FOSCARINI, Michele
Nacque il 3 sett. 1574 (probabilmente a Rovigo, dove il padre era rettore) da Renier di Michele del ramo di S. Agnese e da Elisabetta di Pietro Morosini, sorella del cardinale Gianfrancesco.
I genitori erano entrambi al secondo matrimonio, celebrato nel 1573. Dalle prime nozze del padre era nata Samaritana, sposata nel 1581 a un Sebastiano Foscarini: dalle seconde, oltre al F., vennero altri due maschi, Pietro e Gerolamo (1579-1630). Il padre del F. (1524-1606) lasciò il patrimonio indiviso ai tre figli maschi, tutti già avviati alla carriera politica. La famiglia della madre, i Morosini "dalla sbarra", apparteneva al ramo di S. Canciano detto "dal zardìn" e dimorava a S. Cassiano. Gianfrancesco, dopo una brillante carriera politica divenne vescovo, nunzio pontificio e cardinale. Un discendente con lo stesso nome fu patriarca di Venezia dal 1644 al 1678.
Secondo G. Priuli il F. fu "senatore certo di prudenza e valore non inferior ad alcuno della sua età, ben superiore a molti". Dopo aver dedicato gli anni dell'adolescenza e della giovinezza agli studi fece il suo debutto in politica nel settembre del 1599 come savio agli Ordini, carica ancora a quei tempi riservata al tirocinio dei giovani patrizi più ambiziosi e promettenti; il F. tornò a ricoprirla altre due volte, nel 1600 e nel 1601. Seguì un periodo di inattività - ci fu un tentativo fallito di farsi eleggere savio alle Acque nel 1602 - fino al marzo 1605, allorché fu nominato provveditore al Cottimo di Damasco, cui spettava riscuotere i diritti sulle merci provenienti da quello scalo mediorientale. Dopo essere stato ufficiale alle Rason Vecchie nel 1606, nel novembre del 1607 fu eletto avogador di Comun e in tale veste inviato nella Terraferma a istruire un processo penale.
Nel corso di questo mandato (ne ebbe un secondo nel 1611) il F., insieme con il collega Gerolamo Trevisan, ricoprì il ruolo di pubblico accusatore nel processo contro il nobile Angelo Badoer, accusato di aver mantenuto rapporti non autorizzati con un ambasciatore straniero. L'accusa fu tuttavia sostenuta con moderazione, nonostante le più severe intenzioni degli inquisitori di Stato.
Nel 1606 il F. era stato eletto savio di Terraferma, ricoprendo il medesimo incarico altre volte e in anni cruciali per Venezia e per la sua politica estera: nel 1613-1615 e nel 1618. Nel corso del 1611 il F. fu prima provveditore sopra i Beni comunali e poi, in ottobre, luogotenente alla Patria del Friuli.
La carica era prestigiosa, ma anche particolarmente impegnativa e soprattutto onerosa per chi, come il F., non disponeva di grosse risorse economiche. L'incarico, poi, presupponeva in particolare prudenza e capacità di mediazione, date le molteplici realtà politiche e sociali di quel territorio, senza contare il riacutizzarsi delle schermaglie con il vicino asburgico. Ma erano doti in buona misura presenti nel F. che, accettato l'incarico nel febbraio del 1612, subentrò al predecessore Leonardo Morosini il 18 marzo. Nella serie di dispacci che tra il marzo del 1612 e l'ottobre 1613 inviò al Senato (la consueta relazione finale non ci è pervenuta) il F. ebbe modo di esporre, non tralasciando suggerimenti, le diverse attività svolte e i problemi affrontati: le ispezioni lungo gli estesi confini, le visite alle diverse Comunità, la particolare attenzione per il dispositivo militare e il complesso dell'apparato difensivo fisso, fino alle cure prestate alla organizzazione sanitaria nella regione; non mancò di dare dettagliate informazioni e suggerimenti sul preoccupante stato di degrado in cui versava l'organizzazione della riscossione delle imposte, sull'andamento positivo dei rapporti col mondo ecclesiastico e del suo zelo nell'applicazione delle norme coercitive emanate dal governo della Serenissima nei confronti dei gesuiti e delle loro scuole.
Tornato a Venezia, nel 1615 il F. ottenne la dignità senatoria e nel medesimo anno, dopo aver partecipato al ballottaggio per la carica di censore, ricoprì, in successione, quella di savio del Consiglio e di savio cassier. La serie degli onori domestici fu interrotta nel gennaio 1617 (1616 more veneto) da un nuovo incarico che lo riportò in Friuli.
Doveva - si legge nella Cronica del Sivos - "con titolo di Inquisitor andar nel campo a formar processo così di questo inganno della paga che si dice fino a 4.000 soldati che non vi sono, come anco della marcantia che fanno quei che governano et comandano". Tra marzo e luglio il F. affrontò con piglio deciso gli ingrati aspetti di questa missione, "piena di angustie" - come ebbe a dire in uno dei numerosi e densi dispacci al Senato - tanto da procurargli disturbi alla salute.
Nel 1618 il F. fu savio alla Mercanzia e l'anno dopo entrò per la seconda volta in Senato. Nel corso del 1619 fu eletto savio del Consiglio, provveditore all'Arsenale, provveditore sopra le Ordinanze in Terraferma e provveditore sopra il Quieto e pacifico stato della città, una magistratura temporanea formata da tre sperimentati patrizi cui spettava in casi di particolare emergenza il coordinamento delle misure per l'ordine pubblico. Il 27 dicembre giunse per il F. la prestigiosa nomina di podestà a Brescia, che accettò solo nell'aprile del 1620 e che lo costrinse a ricorrere a un prestito da un parente per fronteggiare le ingenti spese che una tale sede di governo esigeva.
Arrivò nella città lombarda ai primi di maggio, mentre imperversava la carestia, e si pose con energia ad affrontare i numerosi e complessi problemi che presentava quel vasto territorio stretto tra i domini dell'Impero e della Spagna, mentre giungevano da non molto lontano gli echi del grande conflitto europeo da poco scoppiato. Neppure di questo incarico è rimasta la relazione e i dispacci inviati al Senato dal F. riguardano principalmente l'amministrazione ordinaria della giustizia, la gestione dell'ordine pubblico e l'opera di controllo e di mediazione nei confronti delle diverse realtà sociali.
Rientrato a Venezia nel novembre del 1621, il F. fu subito eletto consigliere per il sestiere di Castello. Il 28 marzo 1622, a coronamento della carriera, ricevette la nomina a bailo a Costantinopoli, ma una grave malattia gli impedì, nonostante il trasloco fosse già avviato, di assumere realmente l'incarico. Pur se malato, alla morte del doge Antonio Priuli il F. fu scelto come inquisitore sopra il doge defunto, il 16 ag. 1623: fu l'ultimo atto della sua carriera politica. Ritornato a Venezia dopo una lunga degenza a Padova, morì nella sua casa a S. Geremia il 7 giugno 1625.
Venne inumato nel chiostro della chiesa della Carità e non nell'arca di famiglia che si trovava nella medesima chiesa, "perché" - come scrisse nel testamento - "è piena di corpi d'altri che non sono dei nostri, portati per erore, più d'una volta, da quei padri". Nel testamento, redatto in Padova, nominava eredi i fratelli Pietro e Gerolamo, essendo celibe e senza figli.
Lasciava un patrimonio non cospicuo, in quanto - come tenne a ricordare - era stato per buona parte consumato, come pure la salute fisica, al servizio esclusivo dello Stato: pochi immobili a Venezia e alcuni fondi tra Padova e Treviso, in particolare nel territorio di Bovolenta.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, c. 537; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3782; G. Priuli, Pretiosi frutti…, c. 39; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 122 (=8863): G. Sivos, Cronica veneta, c. 25; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Libri d'oro. Nascite, reg. V, c. 105; Ibid., Notai di Venezia. Testamenti, 1279, fascc. 76, 85 (notaio Nicolò Trevisan); Ibid., Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità. Necrologi, b. 854; Ibid., Dieci savi alle decime in Rialto, b. 167 (S. Cassiano), fasc. 199 (condizione di decima del padre del F. per il 1582); sul cursus honorum del F. Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni Pregadi, regg. 6, cc. 20v, 21v, 188v; 7, c. 23v; 8, cc. 13v, 97v; 9, cc. 2v, 3v, 4v, 11v, 12v, 13v, 14v, 44v, 55v, 74v, 167v; 10, cc. 1, 27v, 98v, 103v, 148; 11, c. 98v; Segretario alle Voci.Elezioni Maggior Consiglio, regg. 13, cc. 1, 66v, 165v, 174v; 14, c. 174v; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Giuramenti dei rettori, reg. 6, cc. 27, 42; ibid. Lettere dei rettori. Udine, b. 172; ibid. Brescia, b. 28; Ibid., Senato. Dispacci dei rettori. Udine, f. 6; ibid. Brescia, filze 20, 21, 22; Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori di Terra e da Mar, b. 243 (dispacci del F. inquisitore in campo); Ibid., Consiglio dei dieci. Miscellanea codici, reg. 60, alla data; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII 832 (=8911), Consegi, cc. 179, 244v; 833 (=8912), cc. 73, 256; 835 (=8914), cc. 40, 167v, 205, 225v, 226v, 272; 836 (=8915), cc. 17v, 36v, 52v, 78v, 102v, 123v, 154v, 177v, 206, 218v, 224; 837 (=8916), cc. 40, 55, 119v, 236; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P.D. 1050 n. 206; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, I, La Patria del Friuli (Luogotenenza di Udine), Milano 1973, p. LX; XI, Podestaria e capitaniato di Brescia, Milano 1978, p. LII; A. Morosini, Historia veneta…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, III, Venezia 1720, p. 521 (il F. è erroneamente indicato savio agli Ordini anziché savio grande); P. Camerini, Annali del Giunti, I, 1, Firenze 1963, pp. 309 s.; R. Canosa, Alle origini delle polizie politiche. Gli inquisitori di Stato a Venezia e a Genova, Milano 1989, p. 71.