FERNO, Michele
Nacque da Innocenzo intorno al 1465. La forma più corretta del suo cognome è probabilmente "da (de) Ferno", come risulta, nel Vat. lat. 3966, f. 59v, della Bibl. ap. Vaticana, dalla sua firma sulla ricevuta di un codice vaticano della storia di Braccio da Montone scritta da G. A. Campano. Ferno d'altronde, è una località del Varesotto, nei pressi di Gallarate.
L'Argelati scrive della precocità della sua erudizione, che si sarebbe espressa nella pubblicazione di alcune opere prima dell'età di vent'anni, senza peraltro indicare di quali opere si tratti. Mancano notizie sull'adolescenza del F.: le prime indicazioni, generalizzate nella bibliografia che lo riguarda, lo identificano come canonico a Milano prima di giungere a Roma e accostarsi alla cerchia di Pomponio Leto. Nel 1486 s'incontra il suo nome nel registro della matricola dei notai di Milano. Si può però ipotizzare una sua venuta a Roma già prima di quella data, basandosi su un suo manoscritto autografo che si trova nella Biblioteca universitaria di Genova, Misc. XVIII E.III.1, De morte Sixti IV et conclave Innocentii VIII, e che attesta la sua presenza a Roma almeno durante quegli avvenimenti (1484).
A Roma esercitò per parecchi anni la professione d'avvocato; accanto ad essa, però, manifestava e cercava di coltivare un ardente interesse per le lettere. Il Mercati ricorda una sua lettera a G. Merula del 1493 a proposito della scoperta da parte di quest'ultimo, o meglio del suo amanuense Giorgio Galbiati, dei resti dell'antica biblioteca di Bobbio; in tale lettera il F. descrive l'effetto che ebbe la notizia a Roma presso la cerchia di Pomponio Leto, alla quale già si era accostato, e come tutti si rivolgessero a lui, che giungeva proprio allora da un viaggio a Milano, per avere notizie. Sempre nel 1493 fu stampata la descrizione del F., che a quel tempo era "causarum procurator", del conclave nel corso del quale nell'agosto del 1492 fu eletto Alessandro VI, e di cui il F. fu testimone oculare (Conclave Alexandri VI pontificis maximi, che si conserva anche in forma manoscritta alla Bibl. ap. Vaticana nel Vat. lat. 8656, ff. 1-15, nel Barb. lat. 2639 e nell'Urb. lat. 844, ff. II-24v). Sempre nel 1493 Giovanni Morro Tifernate pubblicò De legationibus Italicis, Romae, apud Eucharium Argenteum, opuscolo assai raro, nel quale è inserita una lettera dello stesso Morro al F., che indica come autore Iacopo Antiquari; quest'ultimo si era rivolto al F. per saperne di più sull'argomento, e il milanese si era messo a sua completa disposizione. I due rimasero poi sempre in stretto contatto epistolare, e dato che l'Antiquari viveva a Milano ed il F. sembra aver fatto spesso la spola tra Milano e Roma, piuttosto che risiedere in una delle due città, ebbero probabilmente molte occasioni d'incontro.
Nel 1494 il F. era a Roma, dove l'attendeva Pomponio Leto. Si suppone, ma non è dato sapere con sicurezza, che fosse membro dell'Accademia del Leto: il Vermiglioli (Memorie..., p. 89) lo dà per certo. Il F. venerava il Leto come.suo maestro, manifestandogli nelle circostanze più varie la prova della sua profonda ammirazione. L'attività letteraria del F. si esplicava anche nella ricerca di manoscritti interessanti: tra questi, giunse in possesso di una copia dell'opuscolo di Felino Sandeo Epitome de Regno Apuliae et Siciliae, che talmente lo colpì, data anche la coincidenza della contemporanea conquista del Regno di Napoli da parte di Carlo VIII, che si affrettò a pubblicarlo con una lettera a Pomponio Leto dalla quale si deduce che l'arrivo dei Francesi in Italia l'aveva disturbato non poco nei suoi studi. Dalla data della lettera, "Idis aprilis 1495", si conosce anche la datazione di questo rarissimo opuscolo, descritto soltanto da G. B. Audiffredi nel Catalogus historico-criticus Romanarum editionum saeculi XV, Romae 1783, p. 332. L'opuscolo è segnalato alla Bibl. capitolare di Lucca, 516, e contiene anche un poema del F. in onore di Felino Sandeo.
L'Argelati accenna alla stima che aveva del F. Alessandro VI. In realtà, come riporta il Pastor sulla base del Burcardo, quando il F. fu chiamato, il 27 dic. 1494, festa di s. Giovanni Evangelista, a rivolgere un indirizzo al pontefice nella cappella pontificia, ne tracciò un elogio talmente eccessivo da mettere a disagio il papa; sorte non migliore avrebbe avuto un discorso posteriore, sempre secondo il Burcardo.
Nel 1495 il F. curò la prima edizione delle opere di Giannantonio Campano, Campani Opera omnia, Romae, per Eucharium Silber, 1495.
L'incunabolo, di oltre 300 carte, è manifesta espressione di un grande sforzo editoriale da parte del F., che raccolse con gran fatica e spesa, a quanto egli stesso afferma, tutto ciò che era possibile reperire delle opere del Campano, ivi incluse 355 sue lettere. In una lettera di Iacopo Antiquari al F. posta all'inizio dell'incunabolo, emergono le lamentele dell'erudito nei confronti di Iacopo da Volterra, che teneva presso di sé e non metteva a disposizione degli studiosi alcune opere del Campano, né, aggiunse l'Antiquari, ne preparava l'edizione. Il Vermiglioli (Memorie..., p. 87) fa risalire a lacopo Antiquari, che del Campano era stato discepolo ed amico, l'idea ed il progetto dell'edizione, e ciò viene confermato dal F. nella lettera successiva, diretta appunto all'Antiquari; segue quindi l'indice dell'opera, una prefazione del F., una vita del Campano scritta dal F. medesimo, priva però dell'indicazione delle fonti, che il F. dichiara semplicemente di aver ricercato nei luoghi dove il Campano aveva dimorato più a lungo. Prima dei testo ancora una lettera del F. al card. Giovanni Antonio di San Giorgio, vescovo di Alessandria. Il F. antepose anche alle altre parti dell'opera lettere sue a cardinali e personaggi illustri. Chiude il testo la narrazione delle gesta di Braccio da Montone, al termine delle quali si trova inserita una lettera del F. al Leto, nella quale definisce quest'ultimo imperatore e dittatore perpetuo della Repubblica delle lettere, assistito da Tommaso Fedra Inghirami, e nomina vari eruditi suoi collaboratori, tra i quali Sulpizio Verulano, Antomo Volsco e Pietro Marso.
Del Silber, lo stampatore del volume, il F. era correttore di bozze, non si sa se solo per quest'opera o anche per altre. L'edizione delle opere di Campano ebbe una ristampa per i tipi di Aldo Manuzio, Venezia 1502.
In una lettera del 3 maggio 1499 a Raffaele Maffei, contenuta nel codice 555 della Biblioteca capitolare di Lucca, il F. si sofferma sulla "Meta Romuli": era questo un monumento, ormai non più esistente, che si trovava in Roma alla confluenza tra l'antica via Cornelia e la via Trionfale, nell'attuale quartiere di Borgo, presso il luogo dove è ora situata la chiesa di S. Maria in Traspontina. Era credenza popolare che tale monumento, una piramide che si presentava già assai rovinata ai tempi del F., fosse il monumento sepolcrale di Romolo. Il F. scrisse la lettera nel periodo stesso nel quale Alessandro VI, avendo necessità in vista del giubileo del 1500 di una migliore viabilità in Borgo, ne aveva comandato la demolizione, e questa era appena iniziata. Il F. narra che la solidità del monumento aveva creato non pochi problemi all'esecuzione dei voleri del papa e si duole della sua distruzione, come se ne dolse Raffaello in una lettera (a lui attribuita) a Leone X, ponendolo al primo posto tra i monumenti distrutti in quella occasione a Roma. Altro motivo d'interesse della lettera è nella dichiarazione del F. di aver visto monumenti simili alla "Meta" in Campania e l'attestazione quindi che egli si era recato precedentemente in viaggio in quella regione.
Il F. lasciò Roma probabilmente dopo la morte di Pomponio Leto. Compose, in quell'occasione, la vita o elogio di Pomponio Leto, inserito da G. D. Mansi negli Addenda alla sua edizione della Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis di J. A. Fabricius, a cura di G. C. Galletto, III, Firenze 1858, pp. 629-632.
Si tratta di una lettera scritta a Iacopo Antiquari pochi giorni dopo l'avvenimento, dalla quale emerge la grande impressione che aveva prodotto a Roma la morte dell'erudito. Il ms. 555 della Bibl. capitolare di Lucca riporta il suddetto testo del F., intitolato Narratio de obitu Pomponii Laeti cum inscriptione graeca et latina Hieronymi Donati et Gasparini Lancii, scripta a Ferno et Iacobo Antiquario dicata.
Nel 1500 il F. era semplice prete di una chiesa di Monza. Più avanti ebbe un canonicato della cattedrale di Scala, nel Regno di Napoli.
Del 1501 è la stampa di una sua lettera a Nicola Lippomano a proposito di un'orazione scritta da M. Antonio Ticinese, cui segue l'orazione medesima (Oratio ad Alexandrum VI in Adventus Dominica II anno 1500). Siperdono poi le sue tracce e l'ultima notizia che lo riguarda viene dall'Argelati, che afferma che il F. morì, forse in maniera violenta, nel 1513.
L'Argelati cita alcune opere del F. rimaste manoscritte, appoggiandosi sulla testimonianza di autori contemporanei che ne avevano accennato: Universae Curiae compendium; Cento facetie, citata da Giovanni Morro; De vita virorum doctrina illustrium Liber, citata da Antonio Reisserio.
Fonti e Bibl.: Nell'Archivio di Stato di Milano, Autografi, sez. Letterati, vi è materiale del F.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, 2, col. 596; II, 2, p. 1988; G. B. Vermiglioli, Memorie di Iacopo Antiquari, Perugia 1813, pp. 85-90; D. M. Manni, Sui correttori di stampe, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, XI (1900), p. 110; V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto, II, Grottaferrata 1910, p. 111; P. de Roo, Material for a history of pope Alexander VI, his relatives and his time, V, Bruges 1924, pp. 316 s.; G. Mercati, M. Tullii Ciceronis De re publica libri e cod. rescripto Vat. lat. 5757 phototypice expressi: Prolegomena, Roma 1934, p. 77; B. M. Peebles, La "meta Romuli" e una lettera di M. F., in Rend. della Pont. Accad. rom. di archeol., XII (1936), pp. 21-63; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1959, p. 608; P. Cecchini, Per un'edizione critica dei "carmina" di Giannantonio Campano, in Riv. di studi marchigiani, IV (1981), p. 53; M. Dykmans, L'humanisme de Pierre Marso, Cittàdel Vaticano 1988, pp. 32, 79.