MUZIO, Michele Luigi
– Nacque intorno alla metà degli anni Sessanta del XVII secolo a Torino, da Antonio e da Anna Badiva, nativa di Mondovì.
Insieme ai genitori e ai fratelli Filippo, Ignazio e Teresa lasciò il centro piemontese e si trasferì a Napoli, dove trovò lavoro presso Ludovico Cavallo, padrone di una solida e avviata stamperia, il quale morì improvvisamente nel novembre 1681 all’età di quarant’anni. Nell’agosto 1682 Muzio ne sposò la vedova Anna Porfidia, divenuta tutrice dei tre figli – Camillo, Domenico e Agostino – ancora in tenera età, e prese nelle sue mani le redini della ditta, mandandola avanti fino alla maggiore età di Camillo. Nel 1687, in qualità di tutore di Agostino, intervenne nella divisione dei beni ereditari tra i fratelli sopravvissuti, i quali davanti a un notaio stabilirono che la gestione dell’azienda paterna venisse affidata a Camillo, mentre Agostino sarebbe stato liquidato con somme di denaro e altri beni.
In quello stesso 1687, in luglio, Muzio comprò da Vincenzo Candio un torchio per stampare libri, 32 casse di caratteri, 3 cassettiere e 24 scatole e, pur rimanendo a Napoli, si spostò da S. Biagio dei Librai a Monteoliveto, dove aprì una sua stamperia. Dai suoi torchi uscirono opere di carattere religioso e giuridico, epitalami dedicati al sovrano Carlo II, numerose commedie teatrali e musicali di tema sacro e profano. L’edizione che lo rese famoso per la praticità del formato e la limpidezza dei caratteri fu il Teatro eroico e politico de’ governi de’ Viceré del Regno di Napoli di Domenico Antonio Parrino (Napoli 1692), dove inserì i ritratti degli uomini famosi che avevano governato il regno fin dai tempi antichi. Per circa un ventennio Muzio, godendo dell’amicizia di Francesco Massari, patrigno di Parrino, socio del giovanissimo Camillo Cavallo, con il quale condivideva il monopolio sulla produzione e la vendita degli avvisi e delle gazzette, lavorò alla pubblicazione e alla vendita dei giornali. Nel 1702, con la successione sul trono spagnolo di Filippo di Borbone duca d’Angiò, fu negato il rinnovo dello ius prohibendi sull’informazione a stampa concesso al defunto Ludovico Cavallo e confermato ai suoi eredi nel 1684 per le numerose prove di fede filogovernative date dalla famiglia. La salda cordata editoriale composta da Parrino, Cavallo e Muzio, priva di protezioni politiche, entrò in concorrenza con quella composta dai rivali Antonio Bulifon, nativo del Delfinato, e dallo spregiudicato Giacomo Raillard di nazionalità tedesca, impegnato in attività mercantili e nel settore della stampa, che coltivò a Napoli l’amicizia dei più eminenti uomini politici del tempo.
Scaduto in anticipo il privilegio e negato tassativamente il rinnovo della privativa, Muzio decise di incrementare la sua attività editoriale. Nel 1703 pubblicò Il regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici provincie di Giovan Battista Pacichelli, dedicato alla nobile famiglia dei Franco d’Aragona, indubbiamente il suo capolavoro per la nitidezza delle incisioni che ritraggono tutti i centri del regno napoletano. Nel 1708, per adattarsi al nuovo clima politico, diede quindi alle stampe un testo di Giovan Battista Pujades intitolato Memoriale istorico, dove era descritta in forma di giornale la conquista del regno da parte degli eserciti austriaci. Arricchivano il testo tre stampe raffiguranti le fortezze di Capua, Pescara e Gaeta.
Fino al 1713 collaborò con Camillo Cavallo, sostenendolo economicamente e condividendo insieme a Parrino il rinnovato appalto sugli avvisi. A causa dei gravosi oneri posti dal governo sulla privativa i soci sospesero anticipatamente la pubblicazione delle gazzette. Muzio sfruttò allora il fallimento di Bernardo Michele Raillard, figlio ed erede di Giacomo, cui era stato concesso l’appalto, e ottenne da Antonio di Nora – creditore di Parrino e Raillard, nominato amministratore e depositario della vendita dei giornali – di continuarne la pubblicazione. Divenuto un affermato stampatore sulla piazza napoletana, incrementò l’attività della ditta, che gestì con l’aiuto dei familiari. Con lui, infatti, collaborarono il padre, il fratello Filippo e il marito della sorella Teresa, Domenico Chiariello, anch’egli nativo di Torino, mentre il fratello Ignazio entrò nella Compagnia di Gesù.
Per godere della protezione di personaggi influenti offrì i suoi servigi alla potente famiglia dei Caetani d’Aragona, in particolare ad Aurora Sanseverino, moglie di Nicola duca di Laurenzana, donna di grande cultura e famosa mecenate, che per i suoi servigi lo gratificò con preziosi gioielli, gelosamente tramandati da Muzio ai suoi discendenti. Mantenne anche contatti professionali con il principe Giuseppe Piccolomini d’Aragona (che gli affittò la sua cartiera a Scafati) e con Giuseppe Medici, principe di Ottaiano, proprietario di un’altra cartiera a Sarno.
Per assicurarsi la buona qualità della carta, Muzio scelse una famiglia di cartai di Castellammare, che raccoglievano panni bianchi e neri destinati al macero. Per ampliare il suo giro di affari reperì i capitali in ambito familiare e li investì in un giro vorticoso di debiti e crediti. Allargò così il vano al piano terra con un altro adiacente, adibendolo a rivendita di libri, e usò i vani superiori come abitazione e deposito. Nella stamperia aggiunse altri 3 torchi, moltiplicò i caratteri, i fregi, i frontalini, gli stemmi e comprò 250 rami, raffiguranti soprattutto figure di santi.
La morte della moglie Anna, sopraggiunta nel 1716 dopo una lunga malattia, gli consentì di assicurarsi una piccola eredità e di risposarsi con Ursula Persico, già vedova di Gaetano Calabro, che gli portò in dote 500 ducati.
Le nozze alterarono però gli equilibri domestici creando forti tensioni con il fratello Filippo e il suo nucleo familiare, composto di sette figli tra maschi e femmine, che condividevano con Muzio impegni e fatiche. Per maggiore tranquillità nel 1718 questi cambiò residenza e affittò una casa sita fuori porta Medina, in un’area extraurbana, a condizione che i suoi eredi di linea maschile potessero subentrare nell’abitazione per tre generazioni.
Nel 1719 si ritrovò pressato da gravi problemi economici: dovette destreggiarsi tra la restituzione di un vecchio prestito impostogli dal tribunale, gli impegni editoriali già avviati da mesi e la carcerazione degli amici di Castellammare, che chiesero il suo sostegno finanziario. Mentre era indaffarato a concordare con gli incisori i disegni delle antiporte dei 10 tomi dell’Opera omnia di Jacques Cujas, di cui stava curando a sue spese l’edizione, morì improvvisamente il 12 luglio 1722, seguito a distanza di pochi giorni, il 23 luglio, dal fratello Filippo. Entrambi furono sepolti nella cappella di S. Pietro d’Alcantara nel convento di S. Maria la Nova.
Michele Luigi nel testamento aveva nominato coeredi Filippo e il nipote Antonio, primogenito di questo, affidando loro la gestione della stamperia e della libreria. Dopo la scomparsa del padre, Antonio fu confermato nel possesso e nella direzione della ditta, condividendo con la madre Beatrice Bianco la tutela dei fratelli minori. Rispettoso dei legati dello zio e per onorare il nome della ditta, ne saldò in pochi mesi i debiti e recuperò i crediti. Nel 1722 pubblicò, in memoria del padre e dello zio, un catalogo della produzione della stamperia Muzio e nel 1723 l’opera di Giuseppe d’Alessandro, duca di Pescolanciano, Opera… ne’ quali si tratta delle regole di cavalcare, della professione di spada e di altri esercizj d’armi… arricchita di figure che mostrano le più belle razze equine del regno di Napoli.
Ma la scia di lutti che aveva colpito la famiglia nel primo ventennio del XVIII secolo non si interruppe: dopo la scomparsa di Filippo e dei suoi figli Ignazio e Bartolomeo (morti nel 1722 in tenerissima età), anche Antonio morì improvvisamente, lasciando la ditta nelle mani della madre. Dal novembre 1724 la stamperia venne gestita da Beatrice Bianco, in qualità di tutrice e amministratrice dei beni ereditari dei figli Gennaro, Giuseppe, Vincenzo, Anna Maria e Rosa. Nel 1730 il tribunale concesse al ventenne Gennaro di proseguire l’attività paterna e la ditta riprese slancio. Qualche anno dopo Gennaro fu affiancato dal fratello Vincenzo, mentre Giuseppe seguì la carriera ecclesiastica. I giovani fratelli Muzio lavorarono insieme con lo stampatore Nicola Naso alla stampa del De Neapoli illustrata di Marco Antonio Surgente (1727) e nel 1740 dai loro torchi uscì un’opera di Giuseppe Sorge in 11 volumi dal titolo Jurisprudentia forensis universi.
Fonti e Bibl.: Napoli, Arch. storico diocesano, Parrocchia di S. Giuseppe Maggiore, Liber septimus matrimoniorum Parrocchialis Ecclesiae Sancti Iosephi Majoris inceptus anno Domini MDCLXXIX [usque 1705], c. 28v, certificato di matrimonio di Michele Luigi e Anna; Liber septimus mortuorum ab anno D. ni 1695-1718, c. 85, certificato di morte di Antonio Muzio padre; Liber octavus mortuorum ab anno D. ni 1718-1727, c. 25, certificato di morte di Filippo Mutij; Arch. di Stato di Napoli, Notai antichi del XVII secolo, notaio Giuseppe Ragucci, 508/60, cc. 44-48: Capitoli Matrimoniali Caterinae Mattiae (1704); ibid., notaio Francesco de Angelis, 1312/16, cc. 59rv: Affictus cartieriae inter D. Ioseph Medici princ. Ottajani et d. Iacopo Lopes, Michaelem Aloysij Mutij (1704); ibid., notaio Palmiro de Mari, 8/7 (1713), cc. 149-157v: Promissio solutionis; 8/7, cc. 286-288: Promissio solutionis (1713); 8/14, cc. 76-79v: Promissio (1721); 8/14, cc. 190-195v: Promissio (1721); 8/14, 1721, cc. 79v-84: Ratificatio; 8/14, 1721, cc. 58v-59v: Promissio; 8/15, cc. 175v-180: Philippi Mutij testamentum (1722); 8/15, cc. 180-181: Philippi Mutij codicilli (1722); 8/16, cc. 110v-118: Antonij Mutij Quetatio (1723-1724, 1723); 8/16, cc. 268-271: Antonij Mutij cessio (1723-1724, 1723); 8/16, cc. 539-541v: Antonij Mutij promissio (1723-1724, 1724); 8/23, cc. 10-12: Micaelij Alojsij Mutij testamentum (1722); Processi antichi, Pandetta Nuova II, filza 1231, f. 2: Acta haereditatis Michaelijs Alojsij Mutij ex testamento; filza 1561, f. 36: Acta Ianuarij Mutij; Napoli, Arch. notarile distrettuale, Notai antichi del XVIII secolo, notaio Giovanni Caruso, 66/12, cc. 476-488: Locatio et concessio emptus pro Ven.le Conventii S. Theresiae civitatis Cosentiae (1718); L. Giustiniani, Saggio storico critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli 1793, rist. anast. Bologna 1985, pp. 200 s.; P. Pironti, Bulifon, Raillard, Gravier editori francesi a Napoli, Napoli 1982, passim; Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), II, Napoli 1998, pp. 209, 473, 480; Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, Atti del Convegno … Napoli… 1996, a cura di A.M. Rao, Napoli 1998, pp. 83, 95, 100, 108 s., 122 n., 124 n., 126 n., 128 n., 135, 136 n.,142 n., 144 n., 145 n., 175, 181 s., 462, 471 n., 474 n., 483 n., 484 n., 497 n., 544 n., 686 n., 688 s., 691 s.; G. Lombardi, Tra le pagine di S. Biagio: l’economia della stampa a Napoli in età moderna, Napoli 2000, pp. 63 s., 69, 86, 91, 118, 125, 159 s., 190, 193, 201, 203, 236, 264 s., 268 s.