COPPINO, Michele
Nato ad Alba (Cuneo) il 1°apr. 1822 da famiglia modesta (il padre, Giovanni, era ciabattino e la madre, Maria Mancardi, cucitrice) il C. compì i primi studi, con successo, nel seminario di Alba, tanto da ottenere un posto gratuito nel Collegio delle provincie a Torino che gli consentì di frequentare i corsi universitari e conseguire, a ventidue anni, la laurea in belle lettere. Iniziò subito dopo, nel 1844-45, l'insegnamento della retorica a Demonte, in provincia di Cuneo, e lo proseguì dal 1845-46 al 1846-47 a Pallanza, e nel 1848 a Novara. Risalgono a questi anni alcune liriche di argomento religioso e patriottico e le quarantottesche Parole al popolo d'Italia.
Il C. insegnò poi nel Collegio nazionale di Voghera e di nuovo a Novara dove il 15 dic. 1849 pronunziò, per l'inizio dell'anno scolastico, il discorso Della educazione qual mezzo di nazionale Risorgimento, ispirato, come le Parole al popolo d'Italia, più ad un superiore ideale etico che a finalità immediatamente politiche.
Nel 1850 il C. fu nominato dottore collegiato presso la facoltà di lettere di Torino, collegio di Porta Nuova; in occasione di questo incarico di retorica il C. discusse nel dicembre 1851, secondo l'uso del tempo, alcune sue tesi (In R. Taurinensi Gymnasio ad Portam Novam rethoricae professor ut in ampliss. eloquentiae et philosophiae Collegium cooptaretur in R. Taurinensi Athaeneo disputabat, anno MDCCCLI, pp. 53). Ma all'attività poetica, di saggista e di critico letterario si aggiunse ben presto quella politica che avrebbe finito rapidamente per prevalere sulle altre, tanto che - come ha scritto A.A. Mola - ogni volta che il C. fu costretto a scegliere tra "dignità accademica" e "partecipazione politica" fu la prima a dover cedere il passo. A partire dal 1853 collaborò alla Rivista contemporanea diretta dal giovane Luigi Chiala con articoli e recensioni su temi nei quali l'interesse artistico-letterario (Eloisa ed Abelardo; Esposizione di Belle Arti in Torino; Ugo Foscolo e il suo epistolario; Alfieri e Pellico giudicati da critici francesi; Victor Hugo e "Les Contemplations") non andava disgiunto da motivi di più diretto impegno civile, come testimonia lo scritto del 1854 Sull'orazione del prof. Alessandro Paravia recitata nella Grand'Aula della R. Università intorno alla "Responsabilità dello scrittore".
La collocazione politica del C. negli anni Cinquanta non era troppo rigida ed esclusiva se egli poteva collaborare con la rivista di Chiala, essere vicino alla Sinistra costituzionale di Rattazzi e al Diritto "non senza disponibilità ad aperture verso l'opposizione di Sineo, Brofferio, Depretis". Di fronte alla trasformazione del regno sardo, cui negli stessi anni ponevano mano Cavour e i suoi collaboratori, il C. esprimeva "pacate ma ferme perplessità sui contenuti morali del processo politico ed economico in atto", facendosi portavoce di "tardivi echi del Rousseau, ancor vivi in Piemonte" e di più recenti "spunti di socialutopismo" (Mola, pp. 14 s.).
Nel 1857 il C. fu designato candidato dal comitato elettorale liberaldemocratico per il collegio di Alba nelle elezioni del 15 novembre: su 721 iscritti e 539 votanti ebbe 249 voti contro i 263 del suo antagonista, il conte Carlo Alfieri di Magliano, che, nel ballottaggio del 18 novembre, lo batté con 312 voti contro 295.
Questa prima esperienza politica, anche se non conclusa felicemente, dimostrò tuttavia, in una situazione non facile, contro un avversario appartenente ad una delle più antiche famiglie del Cuneese, che il C. riscuoteva un consenso abbastanza ampio, destinato ad accrescersi negli anni successivi. Intanto si era andato avvicinando alla massoneria alla quale venne iniziato il febbr. 1860 nella loggia Ausonia dell'Oriente di Torino. Più fortunato nelle elezioni del 25 marzo dello stesso 1860 per la settima legislatura, il C. venne eletto, sempre nel collegio di Alba che non abbandonerà più, con una votazione quasi plebiscitaria (478 voti su 489 votanti); i suoi oppositori, il generale Faustino Como e l'avvocato Giuseppe Musso ebbero soltanto due voti per uno. L'elezione venne, però, annullata perché il C. era membro ordinario del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Ripresentatosi, sempre nello stesso collegio, il 16 settembre di quel medesimo anno, il C. ebbe un nuovo plebiscito con 345 voti su 347 votanti.
Ma gli eventi che nella seconda metà del 1860 seguirono alla spedizione garibaldina nel Mezzogiorno portarono allo scioglimento della Camera (decreto di chiusura della settima legislatura 17 dic. 1860) e ad indire le nuove elezioni per l'ottava legislatura per il 27 genn. 1861. Nel presentarsi ai suoi elettori il C. volle, da un lato, ricordare le posizioni assunte a favore "della libertà e indipendenza patria, della giustizia sociale, della utilità popolare", e, dall'altro, prospettare i grandi problemi che il nuovo Stato avrebbe dovuto affrontare e risolvere, cominciando dal più grave, costituito dalla necessità, nel contempo, di salvaguardare l'unificazione politica del paese ("stringere in una tutte le sue parti, che per urti nemici non si sconnetta e cada") e di conservare alle provincie e ai municipi "i propri diritti, che sono la garanzia della popolare libertà", poiché i municipi costituivano "un carattere della nostra civiltà e della nostra storia".
Il 27 genn. 1861 il C. fu eletto con 611 voti su 1.039 votanti, ma la sua elezione fu annullata il 7 marzo per essere egli membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e professore di retorica al Collegio nazionale di Torino. Allora, prima di presentarsi alle elezioni suppletive, del 7 aprile, il C. chiese il 3 aprile (lettera pubblicata dal Mola, p. 62) a Francesco De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione, di accettare la sua rinunzia allo stipendio "annesso all'ufficio di membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione" o di nominarlo membro straordinario dello stesso consesso ovvero, se il mutamento non fosse stato possibile, di accettare le sue dimissioni.
Nelle elezioni del 7 apr. 1861 il C. venne nuovamente eletto ad Alba con 759 voti su 785 votanti e questa volta riuscì a portare a termine la legislatura. I suoi interventi alla Camera non furono numerosi né particolarmente brillanti, ma equilibrati e temperati e non privi di "vigore di logica", come scrisse il Bonghi, cui pareva che il C. parlasse come se scrivesse, "non dicendo, in maniera eletta, cose che non fossero comuni". Nelle sedute del 18 e del 27 genn. 1862 il C. intervenne energicamente contro un decreto reale del 28 nov. 1861, preparato dal De Sanctis in qualità di ministro della Pubblica Istruzione, che poneva l'Istituto agrario veterinario annesso all'università di Pisa alle dipendenze del ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio. A giudizio del C. il decreto era inopportuno e illegale: affidava al ministero dell'Agricoltura, cui la legge istitutiva attribuiva il controllo delle sole scuole "speciali" (cioè agrarie, tecniche e di commercio), gli istituti tecnici creati dalla legge Casati e Posti da questa alle dipendenze del ministero della Pubblica Istruzione.
Il problema suscitato dal C. riguardava, come comprese subito De Sanctis, la natura e la funzione degli istituti tecnici: scuole di cultura generale (come sosteneva il C.) o scuole speciali (come diceva Sella). Il dissenso non era solo tra due deputati, il primo "letterato" e l'altro "scienziato", ma affondava le sue radici nelle sostanziale ambiguità della legge che definiva gli istituti tecnici "istituti di coltura generale e speciale", giustapponendo due esigenze diverse, volendo fornire in questo tipo di scuola sia una specifica formazione professionale sia una solida istruzione storico-filosofico-letteraria. Non convinto dalle argomentazioni dei Sella e neppure dall'empirismo politico desanctisiano, il C. propose il seguente ordine dei giorno di sfiducia: "La Camera ritenendo cessata nel Ministero la facoltà concessa dall'art. 3 della legge sul Ministero di Agricoltura e Commercio, e invitando il Ministero della Pubblica Istruzione a presentare una legge per le scuole tecniche a fine di provvedere alla coltura generale della nazione, passa all'ordine del giorno".
"L'intrigo fu disperso a colpi di cannone scrisse il 27 genn. 1962 De Sanctis a De Meis commentando l'insuccesso del C. - Ho vinto clamorosamente" (R De Sanctis, Epistolario1861-1862, a cura di G. Talamo, Torino 1969, p. 415).
Con un lungo e pensato intervento il C. partecipò alla discussione tenutasi nel novembre 1864 alla Camera sull'approvazione della convenzione del 15 settembre. Insieme con i deputati della Sinistra subalpina, il C. si dichiarò contrario non solo alla sostanza di un trattato che imponeva all'Italia "la malleveria di un fatto materiale contro la securtà della sua parola", metteva "in disparte la sovranità nazionale", restringeva e violava il suo diritto e scuoteva le stesse basi sulle quali era sorto il regno, ma rifiutava nettamente anche il modo con cui l'accordo era stato raggiunto: "respingo una Convenzione - egli disse l'11 novembre - la quale fu composta nel segreto, quasi una cospirazione, si è prodotta nell'equivoco, e ad esso tuttavia si raccomanda, mentre vediamo, dopo quasi due mesi che le parti contraenti hanno scambiato le ratifiche, continuarsi un laborioso e non degno lavoro delle medesime per intendersi ancora intorno a quello che si è veramente stabilito".
Eletto con 625 voti su 1249 votanti il 22 ott. 1865 per la nona legislatura, destinata a breve durata (aperta cm r. d. 7 sett. 1865 venne chiusa con r. d. del 13 febbr. 1867), il C. venne rieletto il 10 marzo 1867 per la decima legislatura (con 752 voti su 841 votanti) e divenne il 22 marzo vicepresidente della Camera dei deputati. Nominato poco dopo (10 aprile) da Rattazzi ministro della Pubblica Istruzione, dovette dimettersi da vicepresidente dell'Assemblea mentre gli veniva annullata anche l'elezione a deputato. Rieletto il 5 maggio con una larghissima votazione (861 voti su 871 votanti), il C. seguì le sorti del ministero Rattazzi caduto il 27 ottobre dello stesso 1867. Sui fatti di Mentana, che erano all'origine di quella caduta, intervenne il 4 dicembre alla Camera, difendendo con abilità l'operato del governo del quale aveva fatto parte e impostando il problema di Roma capitale e dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano sulla base del separatismo cavouriano.
Il 15 dic. 1867 venne restituita al C. la cattedra di eloquenza italiana all'università di Torino, ma per questo motivo e per la sua nomina a rettore dello stesso ateneo, ancora una volta venne annullata la sua elezione a deputato (25 genn. 1868) e per il resto della legislatura il collegio di Alba venne rappresentato dall'avvocato Alerino Como, eletto il A febbraio dello stesso anno.
Tornato alla Camera il 20 nov. 1870, partecipò con un discorso di ampio respiro alla discussione della legge sulle "guarentigie".
A quanti non accettavano la separazione della Chiesa dallo Stato e ritenevano quindi impossibile dare garanzie al pontefice circa la sua sovranità spirituale, il C. rispose il 25 genn. 1871 dando al suo intervento una articolazione e un taglio di evidente ispirazione cavouriana, osservando "Noi che abbiamo sancita la libertà di coscienza, e pretendiamo che quei penetrali siano sottratti ad ogni investigazione, noi che abbiamo consacrata la libertà del pensiero, della parola, di tutte le opinioni; noi i quali non cerchiamo quale sia l'indirizzo e quale la natura della scienza; che riconosciamo a tutti la libertà di riunirsi, di associarsi; noi i quali alla libera esplicazione di tutte le forze che sono negli individui non abbiamo posto che un freno solo, una condizione sola, quella di non ledere la libertà altrui, non potremo seguitare a mantenere codeste prerogative e diritti dell'autorità civile, noi potremo ancora alla grande associazione cattolica dire: vi daremo i vostri capi e conserveremo il diritto che ha il governo alla presentazione dei vescovi? Noi non ammetteremo i vescovi a godere della loro temporalità, se prima non avremo osservato le bolle colle quali il pontefice li abbia nominati? Noi faremo intervenire in tutte le comunicazioni che dal centro supremo della fede cattolica si diffondono pel mondo quel diritto di preventiva considerazione che abbiamo respinto?".
Rieletto deputato l'8 nov. 1874 per la dodicesima legislatura, il C. venne eletto vicepresidente della Camera il 13 marzo 1876 all'inizio della seconda sessione (al posto del Peruzzi che si era dimesso il 10 marzo), ma conservò la carica soltanto per pochi giorni perché fu chiamato da Depretis il 25 marzo a reggere la Pubblica Istruzione nel primo ministero della Sinistra. In questa scelta del Depretis c'era la volontà di utilizzare la lunga esperienza acquisita dal C. come membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e del Parlamento e come ministro, ma anche la stima per un collaboratore che aveva partecipato alla redazione del programma annunziato a Stradella il 10 ott. 1875.
Ministro dell'Istruzione esattamente per due anni, nel primo e nel secondo ministero Depretis (25 marzo 1876-26 dic. 1877 e 26 dic. 1877-24 marzo 1878), il C. mise a frutto le precedenti esperienze di Bargoni (1869), di Correnti (1872) e di Scialoja (1874), autori di altrettanti progetti di riforma della scuola elementare non giunti a conclusione. Egli preparò in pochi mesi un progetto in nove articoli che riassumeva pochi essenziali principi: l'obbligatorietà dell'istruzione elementare inferiore, la sua gratuità, la aconfessionalità. La legge sarebbe stata applicata gradualmente a seconda della disponibilità di insegnanti, secondo un rapporto determinato fra docenti e popolazione del comune. Per gli inadempienti erano previste ammende da So centesimi a 10 lire, inflitte dalla Giunta comunale con possibilità di appello al pretore. Il Consiglio scolastico avrebbe dovuto richiamare i comuni all'adempimento di quanto prescritto circa l'istituzione delle scuole e avrebbe dovuto invitare la Deputazione provinciale ad impostare d'ufficio la spesa necessaria nei bilanci comunali secondo quanto previsto dalla legge comunale (artt. 116 e 141) e dalla legge Casati (titolo V).
Dalla relazione premessa al disegno di legge Sull'obbligo dell'istruzione elementare, presentato alla Camera il 16 dic. 1876, si possono ricavare molti dei principi ai quali il C. ispirò la sua politica scolastica. Consapevole del diffuso timore che l'istruzione potesse costituire un motivo di indebolimento del tessuto sociale perché rendeva gli individui più critici, e quindi meno docili, nei confronti dell'autorità. il C. pose il problema ai legislatori: "o le scuole, egli osservava, contengono in sé una minaccia pel nostro avvenire, e non resta se non sopprimerle; o sono la forza più poderosa per affrettare il miglioramento civile, e ne viene conseguenza di procacciar loro la maggiore efficacia possibile, non soltanto con l'accrescerne il numero, ma anche col renderle più frequentate".
Il C. sapeva bene che "la questione delle scuole [era] anche una questione sociale" - come aveva scritto nel 1872 Pasquale Villari per mettere in guardia la classe politica sul pericolo di diffondere l'istruzione senza modificare adeguatamente la società - e perciò inseriva il processo di alfabetizzazione del paese in un generale programma di rinnovamento e di crescita liberale. Sviluppo dell'istruzione e trasformazione del paese venivano così a costituire due momenti inseparabili di un unico processo innovatore, poiché come la diffusione del sapere senza un serio rinnovamento della società poteva causare una violenta rivoluzione sociale, così le riforme attuate senza preparazione non sarebbero penetrate nei costumi e sarebbero rimaste alla superficie "a modo di piante senza radici". Noi dobbiamo senza avventataggini e senza imprudenze, ma anche senza timori prestabiliti e con fede aperta nelle idee, che degli altri fecero la grandezza e la forza, risolverci a svecchiare dal fondo il nostro paese, inoculandogli, se così si può dire, i germi di un processo omogeneo e di pacifico e ordinato risorgimento... Dove, per forza di tradizioni tenaci, è tardo e restio lo svolgimento della coscienza religiosa, la scuola rimane l'unico mezzo di elevar gli uomini alla pari colle istituzioni liberali e di mettere nel modo di pensare e nell'animo di tutti il fondamento di riforme che altrimenti non penetrano nei costumi e rimangono alla superficie a modo di piante senza radici".
L'iter parlamentare del disegno di legge presentato dal C. fu molto breve: la commissione incaricata dell'esame presentò il 19 febbr. 1877 la sua relazione che approvava i principi ispiratori della legge e la prudenza del C. nell'aver limitato l'obbligo scolastico a nove anni, ma mosse alcuni rilievi al progetto ministeriale circa i tempi di attuazione della legge, la proporzione tra abitanti e numero di insegnanti e le pene "indirette" per gli inadempienti. Al termine della discussione, durata dal 5 al 10 marzo, la Camera approvò la legge con 208 voti favorevoli e 20 contrari. Il Senato l'approvò con 63 sì e 9 no il 4 giugno 1877 con qualche modifica: i nove articoli diventarono tredici e nell'art. 2 la dizione "le prime nozioni della morale" fu sostituita da "le prime nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino".
Al C. va riconosciuto l'indubbio merito di essere riuscito a far approvare, in tempi brevi (15 luglio 1877), una legge che, con tutti i suoi limiti, segnò un momento decisivo nella trasformazione delle istituzioni scolastiche in Italia e rappresentò una delle manifestazioni più concrete di quella volontà di rinnovamento che la Sinistra depretisiana mostrò di possedere almeno fino all'approvazione della riforma elettorale, così strettamente legata alla legge sull'obbligo scolastico, come lo stesso C. non mancò di sottolineare. La "cautela estrema" (per dirla con A. Labriola) con cui si mosse il C. e che contribuì logicamente ad allargare l'ampiezza dei consensi e a consentire una certa rapidità all'iter legislativo, è facilmente riscontrabile, oltre che nella limitatezza dell'obbligo e nella gradualità dell'applicazione (sull'esempio di quanto era stato fatto in Gran Bretagna con l'"Elementary Education Act" del 9 ag. 1870 "posto in pratica a poco a poco", come ricordò il C.), nella possibilità riconosciuta ai comuni di istituire scuole a pagamento per coloro i quali volevano proseguire gli studi, che rischiava di produrre pericolose divisioni di classe all'inizio del processo educativo:
"La gratuità fa fuggire dalle scuole comunali la classe più agiata (si poteva leggere nella citata relazione del C. al disegno di legge); io non vedo che, quando un comune ha istituito scuole gratuite in numero sufficiente ai bisogni della popolazione, gli si possa contendere, colle leggi che abbiamo, di aprirne, se gli aggrada, anche a pagamento... la tassa può essere giustificata anche meglio andando a cadere sopra di quella classe sociale che intende di far progredire i figli negli studi e che delle scuole si serve per avviarli a una professione".
Ancora ministro dell'Istruzione nel terzo ministero Depretis (19 dic. 1878-14 luglio 1879), il C., dopo le dimissioni di D. Farini (19 marzo 1880), venne eletto in competizione con G. Zanardelli, il 13 apr. 1880, presidente della Camera, qualche settimana prima che venisse chiusa (con decreto del 2 maggio) la tredicesima legislatura. Dimessosi nuovamente D. Farini il 12 marzo 1884 (quindicesima legislatura) il C. fu ancora eletto, questa volta contro B. Cairoli, all'alta carica (iq marzo 1884) che tenne, però, per soli quindici giorni, essendo stato chiamato da Depretis (quinto ministero) il 30 marzo a reggere la Pubblica Istruzione, dicastero che diresse ininterrottamente nei due successivi ministeri Depretis (29 giugno 1885-4 apr. 1887 e 4 aprile-7 luglio 1887) e nel ministero Crispi, fino al 17 febbr. 1888. In questo secondo periodo di permanenza alla Pubblica Istruzione, meno noto dei precedente, e tuttavia ricco di prese di posizione e di iniziative legislative di non trascurabile rilievo, il C. non cessò di cercare di migliorare le condizioni dei maestri, assicurando loro un più civile trattamento economico e una maggiore stabilità nel posto di lavoro (proseguendo, nel 1884 la strada iniziata con la legge 9 luglio 1876), allargando il problema agli altri docenti e agli altri gradi di istruzione, dall'ordinamento degli asili di infanzia (approvato dal Senato il 20 dic. 1887) all'ordinamento dell'Istruzione secondaria classica (approvato il 28 genn. 1888). Ma il problema principale, che finiva per condizionare tutti gli altri già ricordati, era, negli anni Ottanta, quello del ruolo e dei limiti dell'intervento dello Stato nel campo dell'istruzione e, in genere, nel mondo della cultura. Il C., che non fu mai un sostenitore dei monopolio statale della scuola ("Io non penso che l'insegnamento privato sia un nemico, un avversario, un rivale dell'insegnamento pubblico. Io lo desidero" aveva dichiarato alla Camera il 22 maggio 1876). Era, però, fermamente persuaso della necessità da parte di uno Stato di recente formazione come quello italiano, con un consenso ancora incerto e una opposizione interna con radici profonde ed estese, di pubblicizzare ed esaltare i valori sui quali era sorto. Rientravano in questa "politica culturale" la erezione di un monumento a Quintino Sella a Roma (che il C. voleva presso l'Accademia dei Lincei e che sorse invece, per una decisione parlamentare, dinanzi al ministero delle Finanze), la proposta di erigeme uno a Mazzini (che, approvata, dai due rami del Parlamento nel 1890, venne realizzata soltanto nel 1949), il patrocinio di una edizione nazionale delle opere di Galilei e l'istituzione di una cattedra dantesca a Roma con una legge, come disse lo stesso C., che "carezza[va] intendimenti civili e nazionali" (1887).
Rientravano in questa ottica, ma con un respiro ben più ampio ed una impostazione di rara preveggenza, sia la legge 14 luglio 1887 sui monumenti di Roma, mirante a salvaguardare la zona archeologica meridionale della capitale, sia il disegno di legge sulla conservazione dei monumenti e degli oggetti d'arte e d'antichità che affrontava il problema della funzione spettante allo Stato nella difesa del patrimonio artistico.
"Quando s'intenda bene essere fine di questa legge (disse C. al Senato, durante la discussione del disegno di legge, dal 31 genn. al 6 febbr. 1888) il non permettere che il monumento, il quale abbia valore artistico o storico, scompaia dal nostro paese; che rimanga incolume ogni anello della catena onde si forma la nostra tradizione storica ed artistica; quando si consideri che uno di questi monumenti appartiene a tale il quale vi dice che vuole distruggerlo o alterarlo, è permesso di negare che qui sia il caso di un'utilità pubblica, la quale muove il Governo a volere che danno simile non si arrechi né alla nostra arte. né alla nostra storia?".
L'art. 13 del disegno di legge prevedeva, infatti, l'esproprio nei casi in cui il proprietario insistesse "per ottenere la facoltà di distruggere o alterare il suo edificio o, richiamato a provvedere alla sua conservazione", vi si rifiutasse o di fatto non vi provvedesse. Ma, agli oppositori del C. parve che, se si fosse concesso alla pubblica autorità di ordinare "di ristaurare tutta una facciata" ovvero di verificare "in quanti scompartimenti" si dividesse una grande sala, si sarebbe turbata o distrutta "la libertà che ciascuno ha nell'uso dei propri possessi". La bocciatura del disegno di legge (8 febbr. 1888) portò alle dimissioni del C. il quale, nonostante non fosse stato sostenuto da Crispi che guidava la compagine ministeriale, gli si mantenne fedele ancora per gran parte degli anni Novanta, fino ed oltre la drammatica conclusione della prima guerra di Africa con la sconfitta di Adua e la conseguente caduta dello statista siciliano.
Ma quando fu chiaro l'intento di procedere ad un restringimento delle libertà politiche il C. non esitò a schierarsi decisamente con l'opposizione liberale e a lui e a Zanardelli si diede incarico il 1° luglio 1899 "di riunire i maggiori uomini di parte liberale per concretare le linee del futuro programma politico ed economico" del partito democratico-costituzionale, come scrisse Zanardelli a Giustino Fortunato il 3 luglio 1899 (G. Fortunato, Carteggio1865-1911, a cura di E. Gentile, Bari 1978, pp. 57 s.).
Ancora una volta, il 26 giugno 1900, il C. affrontò la prova elettorale nel suo collegio di Alba, che mai aveva abbandonato, raccogliendo il consenso di tutti i 1709 votanti, e, coerentemente con il programma liberal-democratico, votò il 22 giugno 1901 a favore del governo Zanardelli nato il 15 febbraio. Il 25 ag. 1901 si spense a villa Rivoli, nei pressi di Alba.
Fonti e Bibl.: Una attenta ed organica raccolta di scritti del C. da quelli giovanili ai più significativi interventi parlamentari, dalle relazioni promesse a disegni di legge a discorsi agli elettori e oraz. commemorative è stata di recente curata da A. A. Mola (M. C. 1822-1901. Scritti e discorsi, Alba 1978) con un'ampia introd. (Alle radici delloStato laico. Saggio su una retorica politica) che costituisce un pensato profilo biografico del C., con utili indicazioni archivistiche e bibliografiche. Per la produzione letter. giovanile del C. si rinvia al Museo scientifico letterario artistico (1848), alla Riv. contemporanea (dal 1853 al 1856) e a F. Bosio, Poesie di illustri italiani contemporanei, Milano 1865. Nel Museo centrale del Risorgimento di Roma esistono ventitré lettere del C. a P.S. Mancini, D. Farini, F. Sprovieri e altri, prevalentemente degli anni Settanta e Ottanta (rispettivamente nelle buste 607/15, 672/76, 287/54, 307/51, 508/17, ecc.) e dodici lettere al C. di F. Sprovieri, Q. Sella (in copia), P. Sbarbaro, A. Oliva, A. Depretis, G. Carducci e altri degli anni Settanta e Ottanta (rispettiv. nelle buste 506/31, 509/14 611/34, 611/37, 387/74, 388/52, 345/43, ecc.). Per altre indicazioni archivistiche (Museo nazionale del Risorgimento di Torino e Biblioteca nazionale di Firenze) si rinvia al volume cit. del Mola (p. 60). Per alcuni dati biogr. è utile il fascicolo M. C. nelle Carte del Ministero della Pubblica Istruzione. Personale, depositate pesso l'Archivio centrale dello Stato. Notizie sul C. ancora vivente sono in M. Lessona, Volere è Potere, Firenze 1872; A. De Gubernatis, Ricordi biografici M.C., in Riv. europea, IV (1873), 4, pp. 74-83, e Diz. biogr. degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, s.v.; V. De Castro, F. De Sanctis, M.C. e le cinaue piaghe della scuola popolare in Italia, Milano 1879; A. Verona, M.C., in Il Risorgimento ital. Biografie storico-politiche di illustri ital. contemporanei, a cura di L. Carpi, III, Milano 1886, pp. 323-328; D. D'Amato, M.C., in Cenni biogr. d'illustri uomini politici e dei più chiari scienziati, letterati ed artisti, I, Napoli 1887; T. Sarti, M.C., in Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, s.v. Tra le commemor. si ricorda anzitutto quella pronunziata da T. Villa alla Camera dei deputati il 27 nov. 1901 (Mola, pp. 552 ss.). E poi: S. Sacerdote, Commemor. di M.C., Fossano 1902 (poi in Conferenze e commemorazioni, Torino 1905, pp. 139-174); T. Galimberti, Commemor. di M. C. in Alba, 20 settembre 1902, Pinerolo 1903, e venti anni dopo, il discorso pronunziato da M. Soleri, il 18 giugno 1922, all'inaugurazione del monumento al C. in Alba (In memoria di M.C., Alba 1923). Un profilo del C. è in A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, II, Da Aspromonte a Mentana, Napoli 1957, pp. 309-323, con bibl. per aspetti particolari vedi A. Raimondo, Un poeta del Risorgimento, in Sentinella delle Alpi, 26 ott. 1914; E. Bormida, Il ministro M. C., in A. Bellone, Gli uomini illustri di Alba Pompeja, Alba 1922, pp. 137-143; G. Vidari, Educazione nazionale, III, Problemi di educazione. Figure di educatori, Torino 1929, pp. 196-221; L. Collino, Il ministro del re, in Leggende e figure piemontesi, Torino 1930, pp. 151 s. Per la ricostruzione dell'attività politica del C. sono da tener presenti: G. Carocci, A. Depretis e la Politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 115, 246, 310 s., 574, 639; A. A. Mola, Stampa e vita pubblica di provincia nell'età giolittiana, 1882-1914, Milano 1971, pp. 27 n., 60 e n., 127, 161, 172 n., 193 n., 196, 352. Per i rapporti fra il C. e la massoneria: Id., Storia della massoneria ital. dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, pp. 52, 93, 115, 136, 189, 238, 267. Sull'attività di C. come ministro della Pubblica Istruzione si rinvia anzitutto a L. Borghi, Educaz. e autorità nell'Italia moderna, Firenze 1951, ad Indicem; D. Bertoni Jovine, Storia della scuola Popolare in Italia, Torino 1954, ad Indicem; Id., La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, Roma 1967, in particolare le pp. 33 s., 44, 46, 86, 90, 92, 150-52; T. Tomasi, L'idea laica nell'Italia contemporanea, Firenze 1971, pp. 24-29. Hanno segnato un rinnovamento degli studi di storia della scuola negli anni Settanta, oltre a G. Vigo, Istruzione e sviluppo econ. in Italia nel sec. XIX, Torino 1971; G. C. Lacaita, Istruzione e sviluppo industriale in Italia, 1859-1914, Firenze 1973, (in particolare il cap. II, Lo sviluppo dell'istruzione elementare, pp. 31-50, e il cap. III, L'istruzione secondaria, pp. 51-107); G. Ricuperati, La scuola nell'Italia unita, in Storia d'Italia, V, 2, Torino 1973, pp. 1695-1736; M. Barbagli, Disocc. intellettuale e sistema scolastico in Italia, 1859-1973, Bologna 1974. Cap. III, La formazione del sistema scolastico nazionale, pp. 69-112. Non mancano notizie sul C. in alcune recenti pubblicazioni: G. Inzerillo, Storia della polit. scolastica in Italia, Roma 1974, pp. 75 s.: G. Natale-F.P. Colucci - A. Natoli, La scuola in Italia. Dalla legge Casati del 1859 ai decreti delegati, Milano 1975, pp. 43 s.; G. Perugi, Educaz. e politica in Italia, 1860-1900, Torino 1978, introd. pp. 9-34, con bibl. In particolare sul C. e la sua opera nel processo di alfabetizzazione, vedi la relazione su Istruz. obbligat. ed estensione del suffragio, tenuta da G. Talamo al XLIX Congr. di storia del Risorgimento italiano, svoltosi a Viterbo dal 30 settembre al 5 ott. 1978 (ora in Stato e società dal 1876 al 1882... Roma 1980, pp. 59-110); E. De Fort, Storia della scuola elementare in Italia, I, Dall'Unità all'età giolittiana, Milano 1979, soprattutto pp. 56, 57 n., 90 e n., 91 s., 94 e n., 98, 100, 105, 110, 113, 115, 123, 154, 169, 178, 197, 204 s., 219; E. Catarsi, Il ministro M.C. e l'istruzione elementare, in Studi di storia dell'educazione, I (1980), pp. 28-48, con bibl.