MARIESCHI, Michele.
– Nacque a Venezia il 1° dic. 1710 da Antonio, incisore, e da Elisabetta Meneghini.
A distanza di secoli la fisionomia del M. è ancora non pienamente delineata, tanto per alcune vicende biografiche quanto per il catalogo dei dipinti. In primo luogo gli ha nuociuto la sovrapposizione – scaturita da un’erronea dichiarazione di Lanzi nel 1795 ma risolta da Fogolari nel 1909 – con l’omonimo Jacopo, più giovane di un anno. Inoltre permane un fortissimo disaccordo nella critica riguardo alla paternità delle figure («macchiette») inserite nelle composizioni del M., figure che si suppone siano state aggiunte in un tempo diverso da quello dell’esecuzione delle opere, per motivi che vanno ricercati nelle esigenze del collezionismo. In ultimo, le attribuzioni grazie alle quali nel corso degli anni molte tele in precedenza assegnate al M. sono state giustamente restituite alla mano di Francesco Albotto – che si rivelò vero e proprio alter ego del M., al punto da sposarne la moglie appena rimasta vedova – probabilmente sono destinate a ulteriori sviluppi.
Il M. fu incisore e pittore di vedute e di capricci, ma non si conoscono i dettagli del suo apprendistato. L’affermazione di una fonte settecentesca secondo cui egli iniziò a lavorare con il padre, dal quale «fu presto in grado di staccarsi […] e di portarsi in Germania» (Guarienti, p. 380), fu accolta con convinzione nel passato (Pilo, 1981), ma è stata confutata dalla critica più recente (Succi, 1989; Manzelli, 1991). L’obiezione si basa sul fatto che nel 1721 il M. rimase orfano e dieci anni dopo era già documentato a Venezia; ma questi argomenti non impediscono il verificarsi del trasferimento in un secondo momento, tra 1731 e 1735. Anche senza escludere un iniziale periodo alle dipendenze del padre, è opinione corrente che il M. abbia recepito le lezioni del bellunese G. Diziani, che nel 1737 fu testimone ai preliminari del matrimonio del M. con Angela Fontana, figlia di un ricco e noto mercante di dipinti.
Recenti ritrovamenti documentari hanno contribuito a far luce sulla probabile educazione iniziale del M.: il nonno materno, Antonio Meneghini, era anch’egli pittore e probabilmente specializzato in scenografie, in contatto con l’impresario F. Tasso, organizzatore di feste che prevedevano l’utilizzo di apparati effimeri (Montecuccoli degli Erri - Pedrocco, p. 41). Del resto, lo stesso Diziani si era distinto per opere scenografiche, al punto di recarsi a Dresda su invito di Federico Augusto I di Sassonia e rimanervi dal 1717 al 1719. Tasso si servì del M. in due occasioni: nel 1731 come garante per alcuni lavori allogatigli dalla Serenissima in occasione del giovedì grasso, e nel 1735 (o poco prima) per un perduto Progetto per gli apparati funebri in onore di Maria Clementina Sobieski, moglie del pretendente al trono inglese. Ne rimangono due incisioni: una a nome dell’impresario e l’altra spettante a G. Camerata, in un volume edito a memoria delle solenni esequie avvenute nel duomo di Fano (S. Paoli, Solenni esequie…, Fano 1735).
Il progetto mostra una struttura poligonale, il Castrum doloris, accessibile mediante scalinate e scandita su ogni lato da arcate inquadrate da colonne, con coronamento arricchito da statue e candelieri; notevole è lo studio dello spazio e pulito il segno, attento al rapporto chiaroscurale e al bilanciamento tra pieni e vuoti. L’autografia del perduto disegno è confermata dall’incisione del M. intitolata Veduta del Canal Grande con regata a Ca’ Foscari, in cui compare una macchina da regata pressoché identica al catafalco.
Anche i primi dipinti sono legati agli studi scenografici. Esiste infatti una serie di circa venti tele, databili non oltre il 1733, raffiguranti cortili caratterizzati da maestose arcate e ampie scalinate, plausibilmente bozzetti per futuri allestimenti teatrali. Tali realizzazioni parrebbero essere scaturiti dalla frequentazione di due pittori, M. Ricci e lo zio Sebastiano; quest’ultimo fu attivo come impresario fino a poco prima di morire (1734) e potrebbe aver richiesto al M. la stesura delle scene. Il Cortile con scale di Stoccolma (Galleria nazionale) ben mostra l’abilità dell’autore nella resa diversificata dei materiali (pietra, marmo e legno) e si distingue per un sapiente e quasi drammatico luminismo che alterna la penombra del primo piano, rischiarata da squarci d’arancio sulle pareti, alla luce pacata dello sfondo, il tutto avvolto nel silenzio e animato da rare figurette attribuibili all’ambito di Diziani. La medesima visione frontale si ritrova nei due esemplari della Galleria nazionale praghese, che però si differenziano per una più chiara coloritura, quasi acquerellata e dai timbri vivaci culminanti nel turchino; uno di essi, il Cortile con scale senza figure, in quanto unico dipinto comprendente esclusivamente architetture, confermerebbe la natura bozzettistica di tali composizioni. Il 1736 è un anno importante: il M. è registrato per la prima volta nella fraglia dei pittori veneziani e iniziano i suoi rapporti con il maresciallo Johann Matthias conte di Schulenburg, che pagò 50 zecchini per il dipinto Corte di palazzo ducale verso la basilica.
La critica non ha chiarito se si tratti dell’esemplare inglese (Hatchlands, East Clandon, National Trust) ovvero di quello passato in asta da Christie’s a Londra nel luglio 1976, di misure leggermente diverse. In ciascuno di essi, tuttavia, si riscontrano le caratteristiche dello stile marieschiano: lo scenario è costruito con una fortissima prospettiva e preferibilmente con una visuale angolata, in modo da deformare le strutture e offrire una lettura maestosa dei soggetti. Infatti la Corte appare più grande della realtà ed è definita da quinte scorciate, popolata da una folla brulicante e divisa in modo netto dal chiaroscuro.
Nell’aprile del 1737 Schulenburg pagò una somma ancora maggiore per un Ponte di Rialto con l’ingresso del patriarca F.A. Correr, forse perduto (Montecuccoli degli Erri - Pedrocco, p. 236), ma sostanzialmente simile all’esemplare di Claydon House (Buckinghamshire, National Trust). Si vede il neoeletto patriarca giungere al fondaco dei Tedeschi sul peatone dogale per dirigersi alla chiesa di S. Salvador e proseguire fino a palazzo ducale ove incontrerà la massima autorità cittadina.
Secondo la prassi del tempo il M. si recava sul luogo delle rappresentazioni, per trarne spunti da rielaborare in atelier mediante l’uso della camera ottica, con cui otteneva distorsioni e dilatazioni dei panorami. Basta osservare la caricatura M. M. pittore di A.M. Zanetti il Vecchio (Venezia, Fondazione G. Cini) o considerare che così operava Canaletto (A. Canal), che per il M. fu un riferimento costante. Eppure, rispetto al più affermato collega il M. dimostrò di preferire il predominio della fantasia sulla filologia; le immagini non sono che quinte in successione, prive della «spazialità reale che animava il sentimento canalettiano» e impiegate per il racconto del pittoresco e dell’aneddotico, come dimostrano le «macchiette infagottate e povere di stile, quel maculato di carattere riccesco che la pennellata sa evocare specialmente dai marmi e dalle pietre, quell’intonazione generale del dipinto meno tersa e luminosa» (Pallucchini, 1960, p. 194).
Il Canal Grande a Ca’ Pesaro (Monaco, Alte Pinakothek) è forse tra le opere del M. più vicine allo stile di Canaletto, come peraltro opinavano vecchie attribuzioni. Il corso d’acqua taglia la tela con una forte diagonale e i palazzi della riva sinistra rimpiccioliscono, senza perdere alcun dettaglio, fino alla linea dell’orizzonte. Il M. è piuttosto un vivace documentarista, soprattutto quando lascia che l’inquadratura delle tele coincida con il grandangolo di un obbiettivo. È il caso del Canal Grande in «volta di Canal» del North Carolina Museum of art a Raleigh.
La gondola e la barca che a destra solcano le acque suggeriscono il tempo di lettura del dipinto: la sequenza curvilinea dei palazzi si avvicina progressivamente, come rivela il vento che agita i variopinti tendaggi. Migliori giudizi sembra aver avuto la critica per i capricci, ovvero «vedute ideate». In queste composizioni l’occhio è libero di scivolare sui dettagli poiché gli scenari sono definiti da un’unica quinta laterale. Alcuni elementi ricorrono con insistenza, quasi con valore di firma: le casupole, gli alberi, un ponticello. Il carattere di pastiche è dato dall’incondizionato accostamento di rovine, edifici classici, egizi e contemporanei, molto spesso bagnati dall’acqua. Valga per esempio la coppia di Capricci con villaggio sulle rive di un fiume (Londra, National Gallery), in cui il M. sembra essersi liberato dall’influenza dei predecessori – eccezion fatta per la parte arborea di gusto riccesco – e interpreta la veduta di fantasia con una tavolozza lieve e brillante che esalta gli edifici dello sfondo, mentre il primo piano è in ombra e l’atmosfera è silenziosamente serena.
Notevole, anche se non vastissimo, è il corpus di incisioni del M.: una Prospettiva scenica di Gran Cortile; tre vedute, Veduta de’ palazzi Corsi e Viviani, Veduta della Pescaia d’Arno e Veduta di campagna vicino a Gamberaia, edite da G. Allegrini a Firenze nel 1744, la prima in Scelta di 24 vedute… della città di Firenze dedicata… alla… maestà di Maria Teresa…, le ultime due (tratte da disegni di altri) in Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana; sei Vedute piccole non firmate (contestate: Succi, 1987) e, per finire, le ventuno tavole, corredate di frontespizio e di dedica, componenti la raccolta dal titolo Magnificentiores selectioresque Urbis Venetiarum prospectus, edita nel 1741. Si tratta di traduzioni all’acquaforte di scenari in massima parte desunti da prototipi dipinti, sebbene ricchi di varianti utili a documentare la storia edilizia di Venezia. Sulla scia di quanto A. Visentini andava facendo con le vedute canalettiane, il M. cercò ulteriore notorietà commerciale con queste tavole, in cui dimostra tecnica e ispirazione non comuni, insieme con uno stile grafico sottile e preciso.
Il M. morì a Venezia il 18 genn. 1744.
Fonti e Bibl.: P. Guarienti, Giunte all’Abecedario pittorico…, Venezia 1753, p. 380; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia…, II, Bassano 1795, p. 225; G. Fogolari, M. M. pittore prospettico veneziano, in Boll. d’arte, VII (1909), pp. 241-251; F. Mauroner, M.M., in Print Collector’s Quarterly, XXVII (1940), 2, pp. 179-215; A. Morassi, Circa gli esordi del vedutismo di F. Guardi con qualche cenno sul M., in Studies in the history of art dedicated to William E. Suida on his eightieth birthday, London 1959, pp. 338-352; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia-Roma 1960, pp. 193-196; M. M., 1710-1743 (catal.), a cura di A. Morassi, Bergamo 1966; A. Morassi, Appunti di M. M. «alter ego» di Canaletto, in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin 1968, pp. 497-502; F. Valcanover, Una «copia» di Jacopo Marieschi da P. Longhi, in Arte veneta, XXXII (1978), pp. 437-440; L. Padoan Urban, Impresari-macchinisti teatrali nella Venezia del Settecento (e un documento su M. M.), in Arte veneta, XXXIV (1980), pp. 225-229; G.M. Pilo, Considerazioni su una mostra delle acqueforti di M. M., in Paragone, XXXII (1981), 379, pp. 58-65; M. M. Venezia in scena (catal.), a cura di D. Succi, Torino 1987; R. Toledano, M. M: l’opera completa, Milano 1988; M. tra Canaletto e Guardi (catal.), a cura di D. Succi, Milano 1989, p. 16; La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, ad ind.; II, pp. 783 s.; G. Platania, Morte di M.C. Sobieska Stuart: il caso di M. M. progettista di «apparati funebri», in Arte. Documento, IV (1990), pp. 164-173; M. Manzelli, M. M. e il suo alter-ego Francesco Albotto, Venezia 1991, p. 21; F. Montecuccoli degli Erri - F. Pedrocco, M. M., Milano 1999, pp. 41, 236; E. Grasman, Looking up to Fontebasso, looking down on Marieschi. The hierarchy of genres in two caricatures by Zanetti, in «Aux quatre vents». A Festschrift for Bert W. Meijer, a cura di A.W.A. Boschloo et al., Firenze 2002, pp. 137-140; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 97; The Dictionary of art, XX, pp. 714 s.