MICHELE di Lando
MICHELE di Lando. – Nacque da Lando e da Simona probabilmente tra il quarto e il quinto decennio del Trecento. Il luogo di nascita non è certo; stando ad alcuni prioristi fiorentini sarebbe nativo di Prato e apparterrebbe al casato dei Coni, ma l’ipotesi appare oggi tutt’altro che fondata; Oshino ha recentemente avanzato la supposizione che M. possa essere lucchese, il che troverebbe conferma nella circostanza che, come vedremo più avanti, è proprio a Lucca che ebbe accoglienza dopo i burrascosi trascorsi fiorentini degli anni Settanta.
L’episodio più celebre della sua vita fu infatti quello che lo avrebbe visto protagonista di primo piano nel tumulto dei ciompi, come erano chiamati i lavoratori salariati dell’arte della lana; scoppiata a Firenze tra giugno e agosto 1378, la sommossa rivendicava il diritto di libera associazione e rappresentanza politica, e quindi la costituzione di una corporazione autonoma che tutelasse gli interessi dei ciompi.
Non si ha notizia del mestiere da M. praticato in età giovanile, mentre sappiamo che la vedova era «treccona», ossia rivenditrice di ortaggi, nel «popolo» di S. Simone; in quello stesso distretto, nel «gonfalone» del Bue nero, stando alle ricerche documentarie compiute alla fine dell’Ottocento da Corazzini, risiedeva M. fin dalla sua giovinezza. La notizia riportata da alcune fonti che avesse esercitato assai presto il mestiere delle armi in Lombardia appare difficilmente credibile; fu certamente balestriere fin dal luglio 1362, poi promosso a conestabile e capo di un manipolo di militari nel maggio dell’anno seguente, arruolato nel popolo di S. Simone al soldo del Comune nella guerra che Firenze combatté contro Pisa tra 1362 e 1364; la sua condotta, attestata dai quaderni dei camarlinghi della Camera comunale, terminò il 25 ottobre.
Tra la fine del 1364 e l’inizio dell’anno seguente, secondo la testimonianza di Marchionne di Coppo Stefani, intraprese la carriera di lavoratore dell’arte della lana, come pettinatore al servizio di Alessandro di Niccolaio degli Albizzi. Non rimangono attestazioni del suo operato sino alla vigilia del tumulto del ciompi; tuttavia alcuni documenti del tribunale della Mercanzia risalenti all’estate 1366 sono con forte probabilità da riferire proprio alla sua persona. Il 7 luglio un tale Bindinello di Francesco del Ferraio, in rappresentanza di Michele di Lando del Volpe, dichiarava infatti che nel febbraio precedente Alessandro di Niccolaio, cittadino e mercante fiorentino – con tutta probabilità l’Albizzi sopracitato –, aveva denunciato alla Mercanzia tale Michele, reo di non avergli restituito la considerevole somma di 300 fiorini; il rappresentante di quest’ultimo, che in conseguenza della denuncia era stato arrestato e detenuto, chiedeva dunque che Alessandro presentasse le prove del prestito, che a suo dire erano inesistenti; ricevuta tuttavia Alessandro l’ingiunzione di presentarsi, questi mancò di farlo. Di lì a poco, l’8 luglio, di fronte allo stesso tribunale, Bindinello contestava ancora a nome di Michele la veridicità di una mancata restituzione da parte di quest’ultimo di ben 1720 fiorini ad altri prestatori, stavolta non fiorentini; anche costoro, comunque, ricevuto sollecito di presentarsi per produrre le prove del prestito, disattesero l’ingiunzione. In quell’occasione compare nei registri della Mercanzia l’indicazione dell’origine lucchese tanto di Bindinello che di Michele. Il 17 luglio, poi, i magistrati del tribunale della Mercanzia emisero la sentenza che scagionava Michele dall’accusa, liberandolo dalla detenzione alle Stinche che perdurava dal febbraio precedente. È assai verosimile che il Michele dei documenti del 1366 e M. siano la stessa persona; ne conseguirebbe, tra l’altro, l’opportunità di ascriverlo, già nel corso degli anni Sessanta, al ruolo della «piccola borghesia», data la sua disponibilità a trattare il prestito di somme consistenti. Il nome di M. compare comunque nella cronistica solo all’immediata vigilia del tumulto, mentre non si ha alcuna notizia di una sua partecipazione alle convulse vicende del giugno 1378 che a quell’agitazione prelusero.
Il cronista Marchionne di Coppo Stefani, introducendo la figura di M. alla data del 22 luglio 1378, ne tracciava rapidamente un ritratto: «scardassiere, ovvero pettinatore, come che la madre vendesse stoviglie, il quale era per adrieto pettinatore di lana, come che allora fosse sopra i pettinatori e scardasserii d’Alessandro di Niccolaio a salario, e la madre e moglie facevano bottega di trecca e di stoviglie di terra» (Cronaca fiorentina, p. 325). Solo alla fine di luglio egli risulta tra i prescelti dai ciompi riuniti con i sindaci delle arti in S. Lorenzo per concordare i capitoli della petizione da presentare alla Signoria (20 luglio 1378). Nonostante il successo dell’iniziativa, il 22 luglio successivo, come riferisce il resoconto noto come Cronaca dello Squittinatore (Cronaca prima d’anonimo, in Il tumulto dei ciompi, p. 75), i rivoltosi, capeggiati da Betto di Ciardo, mossero alla volta del palazzo chiedendo la destituzione dei signori. Fu allora che M., giunto disarmato sulla piazza, si vide consegnare il gonfalone strappato alle mani di Betto; di lì a poco, usciti i signori, il palazzo fu invaso dalla folla che lo elesse a gonfaloniere e signore. «Chi voleva niuna cosa di Comune – racconta ancora lo Squittinatore – cittadino povero o ricco, sì andava al Signore e gonfaloniere di giustizia; e’ bandi che andavano per la terra, andavano per la sua parte. Fu Signore il detto Michele dì dua e una terzata, sanza altra compagnia» (ibid.): la durata del mandato ammontò in tutto a due soli giorni; nel tanto breve volgere del suo incarico M. si affrettò a emanare alcuni provvedimenti che avevano verosimilmente lo scopo di arginare i disordini.
Il 24 luglio nel pubblico parlamento del Popolo ricevette conferma del gonfalonierato per tutto il mese di agosto; forte di quel potere, fu egli stesso a scegliere i nomi dei priori, di cui presentò una lista scritta: «la mattina venendo a chiamare uomini dovessero acconciare le cose, e a quella ora si voleva uomini buoni e di buono consiglio; alla fine il gonfaloniere della giustizia recò una scritta dov’erano su iscritti, e disse: ecco: quei vogliono e caroll’è e piace, metta la fava nera, e chi no, metta la bianca» (Cronaca seconda d’anonimo, nota come Diario Compagnano, ibid., p. 114); cinque tra i nomi proposti provenivano dalle file del popolo minuto. La Balia eletta nel medesimo parlamento gli decretò il 3 agosto un donativo composto di armi, vessilli e altri riconoscimenti al suo prestigio (si era per esempio ordinato che a ciascuno dei priori si aggiungesse un cittadino guelfo e popolare per intervenire allo squittino, ma a M. ne furono concessi due).
Durante il suo gonfalonierato furono presi alcuni provvedimenti indirizzati a favorire gli interessi del popolo minuto, tra cui uno sgravio fiscale e la creazione di nuove arti dei minuti (l’Agnolo, i Cardatori e i Farsettai); il governo intervenne inoltre in materia di bandi e ammonizioni, per ovviare alle richieste di chi vedeva la possibilità di avvantaggiarsi della situazione contingente per recuperare il prestigio e i beni perduti.
Chiamato a fronteggiare personalmente le istanze pressanti della folla che rumoreggiava, «da mezza terza - venne fuori il gonfaloniere della giustizia e disse, presente que’ v’erano, ciascuno si partisse; e ch’avevano mandato per i libri della Parte, e recherebboseli innanzi co’ le petizioni, e farebbono ciascuno sarebbe contento» (ibid., p. 115). Sul finire di agosto si diffuse la notizia che i sindaci delle arti e i signori intendevano unirsi in consorteria, dotandosi di salario e del diritto di portare armi; M. aveva preteso e ottenuto l’assegnazione della podesteria di Barberino, oltre a ulteriori donativi. I minuti tornarono in piazza, radunandosi prima a S. Marco, poi a S. Maria Novella, dove elessero una Balia di otto rappresentanti, noti come Otto di S. Maria Novella.
Risale a questo periodo un fatto di sangue cui le cronache danno grande risalto: il 31 agosto due delegati dei minuti in rappresentanza degli Otto di S. Maria Novella avevano forzato i signori e i collegi a giurare che le loro petizioni sarebbero state accolte; M. si rese allora protagonista di uno scontro violento con i due che, fuggendo, «uno percosse uno vecchio […] e subitò morì, il vecchio» (ibid., p. 121).
A questo fatto seguì l’immediata reazione decisa del governo contro i minuti, capeggiata dallo stesso M., che non tardò a incrementare su di sé sospetti di tradimento già circolanti ma fattisi in breve tempo sempre più insistenti. La vicenda dei ciompi andava intanto incontro al suo epilogo: la mattina del 1° settembre prese posto a palazzo la nuova Signoria. Il passaggio di consegna del gonfalone, risalente al giorno precedente, non era avvenuto davanti al popolo, ma di fronte ai signori stessi. M., accompagnato alla sua abitazione da un seguito di folla, poté assistere in questo modo alla caduta e al massacro degli antichi compagni, consumato lo stesso giorno nella piazza della Signoria. Il giorno seguente M. ricevette dai nuovi reggitori cittadini un nuovo ricco donativo di «una coppa d’ariento dorata entrovi fiorini cento, et due targhe et due lancie, uno cavallo, una armadura da cavallo tutta senza nulla manco» (Copia d’una lettera mandò nanni Bonifazii a uno suo amico, in Il tumulto dei ciompi, p. 152).
Dopo la fine del tumulto, egli fu fatto bersaglio di nuove accuse da parte di ciompi e popolani, i quali, secondo il resoconto dei testimoni, mormoravano che avesse perseguito interessi personali. Accuse di collusione con gli interessi degli Otto della balia della guerra e del popolo grasso muove anche lo Squittinatore che tuttavia, avverte Corazzini, si dimostra sempre partigiano dei ciompi. Mossagli comunque dopo il tumulto accusa di baratteria, fu prosciolto il 25 settembre con sentenza dell’esecutore; il 1° settembre, inoltre, egli, insieme con Baldo di Lapo, Ciardo di Berto e Lorenzo di Puccio Cambini, non era compreso nella lista dei rivoltosi esclusi dagli uffici.
Nel periodo immediatamente successivo ai fatti dell’estate 1378, M. rimase verosimilmente in Firenze, passato però all’arte degli stovigliai già fin dal tempo del gonfalonierato. Il cambiamento di matricola ha suscitato perplessità presso l’erudizione fiorentina, che lo ha motivato per lo più con la circostanza che M. lo avesse fatto prevedendo la soppressione di quell’arte, indotto quindi da un mero calcolo politico. Nel gennaio 1379 M. presentò ai Signori una petizione perché gli fosse concessa una guardia di due fanti, segno del suo timore di possibili ritorsioni conseguenti alla condotta tenuta nella repressione dei ciompi. Nel dicembre dello stesso anno Tommaso Strozzi e Giovanni Dini segnalavano ai priori un trattato per sventare il quale furono convocati gli Otto di guardia e balia per la città e per il contado, tra i quali compare il nome di Michele. Il 21 nov. 1379 ebbe l’incarico di podestà di Val di Greve, cui dovette però rinunciare data l’appartenenza a un’arte che a quella carica non aveva accesso; nuovamente estratto il 7 dicembre a capitano di Pietrabuona e il 27 febbr. 1380 a vicario di Cennina, rinunciò agli uffici; a quell’epoca il suo nome era rubricato non più tra gli stovigliai, ma tra gli oliandoli, artigiani di maggior prestigio benché annoverati in seno alla medesima arte.
A partire dal gennaio 1379 M. compare in alcune occasioni come consigliere, a riferire pro proposito et capitudinibus. La sua fortuna politica declinò tuttavia nel corso dei primi mesi del 1381. Nel gennaio di quell’anno, infatti, la Balia nominata allo scopo di riformare lo Stato riconducendolo al reggimento che lo aveva governato fino alla vigilia del tumulto bandì e confinò molti cittadini, alla lista dei quali M. non fu ascritto; nel successivo parlamento del 10 marzo, tuttavia, fu imposto al capitano di custodia un nuovo intervento, che si tradusse nel bando in cui stavolta egli fu compreso e confinato a Chioggia per tre anni. Narra Marchionne che il provvedimento, suscitando il biasimo generale, fu nel giro di pochi giorni riveduto: il confino di M. fu trasferito a Padova e ridotto a due anni; gli sarebbe stato inoltre consentito, come agli altri banditi, di recarsi in luogo differente da quello ordinato, purché distante da Firenze almeno 200 miglia. Egli si trasferì allora a Lucca, dove nel marzo 1382 vide accolta dagli Anziani una petizione in cui chiedeva la cittadinanza. Se l’ipotesi di Oshino, come pare assai probabile, è fondata, la scelta di quella destinazione per M. sarebbe stata dettata dall’ovvia ragione del ritorno alla città di origine.
Ebbe luogo a partire dalla primavera 1382 un fitto carteggio in cui i Priori fiorentini, unitamente ai governi bolognese, senese e pisano, cercarono di ottenere dai Lucchesi l’allontanamento di quei banditi ritenuti insidiosi; per tutta risposta gli Anziani concessero a M. il 2 aprile licenza di portare armi in Lucca e nel distretto. Le preoccupazioni del governo fiorentino e le lagnanze presso gli Anziani di Lucca avevano un concreto fondamento: il 31 luglio 1383, approfittando dell’assenza dalla città di molti cittadini potenti, fuggiti per la peste, Firenze fu teatro di una sommossa dei minuti, promossa da fuorusciti che, capeggiati da M., penetrarono nel contado dove subirono alla Cerbaia, nel territorio di Fucecchio, una rotta a opera delle forze comunali.
Trascorso un breve periodo ad Avignone, troviamo ancora M. a Lucca da dove, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 1384 gli Anziani cercavano di tacitare le rimostranze del governo fiorentino per il perdurare dell’ospitalità concessa ai nemici di Firenze; fra i tre fuorusciti non meglio identificati che i magistrati lucchesi dicevano ancora presenti sul proprio territorio è certo vi fosse pure M., che però di lì a poco dovette abbandonare Lucca.
Nulla di sicuro è dato di sapere delle sue vicissitudini successive alla primavera 1384. Non conosciamo il luogo e la data della sua morte.
Al di là della consistenza storica della sua figura, M., il «Farinata plebeo» (Corazzini, p. LXXXVI), riveste un valore simbolico nella storia dell’erudizione e della storiografia fiorentina: con G. Cavalcanti comincia infatti il motivo, che avrà lunga vita, dell’esaltazione di M., talora sfociante, come nel caso del saggio di Corazzini, in una vera e propria infatuazione; così come accaduto a lungo per la lettura dell’intera vicenda del tumulto, M. finisce per essere oggetto di sovrainterpretazione, che ne fa ora un coraggioso eroe a difesa degli interessi della classe operaia, ora invece, all’opposto, l’artefice di occulte collusioni con gli interessi dell’aristocrazia, ora addirittura il promotore di una politica dissennata che avrebbe aperto la via alla signoria medicea.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II, 122 (sec. XVIII, vita di M. di L.); Arch. di Stato di Lucca, Consiglio generale, 8, p. 83; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXX, 1, ad ind.; Il tumulto dei ciompi. Cronache e memorie, a cura di G. Scaramella, ibid., XVIII, 3, ad ind.; L. Bruni, Historiarum Florentini populi libri XII, a cura di E. Santini - C. Di Pierro, ibid., XIX, 3, ad ind.; Diario d’anonimo fiorentino dall’anno 1358 al 1389, a cura di A. Gherardi, Firenze 1876, ad ind.; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di G. Di Pino, Milano 1944, I, p. 148; II, p. 189; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1960, pp. 245-249, 256; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, Firenze 1824, pp. 254 s.; G. Amico, La vita di M. di L. gonfaloniere, Prato 1872; J. Zeller, Les tribunes et les revolutions en Italie: Jean de Procida, Arnaud de Brescia, Nicolas Rienzi, Michel L., Masaniello, Paris 1874, ad ind.; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, II, Firenze 1876, pp. 25-37; C. Falletti-Fossati, Il tumulto dei ciompi, Roma-Torino-Firenze 1882, pp. 219-304; G.O. Corazzini, I ciompi. Cronache e documenti, con notizie intorno alla vita di M. di L., Firenze 1887, pp. XLVII-CV; E. Werner, Die florentiner Frühkapitalismus, in Studi medievali, I (1904), 2, pp. 675, 680; G. Antonelli, La magistratura degli Otto di guardia a Firenze, in Arch. storico italiano, CXII (1954), p. 4 e n. 6; Il tumulto dei ciompi, Firenze 1981, ad ind.; H. Oshino, Nuovi documenti su M. di L., in Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del tardo Medioevo, a cura di F. Franceschi - S. Tognetti, Firenze 2001, pp. 139-146.
F. Ragone