STRANIERO, Michele Luciano
STRANIERO, Michele Luciano. – Nacque il 27 settembre 1936 a Milano, primo dei tre figli di Pasquale e di Margherita Panno.
Il padre morì in guerra, con il grado di capitano di fanteria. La madre ricoprì per un certo periodo la curiosa mansione di testare gli abiti per la regina Maria José. Giorgio, il fratello minore, fu allievo di Luigi Pareyson e insegnò filosofia teoretica all’Università cattolica di Milano. La famiglia Straniero si trasferì a Torino quando Michele era ancora in età prescolare. Dopo aver frequentato le scuole dei padri salesiani, Straniero si diplomò al liceo classico Massimo d’Azeglio. Nel 1954 s’iscrisse a giurisprudenza; tuttavia, ben più che dal diritto, nello stimolante clima culturale della Torino dell’epoca fu attratto da alcuni degli interessi che costituirono poi le linee guida di una copiosa produzione saggistica. Assieme a Gianni Vattimo e Umberto Eco entrò in RAI ancora giovanissimo e, prima che la storica sede torinese di via dell’Arsenale venisse surclassata dagli studi di Roma, collaborò anche con altri funzionari esordienti, come Furio Colombo e Folco Portinari.
In questi anni Straniero, militando nell’Azione cattolica, maturò un’istintiva insofferenza per ogni forma di convenzionalità, e il suo carattere inquieto lasciò evidenti tracce nell’attività di direttore del periodico diocesano Quartodora. In quel contesto si distinse per il rigore nella conduzione e soprattutto per le divergenze nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, e più in particolare della politica conservatrice di Luigi Gedda, presidente generale del movimento azionista. Polemiche a parte, Straniero condusse un’attività culturale ad ampio raggio. Le sue prime prove poetiche non sfuggirono a Pier Paolo Pasolini che, in una lettera ai redattori della rivista bolognese Officina, scrisse: «nel pacchetto di versi che un giorno mi avete spedito – tutti mediocri – ho trovato oggi questi bellissimi di Michele L. Straniero. Se ci fosse un po’ di posto li metterei senz’altro nell’antologia» (il poeta friulano si riferiva al Poema dei giorni lavorativi; Lettere, II, Torino 1988, p. 326). A ventun anni, con Sergio Liberovici (1930-1991), diede vita al Cantacronache, pionieristica esperienza cultural-musicale di scrittura di canzoni non già evasive né sentimentali, bensì incentrate su temi sociali, di vita reale, in asse con altre avanguardie internazionali dell’epoca.
A monte del Cantacronache ci fu un viaggio di studio in Germania di Liberovici, che nell’estate del 1957 s’imbatté nelle canzoni di Paul Dessau, Hanns Eisler e soprattutto Kurt Weill. Raccontò Straniero che «poco dopo il suo ritorno da Berlino, Sergio mi aveva lanciato una proposta come niente fosse: perché non provare a scrivere noi qualche canzone, e meglio ancora, a coinvolgere qualche scrittore noto e dotato come lo stesso Calvino? Fare insomma come in Francia, dove tra gli chansonnier e gli autori di canzoni che il pubblico adottava e faceva sue, c’erano non tanto dei semplici parolieri, quanto degli autentici poeti come Aragon, Prévert, Queneau? Ne discutemmo a lungo, decidemmo di fare qualche prova, di trovare un nome all’iniziativa: e fu Cantacronache, evidentemente modellato su ‘cantastorie’, per indicare un segno contenutistico – la vita quotidiana, la vita reale, la cronaca – di radicale rottura con l’andazzo sanremese». (Straniero - Barletta, 2003, p. 29).
In effetti il nome del gruppo, scelto da Straniero, spiegava bene l’intento programmatico del progetto. Se infatti le canzoni italiane del periodo scontavano una frivolezza spesso stucchevole, una canzone ‘nuova’ doveva mirare a restituire dignità al genere ‘canzone’ inteso come possibile forma d’arte e, nel contempo, far leva su testi scritti apposta per denunziare, ad esempio, l’oppressione del popolo algerino o, sul versante nazionale, per commemorare i dimostranti ammazzati dalla polizia di Stato durante una manifestazione di piazza. Inoltre, che la cittadella della canzonetta andasse cannoneggiata, era fuor di dubbio, se è vero che ancora nel 1957 – un anno prima della svolta impressa dal trionfo di Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu – il vincitore del Festival di Sanremo era una volta di più Claudio Villa, con una canzone, Corde della mia chitarra, musicata dallo stesso Mario Ruccione autore nel 1935 di Faccetta nera. Proprio al Cantacronache si deve la fama di Straniero. Nel suo assetto definitivo il gruppo durò dal 1958 al 1962 e fu di grande importanza per la concezione di una canzone ‘nuova’ nello stile e soprattutto nei contenuti. Futuri cantautori di successo, come Fabrizio De André e ancor più dichiaratamente Francesco Guccini, si ispirarono al gruppo torinese che, all’insegna del motto «evadere dall’evasione», fugò fin dagli inizi ogni possibile dubbio circa le finalità del progetto.
Tra il 1957 e il 1958 si verificarono in Sicilia incidenti mortali sul lavoro nelle cave di zolfo, dato ispirativo per il testo più famoso e durevole di Straniero, La zolfara. La canzone, musicata da Fausto Amodei, fu interpretata anni più tardi anche da cantanti pop di fama nazionale, come Ornella Vanoni, ed era inserita nel primo microsolco del gruppo, assieme ad altri tre brani. Il cattolico Straniero cantava il rimpianto dei morti in chiave mistica, facendo sfilare i minatori al cospetto di Gesù. L’autore del brano, nel 1958, si era già allontanato dalla pratica cattolica, per accedere a una visione religiosa disancorata dall’autorità; tuttavia il dogma, anche se sul piano polemico, costituiva ancora l’archetipo e il riferimento spirituale. La canzone iniziava contrapponendo in rima i protagonisti-vittime, i minatori, ai responsabili, i signori («Otto sono i minatori / ammazzati a Gessolungo / ora piangono, i signori, / e gli portano dei fiori»). La chiusa, di tono solenne, era invece nel segno celestiale dell’assunzione («Dopo la dimostrazione / Gesù Cristo li ha chiamati, / con la sua benedizione / li ha raccolti fra i beati»).
In quell’intenso 1958 Straniero guardò il mondo negli occhi anche con Storia di capodanno. La scena, ben più prossima rispetto agli zolfatari siciliani, è occupata da un bambino di quattro mesi, figlio di immigrati veneti, morto di freddo e denutrizione a Orbassano, presso Torino. Ne diede notizia La Stampa del 1° gennaio; Straniero stigmatizzò l’episodio con una canzone di sei strofe in sardonici endecasillabi rolliani. Questa la penultima: «Di quel che capita, che ce ne importa? / Cambiali, lacrime, tratte, bambini, / pensieri, debiti, tasse, strozzini, / lieti sbattiamoli fuor della porta!». La canzone arrivò alle orecchie dell’amministrazione comunale, e Amedeo Peyron, il sindaco democristiano di Torino, la prese assai male.
Cantacronache esordì nella primavera del 1958, il 1° maggio, da un camion che seguiva il corteo promosso dai sindacati, e due giorni dopo con il primo vero concerto nei locali dell’Unione culturale, intitolato 13 canzoni 13. Ingaggiati Margot Galante Garrone (1941-2017) e Amodei, il gruppo, strutturato come un ensemble di giovani volenterosi provenienti da diverse esperienze, sia professionali sia ideologiche, continuò un appassionato viaggio fra case del popolo, feste di partito, brevi esibizioni in apertura, per esempio, a un comizio di Palmiro Togliatti o di Pietro Nenni. Presto intellettuali e scrittori sostennero il gruppo con la scrittura di altri testi. Tra gli altri nomi – come Franco Antonicelli, Giovanni Arpino, Eco – spiccavano Emilio Jona, ricercatore di canto popolare e paroliere, il poeta Franco Fortini e, soprattutto, Italo Calvino, che al Cantacronache regalò alcuni temi di forte impatto come Dove vola l’avvoltoio? e Oltre il ponte. A parte le urgenze dell’attualità, il repertorio del gruppo si aprì anche alla riflessione storica, e proprio un testo di Straniero, in questo senso, colse nel segno, pagando debito alla Resistenza: Partigiani fratelli maggiori. Anche in questo caso la canzone era innovativa, tenendo conto che dopo i duri anni del centrismo, in cui i meriti militari e umani della Resistenza erano stati messi in ombra, non era affatto scontato richiamarne in causa i protagonisti, con un intento, prima ancora che celebrativo, di raccordo storico e di ideale condivisione dello spontaneismo.
Sempre a proposito di antifascismo, il 1961 fu un anno chiave per Straniero perché si delineava con accresciuta nettezza la sua vocazione alla ricerca sul campo. In giugno partì per la Spagna assieme al Cantacronache per raccogliere nuovi canti antifascisti. Percorsi oltre 6000 km in auto e dopo una serie di avventure, nel 1962 il racconto di quell’esperienza uscì in volume (S. Liberovici - M.L. Straniero, Canti della nuova Resistenza spagnola 1939-1961, Torino). Appena pubblicato, finì nella classifica dei dieci saggi più venduti. Ma la vera notizia è che tra i tanti lettori ci fu anche chi, da posizioni istituzionali, denunciò l’editore Einaudi e gli autori, ottenendo addirittura il sequestro del libro. La causa di tanto sdegno risiedeva nella presenza di una copla ritenuta oltraggiosa nei confronti della Chiesa e del premier Francisco Franco. Questi i versi incriminati: «al santo Cristo de Limpias dicen que le crece el pelo / la que le crece es la polla de darle por culo al clero». Il libro finì in tribunale, e il 26 gennaio 1963 ne seguì un animato processo in cui giovani avvocati destinati a importanti carriere – tra loro Vittorio Chiusano e Giuliano Vassalli – presero le difese degli autori imputati per vilipendio alla religione, vilipendio di capo di Stato estero e pubblicazione oscena. In seguito all’assoluzione finale, il libro fu poi tradotto in Francia e in Inghilterra.
Altri fastidi con la legge Straniero se li procurò a Spoleto, nel 1964, quando al Festival dei due mondi, nel corso dello spettacolo canoro Bella ciao, sul palco del teatro Caio Melisso cantò una strofa di Gorizia, così come anni prima l’aveva raccolta da un informatore: «Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù». Si scatenò un discreto vespaio, tra militari presenti in sala, signore dell’alta società e giornalisti conservatori. Straniero fu denunciato per vilipendio alle forze armate, ma l’eco mediatica che ne derivò costituì a lungo andare la migliore promozione possibile per i Dischi del Sole, la serie di registrazioni cui lo stesso Straniero dedicò molte energie, esibendosi con voce ferma e piglio sicuro di buon interprete. Sul versante editoriale, ancora nel 1964 uscì un volume a più mani, con prefazione di Eco, in chiave polemica contro certi meccanismi della musica leggera (M.L. Straniero et al., Le canzoni della cattiva coscienza. La musica leggera in Italia, Milano). Era un momento storico assai diverso dal recente passato, sicuramente da quel 1958 in cui, grazie proprio alla mediazione di Straniero, Cantacronache aveva saputo gettare un ponte non solo tra canzonette e mondo letterario, tra musica leggera e politica, ma anche tra ambienti culturali fino ad allora irrelati; aspetto tutt’altro che scontato, specie in una città come Torino. Infatti: Galante Garrone, erede di un’illustre famiglia della borghesia intellettuale, sposò Liberovici, compositore iscritto al Partito comunista italiano (PCI); l’architetto Amodei militò nel Partito socialista italiano (PSI), prima di diventare anche deputato del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) per una legislatura. Straniero, sia per il carattere irruento, facile alla polemica, ma versatile e sempre curioso di tutto – seppe tenersi in contatto con tutti i membri del Cantacronache anche per molti anni a seguire – sia per essersi mosso fin da giovane in contesti diversi, come le redazioni delle riviste e soprattutto la sede RAI, fu il vero personaggio fluido nel gruppo.
Dagli anni Settanta si dedicò a un’intensa attività di pubblicista. Con Virgilio Savona curò una serie di volumi divulgativi sul canto sociale e popolare; e sulla scia di Ernesto de Martino, conosciuto personalmente nel 1958 durante il premio Viareggio, studiò a fondo la religiosità popolare. Nel 1988 creò a Torino con Franco Lucà il Folk club e nel 1992 il Centro regionale etnografico linguistico (CREL). Negli anni Novanta collaborò a lungo con la Radio della Svizzera italiana e pubblicò con Jona Cantacronache: un’avventura politico-musicale degli anni Cinquanta (Torino 1996), con annesso CD antologico, fondamentale strumento di riscoperta del Cantacronache per le nuove generazioni.
Morì il 7 dicembre 2000 a Torino, dopo lunga agonia: nel 1998 un’automobile lo aveva travolto sotto casa. Nel 1997 aveva perduto la madre, trauma per lui durissimo. Celibe, non ebbe figli.
La sua produzione culturale, cospicua, in buona parte attende ancora di essere studiata, così come il suo fondo di nastri conservato all’Istituto de Martino. Collaborò alla stesura di oltre settanta tra volumi e ampi saggi, eseguì brani musicali in trentatré dischi e ne curò una ventina. Collaborò a vari quotidiani e periodici, fra i quali La Stampa, Italia-Oggi e Il giornale della musica. Fu sempre silenziosamente orgoglioso della rivista di poesia, Metrica, da lui curata negli anni giovanili: uscirono due numeri, a Milano, nel 1967 e nel 1970.
Fonti e Bibl.: C. Bermani, Una storia cantata, Milano-Sesto Fiorentino 1997, pp. 44-54; M. Peroni, «Il nostro concerto». La storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare, Milano 2001, ad ind.; G. Straniero - M. Barletta, La rivolta in musica, Torino 2003; D. Consiglio, Il PCI e la costruzione di una cultura di massa: letteratura, cinema e musica in Italia (1956-1964), Milano 2006, ad ind.; G. Straniero - C. Rovello, Cantacronache. I 50 anni della canzone ribelle, Arezzo 2008, passim; C. Ferrari, Politica e protesta in musica, Milano 2014, ad ind.; C. Pestelli, An escape from escapism: the short history of Cantacronache, in Made in Italy. Studies in popular music, a cura di F. Fabbri - G. Plastino, New York 2014, pp. 153-161; Id., Bella ciao, Torino 2016, ad ind.; La musica folk. Storie, protagonisti e documenti del revival in Italia, a cura di G. Plastino, Milano 2016, pp. 153-161; A. Fanelli, Contro canto. Le culture della protesta dal canto sociale al rap, Roma 2017, ad indicem.