DELLA VEDOVA, Michele
Nacque a Pola, probabilmente agli inizi del sec. XV.
Le uniche notizie che abbiamo del D. si desumono dal suo Lamento di Costantinopoli, connesso con la conquista turca della città nel 1453. Il componimento menziona "la vechiarela m ia città de Puola" (V. 393), ed è sottoscritto Michiel de Vidua Polensi[s] nel codice Ox. Canon. Ital. 263, c. 46, e indicato nel catalogo Biblioteca manoscritta di T. G. Farsetti di Iacopo Martelli (Venezia 1771-80) come "Michaelis a Vidua Polensis de excidio almae fiorentissimae et inclitae urbis Constantinopolitanae Rythmi ad Sacram Majestatem Regis Aragonum". Null'altro si conosce della vita del Della Vedova.
Il D. è stato qualche volta ritenuto, sull'autorità, peraltro fraintesa, del Quadrio, un testimone presente allo storico avvenimento. Ma nulla nel poemetto e nemmeno nella "disperata" dei primi quarantatré versi, che risultano gli unici connessi con l'eccidio, va al di là di cenni convenzionali al lago di sangue e al "danno e la vergogna, el stupro e 'l furo". Le terzine successive, divise in tre "zornate" da tre ricorrenti descrizioni dell'alba e concluse con un notturno, presentano una rievocazione, tipica del genere ma anche evidentemente esemplata sul canto di Giustiniano del Paradiso dantesco, delle glorie imperiali della città a partire da Costantino; e "la exclamatione" rivolta al papa, all'imperatore, ai re di tutta l'Europa cristiana, alle città e ai principi italiani - mediante la finzione di un viaggio compiuto dalla sventurata Costantinopoli di terra in terra - per ottenere soccorso militare. Ciò differenzia questo lamento da altri analoghi, caratteristici per precisione cronachistica e topografica, documenti immediati della diffusione delle drammatiche narrazioni dell'assedio e della caduta, come il sirventese anonimo "Questo è '1 lamento di Costantinopoli", vicinissimo nel tempo all'evento e forse di un testimone oculare, o come altri cantari e compianti a carattere narrativo editi dal Frati e più tardi dal Pertusi.
La caduta della capitale imperiale suscitò in tutta la Cristianità una violenta emozione, testimoniata da numerosi documenti letterari, popolari e dotti, e vive preoccupazioni di carattere culturale e religioso, insieme con un'indiscutibile sottovalutazione politica.
Le ripercussioni emotive furono diffuse e immediate e il Lamento del D., assegnato dall'editore L. Frati al 1453, ne può essere un esempio rappresentativo, di livello culturale mediocre. La data va tuttavia riveduta in considerazione del fatto che i vv- 449 e ss. danno come vivente Filippo Maria Visconti, morto, invece nel 1447. Il Frati ha ricostruito il testo sulla base di tre manoscritti tutti diversamente mutili e non tutti visionati e trascritti personalmente dall'editore stesso: tuttavia il nome di "Philippo Maria" e alcuni cenni presenti nella faticosa prosa della lettera dedicatoria non consentono di escludere che il testo a noi noto rappresenti un adattamento (connesso con la dedica, fatta per suggerimento di un frate Puzio ad Alfonso V d'Aragona, re di Napoli e di Sicilia e fautore di una crociata liberatrice) di un testo precedente.
Il componimento in tal modo, sebbene le sue lamentationes, strettamente canoniche, possano essere riferite dal lettore senza difficoltà alla caduta di Costantinopoli, può forse esser ricondotto all'allarme e alla facile profezia di una prossima catastrofe che si leggono anche nelle dotte epistole e orazioni diffuse prima del 1453 dall'umanista greco Giorgio da Trebisonda, ospite in quegli anni a Venezia di Francesco Barbaro. Versi d'invettiva contro i Genovesi, apostrofati come "giente insuperbite, altieri e rei", "uomeni mal nati, / Protervi nel mal far" (vv. 385 e 406 s.), non portano tracce del sospetto di tradimento nel corso dell'assedio che gravava sulla colonia genovese di Pera. Neppure la risonanza leggendaria del conquistatore Maometto II, salito al trono nel 1451, è leggibile nelle imprecazioni di tipo canterino, genericamente riferibili, attraverso precedenti danteschi, ai Turchi come popolo, come "sto lupo rapace / Teucro [sic] iniquo e barbaro crudele" o come "sta giente dispietata e fetra" (vv. 460-62 e 28).
Più puntuali i frequenti accenni all'isolamento dall'Europa cristiana in cui Costantinopoli fronteggiò l'aggressione (o la vicina minaccia) turca, gli aiuti negati o inadeguati o tardivi. Anche l'esortazione a difendere i Greci cristiani, per quanto eretici, è un argomento, presente anche negli appelli inascoltati di Giorgio da Trebisonda, molto caratteristico per documentare la diffusa incertezza politica con cui l'Europa valutò le minacce turche all'ultimo lembo dell'Impero di Oriente. Ma su tutto prevalgono una più generica per quanto sentita emozione apocalittica e profetica, che suggerisce continui richiami al Papalista e in genere alle profezie di Gioacchino da Fiore, e le polemiche, appoggiate a oscure preterizioni e reticenze (ma del tutto trasparenti sebbene la lettera dedicatoria parli di "vellati [velati] ... versi") contro l'inerzia di Roma e di papa Niccolò V.
All'intenzione profetica e ammonitoria del Lamento si collega il suo carattere stilistico più evidente: la forte coloritura dantesca delle terzine, fittissime di calchi del Dante delle invettive politiche e morali, delle sprezzanti indicazioni metaforiche, delle profezie di punizioni divine.
Il Lamento del D. è conservato parzialmente in tre codici, sui quali è stata condotta l'edizione di L. Frati: il cod. 578 della Biblioteca universitaria di Padova, mutilo degli ultimi 53 versi; il cod. Can. Ital. 263 della Bodleyan Library di Oxford, nel quale mancano i primi 69 versi; il cod. 403 della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, dal titolo Querimonia capture urbis Constantinopolitanae, contenente i soli 201 versi della prima "zornata" o parte.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, VI, Milano 1749, p. 135; L. Frati, Lamento di un istriano (M. D. da Pola) per la caduta di Costantinopoli, in Arch. stor. per Trieste, l'Istria e la Dalmazia, III (1885), 3-4, pp. 281-90; Lamenti stor. dei secc. XIV, XV e XVI, a cura di A. Medin-L. Frati, II, Bologna 1888, pp. 195-229; A. Pertusi, La caduta di Costantinopoli, Milano 1976, I, p. XXXVIII; II, p. 510; G. Lucchetta, L'Oriente mediterr. nella cultura di Venezia tra il Quattro e il Cinquecento, in Storia della cult. veneta, III, 2, Venezia 1980, p. 378.