DAMASKINOS (Damasceno, Damaschino), Michele
Nato a Creta, come attestano le firme apposte in calce ai suoi dipinti, le tappe della sua vita sono ricostruibili sulla base della localizzazione e della cronologia delle numerose opere sinora rintracciate: tale ricostruzione è peraltro resa controversa dall'esistenza di altri pittori suoi omonimi, sì che l'arco di tempo in cui si esplica l'attività del D. è stato fatto oscillare tra il XV e il XVIII secolo.
Sicuramente documentato è il soggiorno veneziano (1574-1581), mentre più vaghe sono le notizie che concernono gli avvertimenti precedenti e seguenti questo torno d'anni. Il D. dovette trasferirsi giovanissimo a Zante, dove restano suoi dipinti (1525). Alle dipendenze dei monaci di S. Caterina dei sinaitici dové esercitare la professione di trascrittore di manoscritti e forse di miniatore, secondo un'ipotesi del Bettini (1934-35). Incerte, ma presumibilmente anteriori al soggiorno veneziano, le date delle sue soste in diversi monasteri sul monte Athos, nel monastero di S. Luca a Levadià in Focide, a Mitilene, sul Sinai e a Corfù, dove il suo passaggio è segnato dalla presenza di dipinti firmati.
Anteriore al periodo veneziano è anche l'attività Pugliese dei D., testimoniata da una Madonna del Rosario nella chiesa di S. Benedetto di Conversano (Bari) - replicata con poche varianti, forse dallo stesso D. (Calò, 1969) o dalla sua bottega, per la chiesa di S. Maria dei Martiri a Molfetta - databile a poco dopo il 1572. Nel 1574 il D. fu chiamato a Venezia, per provvedere alla decorazione della chiesa di S. Giorgio dei Greci, eretta dalla comunità greca a Venezia a partire dal 1539 (architetto Sante Lombardo) e consacrata nel 1561.
In questa prima fase di lavoro il D. vi restaurò il Dodekaorton, dodici tavole forse provenienti dalla chiesa di S. Biagio di Venezia che, prima dell'erezione di S. Giorgio, ospitava la colonia greca immigrata nella città (secondo Chatzidakis, 1962, non di un restauro si sarebbe trattato, ma di una esecuzione ex novo). Nel 1577 troviamo il D. impegnato nell'esecuzione di alcune tavole, inserite nell'iconostasi di S. Giorgio; più tardi dipinse a tempera (o a fresco secco) le conche absidali, con figure di Padri della Chiesa.
Nel 1581 il D. è ancora a Venezia: lo scultore Alessandro Vittoria, infatti, ricorda nel suo testamento di aver acquistato proprio in tale anno dal D. "dissegni dil Parmigiano e di altri valentomini" alla presenza di Palma il Giovane (Cicogna, 1837). Poco dopo dovette tornare a Creta. Nel 1586, infatti, il cretese Giacomo Carvelà stanziava una somma per decorare a fresco la cupola di S. Giorgio dei Greci, che nel 1571 certo maestro Andrea aveva innalzato sulla navata longitudinale della chiesa. Dell'opera venne incaricato il D., che in quel momento risulta appunto essere lontano da Venezia. Dopo alcune trattative, questi declinò l'offerta: egli non tornerà più a Venezia, e a S. Giorgio dei Greci sarà sostituito da Giovanni Kyprios, mediocre pittore di maniera. Non documentabile la notizia secondo cui il D. sarebbe morto in Italia, a Roma, povero e dimenticato, sul finire del secolo (Kalogheropoulos, in Bettini, 1934-35).
La produzione del D. fu copiosa e sparsa in tutta l'area del Mediterraneo orientale; più di una ventina sono le opere conservate a Venezia ma, oltre che nelle località già citate, numerosi sono i dipinti nella chiesa metropolitana di Creta (contemporanei al soggiorno veneziano: 1574-1579), nel Museo Benaki di Atene e in collezioni private ateniesi: una produzione la cui consistenza e qualità giustificano la fama che accompagnò in vita il Damaskinós. Massimo esponente della pittura tardobizantina che da Creta e Cipro si diffuse anche sulle coste italiane dell'Adriatico (soprattutto in Puglia e a Venezia), questa singolare figura d'artista si colloca esemplarmente tra Oriente e Occidente: alla tradizione paleologa sono riconducibili infatti le sue icone cultuali, di misura strettamente bizantina e tutte intrise del prezioso gusto decorativo dell'area metropolitana. Nelle icone a scene il D. si rivela, invece, al corrente delle novità romano-rinascimentali (che erano state mediate soprattutto dalle incisioni di' Marcantonio Raimondi) e venete (Paris Bordone, Tintoretto, Veronese, i Bassano), che egli innesta sul bizantinismo di fondo in una sintesi dei tutto originale. Esemplare è in questo senso l'Ultima Cena della chiesa metropolitana di Candia, singolare "compilazione" di motivi bizantini e rinascimentali, potentemente rivissuti dall'artista con la sensibilità formale caratteristica dell'arte bizantina coeva (Chatzidakis, 1940). Le oscillazioni stilistiche possono peraltro dipendere dal carattere della committenza: così, se a Venezia il D. lavorò per una clientela composta di ricchi mercanti greci, borghesi e occidentafizzati, lavorando per gli ambienti monastici - soprattutto in Grecia - confezionò prodotti più legati alla tradizione bizantina ortodossa. In conclusione, la pittura del D., contemporanea a quella del Theotokopoulos, rappresenta il punto più alto del fenomeno che va sotto il nome di tardo bizantinismo, che continuerà a vivere ancora a lungo e sempre più stancamente, legando con stretti vincoli di scambio le due coste dell'Adriatico.
Bibl.: E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., II, Venezia 1837, p. 126 n. 14; Venezia e le sue lagune, I, 2, App., Venezia 1847, p. 85; G. Veludo, ῾Ελλήνων ᾿Ορθοδόξων ᾿Αποικια ἐν βενετια, Venezia 1893, pp. 35, 37, 49, 52; E. Tea, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, Leipzig 1913, p. 314; S. Bettini, Il pittore M. Damasceno e l'inizio del secondo periodo dell'arte cretese veneziana, in Atti del R. Istituto veneto di sc., lett. ed arti, XCIV (1934-35), 2, pp. 331-80 (con bibliogr. greca specifica); M. Chatzidakis, M. Raimondi und die postbyzantinischkretische Malerei (1940), rist. in Etudes sur la peinture postbyzantine, London 1976, pp. 51 ss., 161; Id., Contribution à l'étude de la Peinture postbyzantine (1953), rist. ibid., pp. 9, 13 s., 18, 22; A. Xingopoulos, Σχεδίασμα ιοτορίας τῆς Θρησκευτικῆς Ζϕγραϕικῆς πετὰ τὴν ἅλωσιν, Athenai 1957, pp. 136-59; M. Chatzidakis, Icónes de St-Georges des Grecs et de la collection de l'Institut, Venezia 1962, pp. XLI-XLII, 51-73; A. Xingopoulos, Les icónes portatives, in L'art byzantin-art Européen (Jème exposition du Conseil de l'Europe, Athènes 1964), Athènes 1964, p. 233; M. D'Elia, Mostra d. arte in Puglia dal tardoanrico al rococò (catal.), Roma 1964, pp. 103 ss.; M. Chatzidakis, Icone della Grecia, in Icone-Sinai, Grecia, Bulgaria..., Milano 1968, p. XXXVI; M. S. Calò, Contributo alla storia d. arte in Puglia. La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari, Bari 1969, pp. 30-33; M. Rotili, L'arte del Cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli 1976, p. 138; D. Talbot Rice, in Encicl. univers. d. arte, IV,col. 67 (s. v. Cretese-bizantina scuola).