GUINIGI, Michele
Nacque a Lucca nel 1405 da Giovanni di Michele di Lazzaro e da Margherita di Bonagiunta Schezza. La madre era figlia di uno dei più eminenti mercanti lucchesi dell'epoca, il padre era a sua volta un ricco mercante e cambiavalute; aveva inoltre prestato una solerte opera di collaboratore e consigliere al cugino Paolo, signore di Lucca tra il 1400 e il 1430.
Poco sappiamo degli anni giovanili del G. che si avviò alla carriera dei pubblici uffici all'epoca della signoria di Paolo ottenendo il primo incarico nel 1425 come consigliere dell'arte della seta; da allora lo ritroviamo tra i consiglieri ancora nel 1426, nel 1428 e nel 1430; nel 1426 fu consigliere della Curia del fondaco e nel 1428 governatore della Dogana del sale.
La caduta di Paolo Guinigi non ebbe immediate ripercussioni sulla posizione del G. in seno alla Corte dei mercanti: fu infatti presente a riunioni nel novembre e nel dicembre del 1430 e nello stesso anno fu eletto tra i consiglieri dell'arte dei campsores per l'anno a venire; surrogato al posto di Nicolao di Dino Guinigi il 6 dic. 1430, figurava ancora tra i consiglieri estratti per tutto l'anno successivo. Di lì a poco, tuttavia, il G. sarebbe stato coinvolto nelle ritorsioni contro la famiglia del deposto signore: presunto reo di cospirazione ai danni della Repubblica, fu infatti imprigionato per alcuni mesi. Rilasciato soltanto su richiesta di Niccolò Piccinino dopo il versamento di una cauzione di 300 fiorini, fu costretto a stare sotto sorveglianza e successivamente, nel 1433, ancora sospettato di complotto, fu confinato ad Alessandria; in marzo o aprile dell'anno seguente poté però rientrare a Lucca.
Da quel momento il G. si impegnò in un'azione instancabile di ricostituzione del patrimonio familiare che si concentrò nelle sue mani, prevaricando i diritti degli altri congiunti, in particolare dei fratelli Paolo, Francesco e Girolamo (nati dal secondo matrimonio del padre): tale azione fu infatti condotta, stando alla testimonianza del fratello Girolamo, ai limiti o completamente al di fuori della legittimità.
Il G. ricompose così nel corso degli anni il patrimonio familiare che si era precedentemente accumulato nei rami collaterali: manovrando abilmente, egli si ritrovò a essere il successore universale dei beni paterni, di quelli di Baldassarre, cugino del padre, e di due terzi di quelli dei suoi secondi cugini, Francesco, Nicolao, Lorenzo, figli di Lazzaro di Francesco Guinigi. Dopo aver ottenuto con un atto datato 19 sett. 1430 dai propri fratelli Paolo e Francesco, che si impegnarono anche a nome di Girolamo, ancora minorenne, l'assegnazione di ogni diritto all'eredità paterna, nel 1436 iniziarono gli inevitabili dissapori del G. con Francesco e Girolamo (Paolo era morto negli ultimi mesi del 1430 e il G. riuscì ad arrogare a suo completo vantaggio anche i diritti su questa eredità, spettante ai fratelli perché ab intestato), ma il conflitto fu particolarmente aspro e duraturo con Girolamo. L'indefessa ricerca di prove documentarie a sostegno delle proprie pretese contribuì a sviluppare nel G. la vocazione di genealogista e di curioso indagatore delle memorie del passato, anche se non vanno taciute le esplicite accuse mossegli proprio da Girolamo, che lo incolpa di aver farcito i suoi memoriali di "molte false memorie […] che in contrario posso provare" (Ricordi di Girolamo Guinigi, c. 5v).
L'esame dei libri redatti dal G. permette di farsi un'idea dell'ubicazione dei suoi beni e del tipo di contratto con cui essi erano concessi in locazione, nonché delle rendite e dei prodotti che se ne ricavavano. I possedimenti del G. risultano assai sparsi, anche se è dato di individuare alcune zone in cui la proprietà risulta più massicciamente concentrata. Una porzione consistente di beni era ubicata nelle zone di Bargiglio e di Catureglio, nella vicaria di Coreglia, dove fin dal 1388 il nonno del G., Michele di Lazzaro, aveva acquistato un'estesa proprietà già appartenuta a Francesco Castracani degli Antelminelli. Il G. non è una figura tipica di mercante, come i suoi ascendenti: è possibile anzi studiare la sua attività come un esempio di quel "ritorno alla terra" che caratterizza la storia economica di una parte dei ceti borghesi cittadini dopo l'epoca della fioritura cittadina comunale. La sua mentalità non fu dominata dall'interesse per la speculazione o per l'immobilizzazione del capitale, e l'attività di amministrazione del suo patrimonio immobiliare e delle sue rendite, derivanti queste ultime dal commercio di libri e anche di schiavi, si mosse nell'ambito di parametri tradizionali. Sono illuminanti le parole rivolte ai figli per esortarli ad aver cura della proprietà: "seguite il costume dei signori […], li quali, prima che alienasseno le loro iurisdictioni, sofferiscono di andare stentando e mendicando per lo mondo. Queste cose non sono di piccola iurisdictione a uno ciptadino […], et ancho sono di tale conditione che ogni buono ciptadino avendo ancora buona famiglia ne viverebbe assai honorevilemente attendendo a chavarne quello che si potesse" (Archivio Guinigi, 4, c. 304r). Il 6 sett. 1446 il G. acquistò da Nicolao di Dino insieme con Girolamo il palazzo in contrada Ss. Simone e Giuda, che avevano fatto edificare, alla fine del secolo precedente, Dino, Lazzaro e Iacopo di Nicolao Guinigi. Ancora dagli eredi di Dino acquistò in seguito, nel 1449, insieme con i fratelli, alcuni poderi a Saltocchio, Brancoli e nelle zone della vicaria di Camaiore.
Nel corso di quegli anni la sua vita pubblica poté esplicarsi per lo più nell'ambito della contrada di appartenenza, nella quale già nel 1433 deteneva la carica di operaio della chiesa dei Ss. Simone e Giuda, tradizionale patronato della famiglia; fu membro delle Confraternite di S. Lorenzo dei Servi e di S. Pellegrino di Lunata; di quest'ultima fu camarlingo nel 1445. Nel 1447 era operaio della chiesa di S. Francesco, nel chiostro della quale si trovava la cappella di famiglia, e in tale veste, affiancato da Michele Totti, affidò all'orafo Nicolao di Bartolomeo Luporini l'incarico di eseguire un reliquiario per la sacrestia. In quello stesso anno sposò Camilla di Raffaele Tegrimi, che gli recò una dote di 500 fiorini.
Legato alla raccolta e al commercio dei libri è il ruolo di rilievo che egli ebbe nel cospicuo acquisto di manoscritti del convento di S. Francesco che, per conto di Cosimo de' Medici, fu trattato nel febbraio del 1446, allorché furono inviati a Lucca Vespasiano da Bisticci e Giuliano Lapaccini; il G. raccolse inoltre manoscritti per lo più umanistici (secondo una tradizione già avviata da Paolo Guinigi con la sua biblioteca signorile che il G. aveva in parte acquisito), che talvolta vendeva o cambiava con altri volumi.
Nel febbraio del 1454 ebbe luogo la divisione dei beni che il G. aveva a suo tempo comprato da Dino di Nicolao; anche in quella circostanza il G. ebbe a che ridire con i congiunti, in uno scontro che si fece vivace di fronte al vescovo Stefano Trenta, nella sede stessa dell'episcopio; il G. riuscì a ottenere interamente l'assegnazione del palazzo già appartenuto a Dino di Nicolao, ma avanzò l'ulteriore pretesa di accaparrarsi altre porzioni dell'eredità, provocando la reazione dell'arciprete Lorenzo Guinigi, procuratore di Azzo di Dino; fu allora che costui, in un pittoresco scatto d'ira, lo accusò di fronte al vescovo di aver usato ogni malizia per ingannare i propri congiunti (Archivio Guinigi, 29, c. 48r). Il 9 giugno dell'anno successivo il G. prese possesso del palazzo, che due anni dopo avrebbe affittato al cognato Pietro da Noceto.
La sua carriera politica fu compromessa dal coinvolgimento nei presunti complotti, già ricordati, degli anni Trenta; tuttavia egli fece parte del Consiglio generale nel bimestre marzo-aprile 1460. Morì improvvisamente a Lucca, senza aver avuto il tempo di redigere il testamento, il 5 luglio 1465, lasciando i figli Giovanni e Francesco, minori, e le figlie legittime Margherita, Pippa e Lucia, nonché la figlia naturale Maddalena. La tutela dei figli fu affidata al fratello Girolamo che raggiunse finalmente, il 23 marzo 1469, un accordo circa la lunga lite che lo aveva opposto al Guinigi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, 1, cc. 165, 166v, 179r, 226v, 252v; 4, c. 304r; 29 (Ricordi di Girolamo Guinigi), cc. 2r, 5v; 151; Consiglio generale, 14, pp. 131, 133 s., 141 s.; Corte dei mercanti, 17, cc. 106r, 110r, 124r, 126, 132v, 146r, 149v, 152r, 159v, 162v, 166r, 168v; Governo di Paolo Guinigi, 2, p. 709; Regesti del R. Archivio di Stato in Lucca, V, Carteggio degli Anziani dall'anno 1473 all'anno 1492, a cura di E. Lazzareschi, Pescia 1943, pp. 8, 10, 85, 201; Inventario dell'Archivio di Stato in Lucca, VI, Archivi gentilizi, a cura di D. Corsi, Lucca 1961, pp. 357, 440, 442, 459, 370-372, 410, 440-443; E. Lazzareschi, Relazioni di Cosimo de' Medici con la Signoria di Lucca, in La Rinascita. Riv. del Centro nazionale di studi sul Rinascimento, III (1940), pp. 6-12 dell'estratto; A. Bertoli, L'arte della stampa in Lucca nel sec. XV, in Boll. stor. lucchese, 1 (1941), p. 8; R. Sabbatini, I Guinigi tra '500 e '600. Il fallimento mercantile e il rifugio nei campi, Lucca 1979, pp. 25, 101; S. Polica, An attempted "reconversion" of wealth in XVth century Lucca: the lands of M. di Giovanni G., in The Journal of European economic history, IX (1980), pp. 665-707; G. Concioni - C. Ferri - G. Ghilarducci, Orafi medievali, Lucca 1991, pp. 95, 115.