FOSCARINI, Michele
Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Sofia a Cannaregio, il 24 marzo 1632, primogenito di Lorenzo di Giovanni e di Margherita Priuli. La famiglia non era ricca e per di più il padre morì quando il F. non aveva che diciassette anni e di lì a poco (1651) scomparve pure l'unico zio, Giacomo; perciò assai presto il F. dovette farsi carico della conduzione domestica.
Disponeva peraltro già di una discreta preparazione giuridica, accompagnata da uno spiccato interesse per le lettere, in particolare l'eloquenza e la poesia. Ancora adolescente, infatti, aveva preso a frequentare l'Accademia degli Incogniti, che si riuniva nel palazzo di Giovan Francesco Loredan: aveva solo quattordici anni allorché - a detta del Gasperi - vi lesse delle Conclusioni logicali; a stampa abbiamo invece brevi sue annotazioni biobibliografiche a una rassegna di poeti latini edita nel 1651 dal palermitano Domenico Antonio Caramella, membro dello stesso sodalizio, e - sempre nel 1651 - una "plumbea" novella (Benzoni), accompagnata da altra di non dissimile levatura, in una raccolta di componimenti d'amore curata da M. Bisaccioni.
L'estrazione della Balla d'oro (4 dic. 1652) aprì al F. l'ingresso al Maggior Consiglio, ma la sua carriera politica avrebbe avuto inizio solo dopo il matrimonio con Orsetta Sagredo di Giovanni, del ramo dal Zaffo (4 marzo 1658). Neppure questa era una famiglia cospicua, ma l'appoggio dei nuovi parenti si rivelò determinante per il conseguimento, da parte del F., dell'ingresso in Collegio. Divenne dunque savio agli Ordini una prima volta dall'aprile al giugno 1658 e una seconda dall'ottobre 1660 al marzo 1661, esercitando nel frattempo il provveditorato sopra gli Offici, dal 28 giugno 1658 al 27 giugno 1659: queste almeno le cariche che gli possono essere attribuite con sufficiente sicurezza, considerata la presenza - purtroppo non sempre distinta nei registri del Segretario alle Voci - di un omonimo contemporaneo che divenne procuratore di S. Marco, figlio di Giovanni Battista, del ramo a S. Margherita (1629-1690).
Il F. avanzò nel cursus honorum rivestendo la carica di provveditore sopra le Camere, cui venne eletto il 5 maggio 1661, dopo di che esercitò impieghi di natura prevalentemente giuridico-criminale: avogador di Comun dal 27 marzo 1662 al 26 luglio 1663 (e in questa veste nel dicembre 1662 si recò a istruire un processo a Orzinuovi e nel maggio dell'anno seguente a Bergamo), sopraprovveditore alla Giustizia nuova dal novembre 1663 al marzo 1664, esecutore delle deliberazioni del Senato dal luglio di quest'ultimo anno, ma non portò a termine il mandato perché il 30 maggio 1665 venne nominato provveditore e capitano a Corfù.
La carica rivestiva una certa importanza, allora accresciuta dalle incombenze di carattere militare, derivanti dal perdurare della guerra di Candia, e per di più consentiva di ricavare qualche utile, dal momento che gli statuti locali affidavano al rettore il compito di stabilire anno per anno i prezzi dei prodotti agricoli.
Poco più di un anno dopo il F. fu nuovamente chiamato a far parte dell'avogaria di Comun (17 febbr. 1668-16 giugno 1669), quindi divenne provveditore sopra i Feudi dal 28 giugno 1669 sino a dicembre, allorché abbandonò la carica per assumere quella di savio di Terraferma, che tenne nel primo semestre del 1670 e poi ancora del 1671, con delega alla Scrittura.
Pervenuto alla soglia dei quarant'anni, non rinunciò a cogliere l'occasione di far valere nel Maggior Consiglio la propria eloquenza approfittando di una spettacolare congiuntura, ossia delle accuse mosse da Antonio Correr a Francesco Morosini, reo di aver ceduto Candia al Turco giusto un anno prima, nel settembre 1669.
La perdita del regno, pur dopo uno spossante conflitto, aveva suscitato sgomento e rancore nei Veneziani e la ferita era ancora aperta; quanto all'operato del Morosini non erano mancate perplessità e riserve, che l'improvviso (e tuttora in parte inspiegabile) attacco del Correr veniva allora a rinfocolare, offrendo in qualche modo all'opinione pubblica un capro espiatorio. Sull'onda delle emozioni suscitate il Correr venne subito eletto avogador di Comun, mentre in difesa del Morosini scendeva in campo Giovanni Sagredo (nessuna parentela diretta con il suocero del Foscarini). Il dibattito era ormai giunto al terzo giorno allorché, il 25 settembre, il F. prese la parola sostenendo una posizione sostanzialmente favorevole all'accusato: che si dovesse cioè far piena luce sulla condotta dei responsabili dell'ultimo scorcio del conflitto, ma nel rispetto delle procedure legali, senza indulgere a giudizi sommari o a condizionamenti emotivi.
Questo equilibrato e tempestivo intervento valse a far decantare le tensioni e riuscì, si può dire inaspettatamente e rapidamente, a por fine al dibattito. Tanto più brillante il successo, in quanto accontentava tutti e dunque ad ognuno risultava gradito; perciò fu esso, con ogni probabilità, a determinare l'elezione del F. a sindaco e inquisitore in Terraferma (24 genn. 1672), in luogo del rinunciatario Andrea Valier, che aveva preferito optare per la nomina a provveditore generale da Mar.
Si trattava di una magistratura eccezionale che veniva attivata dopo lunghi intervalli, nell'intento di porre ordine a situazioni di malgoverno, gravemente segnate da dissesto nei campi giudiziario, economico e sociale, cui la normale attività dei rettori non riusciva più a far fronte. Data la sua importanza, per solito vi erano chiamati patrizi di grande autorità e prestigio: il F. venne infatti affiancato dal cavaliere di S. Marco e futuro doge Marcantonio Giustinian e dal cavaliere Girolamo Corner, che sarebbe poi morto nel corso della guerra di Morea, esercitando il comando dell'armata navale.
Al termine della lunga fatica l'attendeva in patria la nomina a savio del Consiglio, che il F. ricoprì dall'ottobre 1676 al marzo successivo e poi dal 1678 per tutto il resto della sua vita, sempre nel primo semestre dell'anno. Era il segno tangibile del prestigio che aveva ormai conseguito, tanto più che nei mesi di assenza venne regolarmente eletto ad altre importanti cariche dell'ordine senatorio, dalle quali si dimetteva il 31 dicembre per divenire savio del Consiglio l'indomani: savio alle Acque il 2 ott. 1677, provveditore in Zecca il 1° luglio 1678, avogador di Comun il 21 novembre dello stesso anno, ancora provveditore in Zecca il 1° luglio e sopraprovveditore alle Biave il 4 nov. 1679, savio alla Mercanzia l'11 luglio 1680, revisore e regolatore alle Entrate il 5 luglio e tansador il 29 nov. 1681, provveditore di rispetto ai due sopraprovveditori alle Pompe dall'8 luglio 1682 al 7 luglio 1684 (ma in questo caso non dovette lasciare la carica per assumere quella di savio del Consiglio), aggiunto ai cinque savi alla Mercanzia dal 5 ag. 1682 sino alla morte (essendo questa una magistratura straordinaria, non fu ritenuta incompatibile con altre cariche), savio all'Eresia il 10 luglio 1683, provveditore in Zecca l'8 luglio 1684, provveditore alle Artiglierie il 4 luglio 1685 e inquisitore di Stato il 18 agosto di quello stesso anno, deputato alla Provvision del denaro l'8 ag. 1686, sopraprovveditore alle Biave il 3 luglio 1687 e dodici giorni dopo inquisitore sopra Ori e monete, correttore della Promissione ducale il 28 marzo 1688 e provveditore del Denaro l'8 luglio seguente, provveditore del Collegio della milizia da Mar il 2 luglio 1689, provveditore all'Arsenal il 15 luglio 1690 e poi ancora il 5 luglio 1691.
Questa intensa, molteplice attività risulta comunque marginale rispetto al filo rosso che accompagna e qualifica l'ultimo quindicennio della vita del F., rappresentato dall'esercizio del saviato "grande", i cui momenti più significativi conosciamo proprio grazie alla Historia scritta da lui stesso, dove parlando di sé in terza persona riporta compendiosamente molti dei discorsi tenuti in Senato. Emerge da essi (come pure da molte altre fonti) il profilo di un uomo moderato e prudente, incline alla pace e restio alle lusinghe della guerra, anche quando essa si presentava come nobile e gloriosa impresa, in grado di fondere lo spirito religioso della "crociata" alle suggestioni, allora così vive a Venezia, della tanto attesa riscossa antiturca.
Il F. si pronunciò dunque in Senato, nel gennaio 1684, contro l'adesione alla Lega santa proposta dall'imperatore Leopoldo e dal re di Polonia, Giovanni Sobieski, rammentando i dispendi e le delusioni di recente patite, e che avevano portato alla perdita di Candia: Venezia, disse - così riporta il Garzoni - la guerra l'aveva sempre subita come qualcosa di proprio alla sua vocazione, e l'idea che ora essa volesse provocarla "né meno filosofando per esca curiosa dell'intelletto havrei saputo concepirlo, e pensarlo". Prevalse invece, come è noto, il partito dell'intervento armato, guidato dall'impetuosa e facile oratoria di un altro savio del Consiglio, Pietro Valier; non per questo il F. mutò opinione, ché anzi rimase per tutta la durata del conflitto, del quale peraltro non avrebbe visto la fine, coerente con le proprie convinzioni, a costo di rischiare l'impopolarità: come quando sostenne la necessità di aprire il Libro d'oro a nuove famiglie disposte a sovvenzionare l'Erario (1685), o di procedere per gradi, con accorto impegno, all'elaborazione di nuove leggi per la Morea allora conquistata (1687), o infine (1690) opponendosi alla progettata invasione dell'Albania.
Non era, il F., amante del rischio né di altra gloria che non fosse quella delle lettere: il Consiglio dei dieci lo elesse dunque "deputato a scriver le Historie", il 19 dic. 1678, destinandolo a succedere al defunto Battista Nani nell'incarico di pubblico storiografo.
La Historia della Repubblica veneta del F. si estende in sette libri, dal 1669 al 1690, e fu pubblicata una prima volta nel 1696 per cura del fratello Sebastiano, dal momento che l'autore era scomparso senza aver potuto rifinire adeguatamente l'opera, che peraltro sarebbe stata inserita comunque nella raccolta dei pubblici storiografi veneziani. In questa sede essa apparve insieme con una biografia del F. curata da Pier Caterino Zeno, che della Historia fornì anche un equilibrato giudizio. Premesso che l'opera non risulta "dettata con quella pulitezza di lingua… in cui scrissero, dopo il Bembo, il Guicciardini, il Varchi…, dovendosi ciò tutto attribuire al secolo in cui visse", lo Zeno rileva che "ella non ha que' lunghi periodi, e quel rigiro affettato di parole e di sentenze… che sovente straccano, e privan di lena il leggitore".
Merito del F., dunque, di aver preso le distanze dai troppi virtuosismi che inquinano gli scritti dei predecessori: in effetti ancor oggi il suo lavoro appare dignitoso e chiaro, rispettoso della verità, delle connessioni dei fatti e della reale valenza degli eventi descritti; ancora, sempre molto sobrio - come del resto richiedevano la sede e la natura dell'opera - nei giudizi e nelle valutazioni critiche, dalle quali peraltro si evincono le personali concezioni dell'autore, ispirate a una visione realistica del modesto ruolo che ormai toccava alla Repubblica rispetto alla grande politica internazionale, dominata dalla figura di Luigi XIV e dal duello ottomano-asburgico. Quanto all'assetto interno dello Stato, il F. propende nettamente per una visione aristocratica, contrapponendosi alle velleità oligarchiche delle famiglie più influenti e doviziose. Insomma una figura, la sua, tipica della grande tradizione "repubblicana", ricca di prudente buon senso nei propri confronti anzitutto, come pure nei riguardi della collettività.
Morì nel suo palazzo a Venezia, improvvisamente, il 31 maggio 1692 e fu sepolto nell'arca di famiglia nella chiesa di S. Francesco della Vigna. Da Orsetta il F. non ebbe figli e, siccome i fratelli Sebastiano e Giovanni non si sposarono, con loro ebbe termine il ramo di S. Sofia.
Suoi scritti in: Cento novelle amorose de i signori Accademici Incogniti…, a cura di M. Bisaccioni, III, Venetia 1651, pp. 67-79; O.D. Caramella, Museum illustriorum poëtarum… cum notis M. Foscarini…, Venetiis 1651. La Historia della Repubblica veneta, Venetia 1696 (con un ritratto del F.) venne ristampata in Degl'istorici delle cose veneziane…, X, Venezia 1722, premessavi la Vita del senatore M. F., di P.C. Zeno, pp. III-VIII.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi…, III, p. 528; Ibid., Avogaria di Comun. Libri d'oro. Matrimoni, reg. V, c. 137v; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159: Necrologi di nobili, fasc. 2, sub 31 maggio 1692; Ibid., Segretario alle voci. Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 20, c. 78; 21, cc. 7, 23, 78, 163; 22, cc. 5, 177; 23, cc. 6, 212, 214; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni Pregadi, regg. 17, c. 17; 18, cc. 16, 31, 75, 140; 19, cc. 3-9, 17, 29, 35, 54, 57, 62, 68, 73, 127; 20, cc. 7-11, 42, 56, 73, 87, 89 s., 92, 94, 109, 116, 150, 157, 173; Ibid., Consiglio dei dieci. Misc. codici, regg. 63, c. 27v, 38v; 64, passim; sull'inquisitorato in Terraferma, Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori da Terra e da Mar, filze 275-277; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, bb. 6, nn. 102, 274-278, 306, 310-312; 299, fasc. Sindici ed inquisitori in Terraferma dal 1549 al 1745, ad dies; un dispaccio al doge per ringraziare dell'elezione a savio del Consiglio mentr'era sindaco in Terraferma, in Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 2532/XII; sue lettere a diversi, concernenti l'amministrazione delle proprietà fondiarie nel Bassanese e nel Polesine, Ibid., Mss. P.D. C 1066/531; C 1067/268, 672, 673, 675, 676; C 1074/129; C 1075/22; C 1080/251-252; alcune testimonianze sulla personalità e la produzione del F., Ibid., Mss. Gradenigo 15: La Copella politica…, pp. 151 s.; Ibid., Cod. Cicogna 3526: G.P. Gasperi, Catalogo della Biblioteca veneta…, II, pp. 118 s.
Si vedano ancora: F. Sansovino - G. Martinioni, Venetia città nobilissima, et singolare…, Venetia 1663, ad Indicem; P. Molmenti, Venezia alla metà del sec. XVII descritta da due contemporanei, in Curiosità di storia veneziana, Bologna 1919, pp. 410, 454 (è l'esame critico del patriziato, 1664); un'ode di C. Dottori in lode del F., in Glorie funebri… in morte di… Battista Nani…, Venetia 1679, pp. 142-147; T. Cataneo, Orazione detta ne' funerali di M. F.…, Venezia 1692; P. Garzoni, Istoria della Repubblica di Venezia in tempo della Sacra Lega…, Venezia 1720, pp. 48 ss., 401-404; J.P. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres…, XII, Paris 1730, pp. 389-393; G. Moschini, Della letter. venez. del secolo XVIII…, II, Venezia 1806, p. 163; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni venez., Venezia 1824-53, I, p. 64; III, pp. 455, 482; V, pp. 164 s., 169, 173, 230; VI, pp. 213, 304; Id., Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 77, 365, 425; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 471 s., 485; G. Soranzo, Bibliografia veneziana…, Venezia 1885, pp. 298, 401; D. Levi-Weiss, Le relazioni tra Venezia e la Turchia dal 1670 al 1684 e la formazione della Sacra Lega, in Arch. veneto-tridentino, IX (1926), pp. 98, 103, 111; G. Benzoni, Introduzione, in Storici e politici veneti del Cinquecento e del Seicento, a cura dello stesso e di T. Zanato, Milano-Napoli 1982, pp. XLIII s.; P. Del Negro, Forme e istituzioni del discorso politico veneziano, in Storia della cultura veneta, 4, Il Seicento, II, Vicenza 1984, p. 419; G. Cozzi, La Repubblica di Venezia in Morea: un diritto per il nuovo Regno (1687-1715), in L'età dei lumi. Studi stor. sul Settecento europeo in onore di F. Venturi, Napoli 1985, pp. 742, 753; G. Cozzi - M. Knapton - G. Scarabello, La Repubblica di Venezia nell'età moderna. Dal 1517 alla fine della Repubblica, in Storia d'Italia (UTET), XII, Torino 1992, pp. 130, 138, 140 ss.