, Parisiis, apud Christianum Wechel, 1529; Epigrammata, Hymni, Neniae et alia quaedam epigrammata, Brixiae, excudebatur apud Damianum & Iacobum Philippum fratres Brixianos: sumptum facientibus Bartholomaeo Maschera Brixiano & Petro Antonio Placentino bibliopola, 1532; Epigrammata et Hymni, Parisiis, apud Iacobum Dupuis, 1561; B. Acquaviva, Aliquot aurei libelli de principum liberis educandis, de venatione, de aucupio, de re militari, de singolari certamine, Basileae, ex officina Petri Pernae, 1578 (vi sono pubblicati i 694 versi delle Institutiones principales); Poetae tres elegantissimi, emendati et aucti, Michael Marullus, Hieronymus Angerianus, Ioannes Secundus, Paris, apud Dionysium Duvallium, 1582; Michael Tarch. Marullus, Hieron. Angerianus et Ioan. Secundus, poetae elegantissimi nunc primum in Germania excusi, Spirae, apud Bernardum Albinum, 1595.
La tuttora attendibile edizione critica dei carmi del M. (Epigrammata, Hymni naturales, Neniarum liber, Epigrammata varia, Institutionum principalium fragmentum) è M. Marullo, Carmina, a cura di A. Perosa, Turici 1951; da questa edizione è stato tratto il testo di carmi marulliani con traduzioni in varie lingue moderne: Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. Arnaldi - L. Gualdo Rosa - L. Monti Sabia, Milano-Napoli 1964, pp. 937-997 (il testo del M. a cura di L. Gualdo Rosa); Musae reduces. Anthologie de la poésie latine de la Renaissance, a cura di P. Laurens - C. Balavoine, Leiden 1975, pp. 99-119; Renaissance Latin verse. An anthology, a cura di A. Perosa - J. Sparrow, London 1979, pp. 107-122; Poesia dell’umanesimo. Latina, a cura di D. Coppini - M. Regoliosi, in Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre - C. Ossola, II, Quattrocento-Settecento, Torino 1998, pp. 1-93, 1417-1431; Jean Second, Les baisers e M. Marulle, Epigrammes, a cura di O. Sers, Paris 2006.
Una particolare attenzione è stata in tempi recenti dedicata agli Hymni naturales: W. Ludwig, Antike Götter und cristlicher Glaube. Die Hymni naturales von M., Hamburg 1992 (nella trattazione sono pubblicati gli inni I 1, 9-98; I 5; II 1; IV 1, 25-60 con trad. tedesca); Ch. Harrauer, Kosmos und Mythos. Die Weltgotthymnen und die mythologischen Hymnen des Michael Marullus (Text, Übersetzung und Kommentar), Wien 1994 (con traduzione tedesca e commento di Hymni naturales I 1; 2; II 1; 6, 41-84; 7, 57-88; IV 1; 2; 3; 4; 5); Inni naturali, a cura di D. Coppini, Firenze 1995; M. Marulle, Hymnes naturels, a cura di J. Chomarat, Genève 1995; O. Schönberger, Michael Marullus, Hymni naturales. Hymnen an die Natur. Erste deutsche Gesamtübersetzung. Einleitung, Text, Übersetzung und Anmerkungen, Würzburg 1996.
Recente anche una traduzione tedesca commentata delle Institutiones principales: O. Schönberger, Michael Marullus, Institutiones Principales. Prinzenerziehung. Lateinischer Text, erste Übersetzung und Anmerkungen, Würzburg 1997. Annunciata la pubblicazione di Poems of Michele Marullo: edition, translation and commentary, a cura di C. Fantazzi, per la collana I Tatti Renaissance Library della Harvard University Press, Firenze.
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