FERRUCCI, Michele
Nacque a Lugo (Ravenna) il 29 sett. 1801 da Filippo Ferruzzi, proprietario terriero, e da Violante Malerbi.
A partire dal 1824 il F. (insieme con il fratello maggiore Luigi Crisostomo) cambiò il proprio cognome originario, adottando la forma toscanizzata Ferrucci.
Il F. compì gli studi di matematica e fisica nel collegio "Trisi" della sua città e quelli di umanità e retorica nel seminario vescovile di Faenza.
Ancora giovanissimo il F. raggiunse grande notorietà nell'ambiente dei classicisti romagnoli come raffinato scrittore in lingua latina e soprattutto come autore di epigrafi: le sue prime prove entusiasmarono F. Schiassi, che nel gennaio 1821 lo delegò a comporre iscrizioni per la morte del massimo epigrafista del momento, S. A. Morcelli (le iscrizioni furono esposte nel duomo di Chiari, durante le esequie solenni, e in parte scolpite nel monumento funebre morcelliano, inaugurato, sempre a Chiari, nel 1827). Nel 1826 F. Cassi invitava il "suo dolcissimo Michele Ferrucci" a ricordare con epigrafi l'amico G. Perticari e voleva il giovane latinista accanto a sé, a Pesaro, per affidargli la revisione del suo volgarizzamento della Farsalia di Lucano. Nel 1826, annuente lo Schiassi, il F. raccoglieva in volume il meglio della sua produzione (Specimen inscriptionum, hisce accedunt carmina nonnulla, Pesaro), con dedica a U. P. Spinola, vescovo di Macerata: si tratta di oltre duecentocinquanta pezzi, suddivisi ed organizzati per unità tematiche e composti di volta in volta per le occasioni più svariate.
Fin da queste sue prime prove di epigrafista, il F. mostrava qualità ed attitudini che sarebbero rimaste poi costanti nella sua lunga e prolifica produzione: chiarezza e concisione dell'enunciato, sicura padronanza di stilemi e costruzioni sintattiche e infine una grande ricchezza lessicale, depurata, per quanto possibile, da neologismi e barbarismi. Certo non bastavano l'impegno sincero e il gusto dei classici a dare vitalità a un genere ancora in grande sviluppo, ma irrimediabilmente inadeguato ai tempi e ormai circoscritto a gruppi e a circoli provinciali. Si aggiunga che spesso, per forza di cose, le iscrizioni risultano encomiastiche al di là di ogni verosimiglianza e non riescono a sottrarsi a desideri ed indicazioni precise dei committenti; solo in alcuni casi, come ad esempio nei tituli composti per la morte di bambini e fanciulli, il F. raggiunse alti livelli di intensità e di commozione.
Dopo un anno di insegnamento come maestro di retorica nel ginnasio pubblico di Castel Bolognese (1820-21), il F. si trasferì a Bologna per gli studi universitari, insegnando contemporaneamente nel locale liceo privato di F. Ciccotti. Coi professori dell'università, F. Schiassi, G. G. Mezzofanti, G. B. Grilli-Rossi, instaurò presto relazioni di familiarità e di affetto, ma il rapporto più importante sul piano culturale ed umano fu quello con lo Schiassi. Questi stava lavorando da vario tempo alla monumentale edizione del Lexicon epigraphicum Morcellianum (comparsa poi a Bologna, in tre volumi, dal 1835 al 1838 e seguita nel 1843 da un Lexicon vocibus Italicis digestum); chiamò a collaborarvi il F. col fratello Luigi Crisostomo e, dati i tempi lunghi richiesti dalla pubblicazione, suggerì al F. di dare alle stampe un volume di Excerpta e Lexico epigraphico Morcelliano (Bologna 1830), una sorta insomma di prontuario apprestato per chi volesse scrivere iscrizioni in latino.
Svanita la possibilità di un suo collocamento nella nuova università di Fermo (che fu istituita solo sulla carta, ma non divenne operativa), il F. insegnò umane lettere dal 1824 al 1826 nel seminario di Macerata. La morte di V. M. Strambi, vescovo di Macerata e benefattore del seminario, nonché confessore ed amico di Leone XII, gli offrì l'opportunità di scriverne epigrafi ed elogi (De vita V. M. Strambi...,Macerata 1824); i testi piacquero al papa, che invitò il F. a Roma, lo volle conoscere di persona e lasciò balenare la possibilità di nominarlo suo segretario personale per le lettere latine. Il progetto non ebbe però seguito.
Durante il soggiorno a Macerata il F. conobbe Caterina Franceschi, classicista e scrittrice di due anni più giovane di lui. I due si sposarono il 26 sett. 1827, ebbero due figli (Antonio nel 1829, Rosa nel 1835) e furono una coppia molto unita, pur nella diversità dei rispettivi interessi.
Nel 1826 il F. si stabilì a Bologna come aggiunto alla Biblioteca universitaria e, dal 1827, anche come "professore sostituto con futura successione alla cattedra di arte oratoria e poetica latina e italiana", presso l'università. Protetto da Schiassi e Mezzofanti, benvoluto dall'autorità pontificia, ben accolto tra classicisti e puristi, sembrava destinato ad una carriera accademica automatica e tranquilla, ma tutto cambiò bruscamente con i "moti" del 1831. La partecipazione del F. ai moti stessi si limitò alla composizione di cinque epigrafi latine diffuse su fogli volanti nel febbraio 1831, in occasione dell'arrivo a Bologna dei delegati delle province insorte all'Assemblea dei notabili: generici quanto mai il tono e gli argomenti trattati, salvo un accenno esplicito all'"acerbissima tirannide eversa". Ma tanto bastò perché nell'aprile, quando le autorità pontificie rientrarono in Bologna, il F. fosse allontanato dall'insegnamento pubblico e privato, con la sospensione dello stipendio. Solo dopo una umiliante ritrattazione e grazie ai buoni uffici del Mezzofanti e del cardinale C. Oppizzoni poté essere riammesso all'università, ma l'episodio non fu dimenticato e quando, di lì a poco, lo Schiassi patrocinò la promozione dell'ex allievo alla cattedra di archeologia la proposta venne respinta.
Il F. dovette cercare altrove una sistemazione e fu infine chiamato nel 1836 alla cattedra di letteratura latina all'Accademia di Ginevra, grazie all'interessamento del conte di Cavour e del latinista C. Boucheron.
Nella città calvinista i cattolicissimi Ferrucci si inserirono senza difficoltà, allargarono il raggio delle loro relazioni culturali e mondane e la loro casa divenne quasi una meta obbligata per gli italiani colti (esuli e non) che si trovassero in quegli anni a passare per la Svizzera. Il F. fu tra i promotori della locale Accademia di storia e archeologia, nei cui Mémoires et documents pubblicò nel 1842 un lavoro interpretativo su antiche epigrafi scoperte a Passy.
Ma il desiderio di ritornare in Italia era molto forte. Falliti alcuni tentativi per un dignitoso rientro nello Stato pontificio, il F. riuscì infine ad ottenere presso l'università di Pisa la cattedra di storia ed archeologia che già era stata dell'insigne egittologo I. Rosellini (21 ott. 1843); due anni dopo passava alla cattedra di lettere greche e latine, mantenendo tuttavia il primitivo insegnamento, in qualità di supplente.
Con l'avvento al soglio pontificio di Pio IX anche il F. fu partecipe delle speranze dei neoguelfi: il 16 giugno 1847 diffondeva su foglio volante una iscrizione latina in onore del papa e nel settembre era presente a manifestazioni filopapali organizzate a Livorno da G. Montanelli; nell'aprile dell'anno successivo si arruolava come volontario, assieme al figlio Antonio, nel battaglione degli universitari toscani e combatteva il 29 maggio a Curtatone col grado di capitano, guadagnandosi una medaglia d'oro al valore. Tuttavia, con la restaurazione granducale, il F. rientrava rapidamente nei ranghi; nel clima opprimente del dopo 1848, quando nell'università pisana furono drasticamente ridotte le cattedre ed allontanati i professori di idee liberali e democratiche, fu tra i pochi che rimasero al loro posto, ed anzi assunse quasi per un decennio anche l'insegnamento di letteratura italiana e la direzione della Biblioteca universitaria.
Il F., che aveva aperto l'anno accademico 1848-49 con un commovente ricordo del collega L. Pilla, morto combattendo a Curtatone, si prestava poi ad aprire l'anno accademico 1850-51 (in una città ancora occupata dalle truppe austriache) con una prolusione alquanto inconcludente su De more maiorum in puerili institutione revocando, deplorando i "funestis horum annorum casibus".
Sarebbe tuttavia ingeneroso giudicare il F. un puro opportunista; con le sue incoerenze ed incertezze ci appare piuttosto come un uomo d'altri tempi, assimilabile magari a quella generazione di classicisti che senza troppe lacerazioni aveva encomiato Pio VI, poi gli alberi della libertà e Napoleone e poi ancora Pio VII. Al pari dell'ammiratissimo Morcelli, anche il F. riteneva "l'epigrafista latino altro non essere, che un semplice interprete delle idee altrui, allorquando le epigrafi siano comandate da chi ha in mano il potere di nuocere, o da tale, a cui non si possano per altri motivi negare". D'altra parte egli fu anche capace di gesti generosi e di singolari aperture: si pensi al suo appello per la fratellanza e la libertà dei popoli europei, che nel maggio 1848 fece diffondere nel campo austriaco, sotto Mantova, in lingua latina e ungherese; si pensi alla bellissima iscrizione in distici che compose per il monumento dell'eroe germanico Arminio, inaugurato presso Detmold nel 1875.
Non è vero, come scrissero i contemporanei e come ripeterono poi per comoda pigrizia i nostri nazionalisti, che quell'epigrafe fosse stata composta dopo il 1870, dietro un congruo premio in danaro, per encomiare una Prussia all'apice della sua espansione: i distici, scritti a Ginevra nel lontano 1840, su preghiera di un allievo del F., il principe Leopoldo di Lippe Detinold, erano invece un omaggio a una nazione in cerca della propria identità culturale e politica ed è notevole che potesse scriverli un uomo tutto ingenuamente pervaso del mito di Roma e della latinità.
Durante il lungo soggiorno pisano il F. collaborò con V. De Vit al rifacimento del Totius Latinitatis lexicon di E. Forcellini (Prato 1858-1875) e continuò con la sua consueta produzione. Unica pubblicazione degna di nota è la ristampa di alcune epigrafi composte da Schiassi e Morcelli in lode di Napoleone I (S. A. Morcelli et Ph. Schiassii De Napoleone Magno Aug. ... Inscriptiones, Parigi 1858); precedono i testi una dedica altisonante del F. (datata 5 maggio 1858) a Napoleone III e un caldo elogio dei tempi del Regno Italico. Non si trattava in questo caso dell'ennesimo omaggio del F. ai due maestri amatissimi (che del resto quelle iscrizioni si erano affrettati a rinnegare, proprio alla caduta del Regno Italico), ma di una iniziativa squisitamente politica, messa in atto con buona tempestività qualche mese prima del convegno di Plombières.
Con il riordino dell'università di Pisa, all'indomani dell'insediamento del governo provvisorio toscano (1859), la presenza accademica del F. fu bruscamente ridimensionata e limitata al solo insegnamento di letteratura latina e alla direzione della Biblioteca universitaria; nello stesso tempo si assegnavano le cattedre a uomini nuovi come A. D'Ancona, D. Comparetti, P. Villari, E. Teza. Non pare che il F , avvertisse il disagio di trovarsi a confronto con l'esigente filologia comparettiana o con la competenza linguistico-filologica di un Teza, perché appunto continuò ad insegnare fino agli ultimi giorni della sua vita. La bontà del suo carattere, la sua tolleranza, il gusto per la conversazione e gli incontri fecero della sua casa pisana un piccolo salotto letterario, dove convergevano, oltre ai letterati locali, anche italiani e stranieri di passaggio per la Toscana, compresi uomini ben diversi dal padrone di casa per convinzioni culturali e metodi di lavoro; di qui anche brevi scambi epistolari con A. Manzoni, T. Mommsen, A. Vannucci. Ma tra gli studiosi, molti e bravissimi, che uscirono in quegli anni dall'università di Pisa, nessuno riconobbe al F. qualità di maestro.
Il F. morì a Pisa il 27 dic. 1881. Alcuni anni prima aveva donato il suo carteggio alla Biblioteca universitaria di Pisa, dove fu poi depositata, per desiderio degli eredi, anche la sua biblioteca di oltre cinquemila volumi.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Carteggio Ferrucci, con lettere di e a vari membri della famiglia Ferrucci (non ordinato); Ibid., Bibl. naz., Carteggio De Gubernatis, 53,18; Carteggio Le Monier, 4, 42-44; Carteggio Vannucci, V, 112; Carteggio Vieusseux, 35, 187-191;Pisa, Bibl. d. Scuola normale superiore, Carteggio D'Ovidio, b. 147;Ibid., Biblioteca univ., Mss. 673-679(lettere di corrispondenti vari al F. e alla moglie), 1087-1090(carte del F.); A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemp.,Firenze 1879, pp. 443 s.; necrol., in Corriere della sera, 29-30 dic. 1881, e l'Illustrazione italiana, genn. 1882, p. 16; F. Ranalli, Parole dette sul feretro del prof. M. F. il dì 28 dic. 1881, Pisa 1881, e anche in Opuscoli religiosj, letterarj e morali, s. 4, XI (1882), pp. 117-121; C. P. Paganini, M. F., in Annuario scolastico dell'Univers. degli studi di Pisa, 1882-1883,pp. 91-100(con sommaria bibl. degli scritti, pp. 100-104); Lettere inedite pressoché tutte di ... M. F. ..., a cura di S. Grosso, Novara 1897, pp. 9 s., 21 ss., 30 s.;R. Fornaciari, Un uomo d'antica probità. Epistolario di L. Fornaciari scelto e annotato nel centenario della sua nascita, Firenze 1899, pp. 260 s.; A. D'Ancona, Carteggio di M. Amari raccolto e postillato, III,Torino 1907, p. 45; C. di Cavour, Epistolario, I, Bologna 1962, pp. 235 s., 255 ss., 263, 266-268, 281; A. Manzoni, Poesie e tragedie, a cura di A. Chiari, Milano 1969, pp. 261, 921 s.; Id., Tutte le lettere, a cura di C. Arieti-D. Isella, Milano 1986, III,pp. 120, 204, 218, 285, 634, 736, 920 ss.; U.De Maria, Letterati, scienziati, artisti e patrioti di Romagna, in La Romagna, IV(1907), pp. 229 s.;F. Romani, Imiei ricordi di Pisa, in La Lettura, VIII (1908), pp. 115-119; G. Guidetti, Epistolario di Caterina Franceschi Ferrucci, Reggio Emilia 1910, passim; G. Chiari Allegretti, Esulidel 1831 a Ginevra. M. e Caterina Ferrucci, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, XVII (1926-27), pp. 163-195; G. F. Cortini, M. F. e Alfredo Oriani, in La Romagna, n.s., I (1927), pp. 236 ss.; G. Chiari Allegretti, L'educazione nazionale nella vita e negli scritti di Caterina Franceschi Ferrucci, con docum. ined., Firenze 1932, passim; C. Frati, Diz. bio-bibliogr. dei bibliotecari e biblioffli italiani, a cura di A. Sorbelli, Firenze 1933, pp. 224 s.; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, I, pp. 383, 451, 1324; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari 1939, V, pp. 236 ss.; E. Michel, Maestri e scolari dell'Univ. di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), Firenze 1949, passim; R.Comandini, Il noviziato letterario del lughese M. F., in Studi romagnoli, XXI(1970), pp. 221-229.