MOLINARI, Michele
dei (Michelino da Besozzo). – Nacque a Besozzo, presso Varese probabilmente attorno al 1365-70.
È possibile evincere il luogo di origine poiché associato al nome del M. nei documenti e nelle fonti, mentre il suo casato è ricordato da Pier Candido Decembrio nella biografia dedicata al duca Filippo Maria Visconti, del 1447, ed è attestato in un atto notarile del 1420. In considerazione di una possibile precocità artistica del M. suggerita dalle fonti, la data di nascita si può verosimilmente ipotizzare in base al più antico riferimento documentario conosciuto, che lo ricorda tra l’agosto e il novembre 1388 attivo per gli eremitani del convento di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia nella decorazione dei due chiostri con cicli dedicati alle Storie di s. Agostino e Storie di s. Nicola da Tolentino, distrutti dopo il 1578. Vi collaborarono anche tale maestro Ambrosino, Antonio Genovese e Girardo Rossi, i quali dovettero ricoprire un ruolo secondario, avendo ricevuto dei pagamenti meno cospicui (Albertini Ottolenghi, pp. 5 s.).
È ormai accertato dalla storiografia il ruolo del M. come principale protagonista della raffinatissima stagione del tardogotico lombardo tra la fine del Trecento e i primi decenni del secolo successivo, che trova conferma nell’alto elogio decretatogli dai contemporanei quali Uberto Decembrio nel De Republica (1421-22), che lo ricorda insieme con Jean d’Arbois (Giovanni degli Erbosi) e Gentile da Fabriano tra i pittori più celebri dell’epoca, e nei numerosi documenti rinvenuti.
Ancora dibattuta è invece la definizione del suo corpus pittorico per la totale perdita o deterioramento delle opere menzionate dalle fonti, sebbene si venga chiarendo la trama essenziale della sua attività, soprattutto riguardo ai primi decenni e alla fase più tarda, ricostruibile innanzitutto dai raffronti con la tavola dello Sposalizio mistico di s. Caterina, con s. Giovanni Battista e s. Antonio Abate (Siena, Pinacoteca nazionale), unica opera conosciuta recante la sua firma («michelinus fecit»). Originariamente riconosciuta da Toesca (1905, p. 325), la storiografia successiva ne ha accettato senza esitazione l’autografia, sebbene cronologia e provenienza siano ancora oggetto di dibattito.
Non si hanno notizie riguardo al suo apprendistato, il quale verosimilmente ebbe uno snodo fondamentale a Pavia, essendovi documentato con continuità fino al 1404, città che, durante il dominio di Galeazzo II Visconti e del figlio Gian Galeazzo, divenne capitale artistica di rango europeo.
Queste indicazioni concordano con i caratteri stilistici precipui della tavoletta senese, che riflettono esemplarmente la cultura figurativa internazionale legata alla corte viscontea, il cui nucleo fondamentale era costituito dalla grande tradizione del naturalismo gotico lombardo, che ebbe come massimo esponente Giovannino de’ Grassi, arricchita dai più raffinati esiti artistici elaborati nella Penisola e Oltralpe. Particolarmente rilevante era il gusto francesizzante che predominava presso i Visconti alla fine del XIV secolo, favorito da un fitto scambio di codici miniati e dalla presenza di artisti come Jean d’Arbois, che fu anche pittore del duca di Borgogna Filippo l’Ardito, nonché documentato per alcune decorazioni presso il convento di S. Pietro in Ciel d’Oro nel 1385 e tra il 1392-99.
Presso la capitale viscontea il M. assunse ben presto il ruolo di protagonista, soprattutto dopo la morte di Giovannino de’ Grassi (1398), lavorando non solo per la corte ducale, ma intrattenendo anche un rapporto privilegiato proprio con gli eremitani e alcuni prestigiosi personaggi legati all’ordine. Sembra ormai accertato che almeno dal 1387 proprio presso gli eremitani fosse attivo uno scriptorium sotto la guida di Pietro da Pavia, specializzato nella produzione di testi filosofici e letterari per un pubblico colto connesso all’università cittadina, nel quale il M. si sarebbe formato nell’arte della miniatura. A questo contesto è stata infatti riferita la decorazione del De consolatione philosophiae di Boezio (Cesena, Biblioteca Malatestiana, ms. D.XIV.1), eseguito per il giurista bolognese Baldo degli Ubaldi (Salmi, p. 802) tra il 1390-92, la cui attribuzione oscilla proprio tra il M. (Toesca, 1912, pp. 517 s.) e Pietro da Pavia con la sua bottega (Algeri, 1996, p. 45), senza peraltro escludere una loro eventuale collaborazione (Lollini, 1998).
Nel 1394 il M. realizzò, su committenza dell’illustre giurista dello Studium pavese Filippo Orsi da Pescia, un’ancona perduta per l’altare di S. Nicola nella chiesa di S. Mustiola, da dove provenivano i frati eremitani prima che ottenessero il permesso di trasferirsi presso S. Pietro in Ciel d’Oro (Toesca, 1912, p. 435).
È stata riferita al M. anche la decorazione del Libro d’ore conservato nella Bibliothèque municipale di Avignone (ms. 111), eseguita secondo una tecnica mista a grisaille con integrazioni di colore, sebbene anche in questo caso sono state sollevate obiezioni da parte della storiografia (Cadei, p. 123) generalmente orientata per una cronologia attorno al 1395 (Castelfranchi Vegas, 1993, pp. 316-318; Algeri, 1995, pp. 332-335), ma che potrebbe slittare almeno agli anni a cavallo del secolo (Boskovits, 1998, pp. 98 s. n. 24).
Ormai concordemente ascritta al catalogo del M. è invece la decorazione dei Commentari super psalmos di S. Agostino (Biblioteca apostolica Vaticana, ms. Vat. lat., 451) databili tra il 1401 e il 1404 per il benedettino Giovanni Capogallo, vescovo di Feltre e Belluno, poi di Novara, nonché consigliere di Gian Galeazzo Visconti (Manfredi).
In particolare il pittore lombardo eseguì le due raffinate miniature che introducono i fogli 1r e 239r, rispettivamente con S. Agostino intento in una lectio e S. Agostino nello studio, secondo un modulo tipico dei codici giuridici di lusso e del tutto originale per quelli patristici tradizionalmente parchi di decorazione figurata.
Al 1403 risale invece la copia del celeberrimo Elogio funebre di Giangaleazzo Visconti (Parigi, Bibliothèque nationale de France, Lat., 5888), composto dall’umanista Pietro da Castelletto per i funerali del duca nell’anno precedente (Kirsch).
Il carattere del testo dovette suggerire al M. gli accenti più delicatamente commossi delle miniature, raggiunti tramite una definizione delle forme con passaggi tonali morbidi e un segno sempre più fluente, che tradiscono un’attenta meditazione della coeva arte renana e boema, ma anche delle eleganti opere d’oreficeria transalpina come il Goldenes Rössl di Altötting.
Nel 1404 il M. viene per la prima volta citato nei documenti della Fabbrica del duomo di Milano, che ne testimoniano il consolidato prestigio («summus in arte pictoria et designamenti, ex quo speratur quam multum erit utilis fabricae»), ma anche che continuava a risiedere a Pavia. Entro il 1405 il M. eseguì la decorazione del Libro d’ore già Bodmer (New York, The Pierpont Morgan Library, ms. 944), da considerarsi il capolavoro dell’artista in ambito miniaturistico (Castelfranchi Vegas, 1975; Eisler, pp. 18 s.).
Il considerevole numero di pagine interamente miniate, ben ventidue sulle novantacinque complessivamente conservate, conferma che il frammento doveva appartenere ad un’opera particolarmente prestigiosa, con ogni probabilità commissionata dagli stessi Visconti sul genere dei «manuscrits de luxe» transalpini, che già contavano precedenti esemplari in Lombardia tutti legati alla famiglia ducale e in particolare a Gian Galeazzo. Nell’offiziolo il ricorso a motivi direttamente desunti dal mondo vegetale assume un rilievo determinante, in quanto l’apparato decorativo di ciascuna pagina si sviluppa all’insegna di un’unica specie floreale sapientemente accordata con la figura o con la scena che incornicia, secondo un modello inventivo che non trova riscontro in alcun manoscritto dell’epoca. La maggiore dimensione dei fiori rispetto a quella delle consuete decorazioni vegetali stilizzate a foglie di vite, ne permette un’analisi realistica e vivace ispirata agli Erbari e Tacuina sanitatis lombardi, ma con una freschezza, fantasia e intento estetico che denotano un’ispirazione alle ultime novità parigine di fine secolo, in particolare alle miniature di Jacques Coene probabile Maestro di Boucicaut, forse conosciuto dal M. presso la corte pavese.
A questi anni dovrebbe risalire anche il Matrimonio mistico di s. Caterina conservato a Siena, la cui datazione secondo la storiografia oscilla soprattutto tra l’inizio del secolo (Toesca, 1912, pp. 436 s.; Sellin, pp. 51-63; M. Bollati, in Laureati - Mochi Onori, p. 80) e il 1414-20 in parallelo al documentato soggiorno veneto (Torriti; Dachs-Nickel, pp. 51, 79 s.). Da scartare l’ipotesi che si possa invece identificare con il pannello centrale della già citata ancona di S. Mustiola (Albertini Ottolenghi, p. 15 n. 16), poiché per dimensioni si deve piuttosto immaginare come destinata alla devozione privata.
Il dipinto si qualifica come opera di un artista ormai maturo, che esibisce un’estenuata eleganza nel delineare il profilo delle figure ritagliate mediante una raffinatissima calligrafia secondo una resa spaziale non prospettica, in accordo a modelli figurativi transalpini e boemi e in stretta contiguità formale con le miniature dell’Elogio. Di matrice più tipicamente lombarda il realismo che affiora nella caratterizzazione dei volti maschili, che come quelli delle altre figure sono delineati tramite morbide pennellate, secondo una maniera assimilabile a quella di Giovannino de’ Grassi.
A quest’opera sono strettamente correlate a livello stilistico le due preziose tavolette con la Madonna del Roseto (Verona, Museo di Castelvecchio), alternativamente riferita a Stefano da Verona (E. Moench, in Pisanello, 1996, p. 76) e più verosimilmente al M. (Coletti, p. 246; De Marchi, pp. 50, 258), sebbene mostri alcune imprecisioni nella descrizione dei dettagli naturalistici, e lo Sposalizio della Vergine del Metropolitan Museum di New York (Salmi, p. 804; Castelfranchi Vegas, 1975, p. 95; Boskovits, 1998, p. 99 n. 24; ), anch’esse dalla cronologia alquanto dibattuta.
In particolare il dipinto veronese, destinato al monastero di S. Domenico di Verona, si distingue per l’iconografia dell’hortus conclusus, di ampia diffusione soprattutto in ambito nordico, che include nello spazio del giardino i consueti simboli della Verginità di Maria in riferimento al Cantico dei Cantici, arricchiti da altri segni iconici legati al culto mariano.
Fino al 1418 mancano attestazioni circa la presenza del M. in Lombardia, mentre risulta attivo a Venezia, dove potrebbe essersi trasferito a causa dei disordini seguiti alla morte di Gian Galeazzo nel 1402, forse attratto dalla possibilità di essere coinvolto nella nuova decorazione della sala del Maggior Consiglio in palazzo ducale a Venezia condotta tra il 1409-15, dove certamente collaborarono Gentile da Fabriano e Pisanello (Christiansen, p. 121).
Nella città lagunare, infatti, il 4 maggio 1410 il M. incontrò Giovanni Alcherio, agente del duca di Berry, che dichiara di avere ricevuto dal pittore una ricetta per la preparazione dell’azzurro oltremarino, definendolo «pictor excellentissimus inter omnes pictores mundi» (Toesca, 1912, p. 435). Nel 1414 venne invece completata l’ornamentazione del manoscritto contenente le Epistole di s. Gerolamo (Londra, British Library, ms. Egerton, 3266), commissionato dalla nobile famiglia veneziana Cornaro.
Secondo la storiografia il M. avrebbe decorato il foglio 15r, con un’iniziale istoriata e un’elaborata decorazione dei bordi che presenta le raffigurazioni della Natività, della Trinità e della Resurrezione (Pächt, p. 14).
A questi anni va anche riferito il suo intervento nella decorazione pittorica della cappella Thiene presso la chiesa domenicana di S. Corona a Vicenza (Christiansen, pp. 120 s.), sebbene alcuni studiosi ne anticipino la cronologia alla fine del Trecento (Algeri, Per l'attività…, 1987; De Marchi, pp. 49, 76).
L’ambiente di piccole dimensioni fu concesso a Giovanni da Thiene nel 1390, e venne decorato entro il 1415, anno della sua morte. Il M. conobbe con ogni probabilità il committente presso la corte viscontea a Pavia, dove è documentato nel 1393 e presso la quale aveva rivestito il ruolo di consigliere di Gian Galeazzo Visconti e tutore del figlio Filippo Maria. Delle preziose pitture, che secondo le fonti si estendevano originariamente a tutto il vano, sopravvivono solo le due lunette che coronano le arche sepolcrali di Giovanni e del fratello Marco Thiene, probabilmente opera di lapicidi veneziani attorno al 1400, raffiguranti la Vergine in trono con Bambino affiancata da santi che introducono gli offerenti secondo uno schema compositivo riproposto con leggere modifiche. Realizzati a tecnica mista ad affresco e secco, sebbene molto consunti a causa di una sconsiderata operazione di pulitura, denotano altissima qualità formale nella sofisticata eleganza delle pose caratterizzate da ritmi lineari fluenti.
Tali attestazioni hanno suggerito la possibilità di un soggiorno duraturo in Veneto da parte del M., soprattutto presso la Serenissima, dove avrebbe lasciato un’impronta determinante nella cultura figurativa dell’epoca (Algeri, Per l'attività…, 1987; Christiansen, p. 121).
Parte della storiografia tende piuttosto a sottolineare il ruolo di Gentile da Fabriano e a ridimensionare nei suoi limiti episodici quello dell’artista lombardo. Il soggiorno a Verona, sebbene non documentato, è invece da presupporre necessariamente per spiegare la cultura degli artisti scaligeri di quegli anni.
Dal 1418 viene documentata con continuità l’attività del M. presso il cantiere del duomo di Milano. In accordo con il clima operativo della fabbrica l’artista svolse non solo incarichi di soprintendenza e perizia, ma altri compiti più modesti, secondo condizioni artigianali nelle quali operarono anche Giovannino de’ Grassi e Filippino degli Organi, allora sovrintendente alla costruzione della cattedrale ambrosiana. Il 31 ottobre di tale anno il M. ricevette, infatti, l’incarico per la decorazione di una Madonna posta nella chiave di una volta (Toesca, 1912, pp. 435 s.).
Nel dicembre 1419 i fabbricieri accettarono l’offerta di alcuni pittori di porta Nuova di eseguire due campi di vetrata, a condizione che fossero migliori di quelli di altri artisti, il M. escluso. Inoltre nel caso i deputati avessero preferito quelli dell’artista lombardo, avrebbero pagato ai pittori solamente l’esecuzione (Pirina, p. 54), evidenziando così il ruolo di riferimento svolto dal M. nell’ambito della decorazione delle vetrate nel cantiere ambrosiano. Un successivo intervento risale al 1420, quando il M. fu eletto giudice per una controversia insorta tra i deputati dell’Opera del duomo e il maestro vetraio Maffiolo da Cremona, che allora stava lavorando al finestrone absidale detto «raza» (ibid., p. 59).
Nel giugno del 1421 il M. ricevette alcuni pagamenti insieme con il figlio Leonardo relativi ai dipinti destinati all’altare dei Ss. Quirico e Giulitta, presso il transetto aquilonare del duomo (ibid., p. 100), per il quale tra l’agosto 1423 fino al maggio 1425 stava eseguendo anche una serie di dodici riquadri destinati alla vetrata, su commissione del paratico degli Speziali.
Di tale decorazione sono stati riconosciuti, nonostante le ridipinture, i sei trilobi erratici con raffigurazioni veterotestamentarie ora collocati nella vetrata XV di s. Giorgio e s. Martino nel transetto meridionale. Presumibilmente tale vetrata si articolava in capituli rettangolari con scene narrative dedicate a Giulitta e al figlio Quirico, mentre le raffigurazioni nei trilobi alla sommità della finestra formavano un commento alla storia sottostante mediante personaggi sapienziali, alludenti alla dottrina della santa, secondo un sistema tradizionale adottato anche per le altre contemporanee vetrate del duomo. L’intervento del M. si estenderebbe non solamente all’esecuzione dei cartoni, ma anche alla loro traduzione, in quanto dai documenti si evince che la fabbrica gli consegnò il materiale necessario per l’esecuzione, mentre non risulta che l’artista avesse alle dipendenze maestri vetrai.
Nel 1429 il M. ricevette dei pagamenti per l’esecuzione di un gonfalone identificabile con la cosiddetta Madonna dell’Idea (Milano, Museo del duomo), già attribuita a vari artisti lombardi e riferita al catalogo dell’artista da Boskovits (1988, p. 40; Bandera, pp. 235 s.). In particolare al maestro andrebbe riferita la raffigurazione sul recto che presenta la Madonna col Bambino, recante una iscrizione interpretabile come «MCCCCXVIII» o «MCCCCXXVIII» e una firma «MICHAE DE BESOTIO» forse successivamente trascritte, mentre il figlio Leonardo avrebbe eseguito la Presentazione al Tempio sul verso.
Tra gli affreschi variamente attribuiti al M., gli Evangelisti e santi decoranti la volta della cappella di S. Martino in S. Eustorgio a Milano sono quelli che presentano le più evidenti credenziali formali per essere riferiti al suo catalogo. La presenza dello stemma di Bianca Maria Visconti, figlia di Filippo Maria, ne ha suggerito la cronologia agli anni 1437-38, prima che l’ambiente passasse alla famiglia Aicardi nel 1440 (Cadei, p. 123; Bandera, pp. 233 s.). Nel 1445 eseguì insieme con alcuni collaboratori gli affreschi in più sale al pian terreno di palazzo Borromeo a Milano, ora presso la Rocca di Angera, commissionati per celebrare l’avvenuta concessione del titolo comitale al casato. Di tale decorazione si conservano solo pochi frammenti con Storie di Esopo, originariamente nell’omonima sala, e il lacerto di Tempesta marina che è invece quanto rimane della cosiddetta Sala del Mare (Gengaro). La firma del M. compariva ancora nel 1825 su quel che rimaneva di un grandioso affresco figurante un Trionfo del Petrarca collocato al pian terreno sulle pareti del portico del cortile d’onore (Toesca, 1905, p. 323).
All’attività tarda nel quinto decennio viene assegnato anche l’affresco molto danneggiato con il Corteo dei Magi già nella chiesa di S. Maria Podone (Milano, Curia arcivescovile). Originariamente sull’arco d’ingresso della cappella fatta costruire dal conte Vitaliano Borromeo, di fronte al palazzo di famiglia, doveva probabilmente introdurre in un ambiente particolarmente raffinato con scene della vita e della passione di Cristo, un'Incoronazione della Vergine attorniata da santi e dottori della Chiesa sulla volta, eseguito con ogni probabilità dallo stesso M. (Bandera, pp. 234 s.).
Non si conosce la data di morte del M., ancora vivente l’11 maggio 1450, come ricorda un atto notarile riguardante il figlio Melchiorre (Sellin, p. 50).
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