CERVELLONE, Michele
Nacque a Messina da Pietro e Diana d'Amico poco prima del 1570.
Ancora molto giovane lasciò la Sicilia per arruolarsi come soldato di ventura negli eserciti spagnoli, nelle file dei quali combatté per anni soprattutto nelle Fiandre e in Piemonte. È tuttavia soltanto dal 1601 che le sue tracce si possono seguire con una certa precisione. A Madrid, sul finire di quell'anno, attraverso il segretario del governo Juan de Indiáquez, il C. riuscì a conoscere il duca di Lerma, primo ministro di Filippo III. A questo raccontò di essere stato prigioniero a Costantinopoli, dove aveva conosciuto il famoso Scipione Cicala, rinnegato cristiano di origine messinese che, al comando della flotta turca, correva in quegli anni il Mediterraneo. Al C. il cicala avrebbe esposto il proposito di tornare in Occidente, rifugiandosi nella natia Messina nel corso del 1602 con navi, tesoro e famiglia a condizione che il re cattolico gli avesse assicurato l'impunità. Per quanto possa sembrare incredibile, il duca di Lerma prestò fede al racconto del C., cui fece consegnare subito 500 ducati, invitandolo contemporaneamente a recarsi a Costantinopoli al fine di preparare adeguatamente la defezione del Cicala. Dispacci reali ingiunsero al viceré di Sicilia duca di Maqueda e al facente funzioni di viceré di Napoli Francisco de Castro di agevolare il passaggio in Levante del C., che vi si recava sotto il pretesto di riscattare un suo cugino Giuseppe. Al Maqueda, che doveva consegnare al C. altri 500 ducati, un secondo messaggio in cifra spiegava il vero motivo del viaggio.
Partito da Madrid il 26 dic. 1601 e giunto a Napoli il 12 marzo 1602, il C. ripeté tranquillamente la storia della sua prigionia costantinopolitana e i della prossima fuga del Cicala al de Castro che, meno ingenuo del duca di Lerma, lo fece subito rinchiudere, insieme con il fratello Francesco che viaggiava con lui, nelle carceri di Castel Nuovo. Una breve inchiesta permise di accertare la totale infondatezza del racconto del C. e per ottenere da lui ulteriori informazioni il de Castro chiese a Madrid il permesso di ricorrere alla tortura. Dalla capitale, il 17 ott. 1602, partì su suggerimento dell'Indiáquez l'ordine di continuare a indagare sul conto del C., tenendolo sempre prigioniero, ma evitando di ricorrere alla tortura. In Castel Nuovo intanto il C. conobbe Tommaso Campanella e gli altri imputati della sua congiura, per la liberazione di uno dei quali, Niccolò Napolella, assicurò anche, il 9 luglio 1602, la fideiussione di 25 once d'oro.
Dopo l'arrivo della lettera reale del 17 ott. 1602 il C. fu inviato alla galera, dalla quale dovette riuscire tuttavia in breve tempo a evadere e a rimettersi in contatto col Campanella. Infatti il conte di Benavente, nuovo viceré di Napoli, il 2 nov. 1603 ordinò ai consiglieri Salamanca e Quiros di occuparsi del processo a carico del C., imputato della propria fuga dalla galera e di collaborazione nel tentativo di evasione del Campanella da Castel Nuovo. La condanna lo relegò in galera per una decina di anni, al termine dei quali ricomparve a Madrid. Qui l'accoglienza fu diversa dalla volta precedente, perché il C. si vide condannare a ulteriori due anni di prigione, che però poté scontare nel domicilio coatto costituito dalla casa di un alguacil di corte.
Tornato in Italia, incappò in un altro periodo di detenzione, questa volta di quattro anni, a Finale Ligure sotto l'accusa di essere una spia al soldo dei Turchi. Si trasferì quindi a Milano e poi a Bologna, dove risiedette nove mesi al tempo della peste del 1630. Poco dopo si stabilì a Roma, dove ebbe modo di riprendere i contatti col l'ambiente degli oppositori del governo spagnolo a Napoli. Fu appunto con alcuni di questi che prese parte all'impresa più sfortunata della sua carriera di avventuriero, la congiura di fra' Tommaso Pignatelli.
Questo giovane domenicano lo conobbe attraverso il calabrese Antonio Maria Pepe, cui lo stesso C. aveva confidato di possedere la ricetta di un potente veleno che, sparso sugli abiti della vittima prescelta, la conduceva a sicura morte nello spazio di pochi giorni. Il Pignatelli pensò di utilizzare questo tipo di veneficio per eliminare con poca fatica il conte di Monterey, viceré di Napoli, e i più alti funzionari del governo spagnolo nel Regno. Svelò quindi il suo folle piano al C., che vi aderì prontamente con l'evidente intenzione di vivere un po' di tempo alle spalle del Pignatelli. Dopo un breve viaggio in Basilicata (forse presso Giulio Pignatelli, principe di Noia e padre naturale del domenicano), i due congiurati si stabilirono a Napoli nella primavera del 1633. Il C. cercò di guadagnare tempo con la scusa che per la preparazione dell'antidoto del veleno gli occorrevano certi frutti selvatici che si raccoglievano in gennaio: nel frattempo egli si sarebbe dedicato alla realizzazione di un suo esperimento per la solidificazione dell'argento vivo col quale si sarebbe potuta finanziare ulteriormente la congiura. A questo scopo l'ingenuo Pignatelli lo spedì a Pozzuoli, dove il C., a spese del frate, trascorse vario tempo nella ricerca dell'"erba mercurella". Nel corso dell'estate però il Pignatelli compì il passo falso decisivo della sua impresa, confidandosi con un tal Pompeo Mazza, capitano disoccupato, che per un comando in Puglia svelò il progetto alle autorità.
Il 14 ag. 1633 il Monterey ordinò allo stesso Mazza di arrestare il C. a Pozzuoli e il giorno dopo fece trasportare da ben duecento birri il Pignatelli in Castel Nuovo. Appena catturato il C. ebbe la presenza di spirito di chiedere e ottenere salva la vita in cambio di una completa confessione, dalla quale il Monterey contava di trarre gli elementi necessari a orchestrare una campagna di proteste nei confronti delle manovre di Urbano VIII e della Francia contro il dominio spagnolo in Italia. Il C. fu largo di rivelazioni: fece il nome degli altri complici, chiamò in causa il Campanella, l'ambasciatore di Francia a Roma e perfino il principe Taddeo Barberini, al quale si attribuivano mire personali su una parte dei territori spagnoli dell'Italia meridionale. Dopo la confessione il C. rientrò nell'ombra.
Il suo processo fu affidato dal viceré ai consiglieri Esguerra e Muñoz (29 ag. 1633) e tenuto separato da quello del Pignatelli, che fu condotto da un giudice ecclesiastico tra le continue difficoltà interposte da Roma. Il 17 settembre fu convocato a Napoli come testimone Iacopo Guida, un artigliere del castello di Baia che aveva visto il C. raccogliere erbe. Fu inquisito anche Pascual López y Coronel, protomedico del Regno sotto il duca di Alcalá, predecessore del Monterey, col quale il C. aveva fatto conoscenza a Pozzuoli, presentandosi come "chimico". Il 7 luglio 1634 il viceré ordinò all'Esguerra di procedere alla definizione del processo del C., che fu anche sottoposto alla tortura per "purgare il vitio della complicità". Il C. assisté poi, insieme con il Pepe (nel frattempo estradato da Roma), all'ultima deposizione fatta dal Pignatelli poco prima dell'esecuzione della sentenza capitale (6 ott. 1634). Dopo la morte del principale imputato il processo ai complici segnò il passo. Alla data del 13 , dic. 1634 il nome, del C. si trova incluso tra quelli dei carcerati poverissimi che venivano nutriti con sette piccoli pani al giorno a spese del governo. Il 9 apr. 1635 il viceré gli consentì di confessarsi e comunicarsi, ma soltanto con l'assistenza di sacerdoti nominati dal cappellano maggiore del Regno.
Passarono ancora più di tre anni prima che il duca di Medina las Torres, nuovo viceré, affidasse, il 12 maggio 1638, a una speciale giunta presieduta dal consigliere Varela il compito di decidere il destino dei complici del Pignatelli. Il 4 febbr. 1640 lo stesso viceré procedette a un allargamento della giunta che portò finalmente alla pronuncia di una sentenza di condanna del C. al carcere perpetuo (1º marzo 1640). Il 25 aprile dello stesso anno gli fu assegnato come luogo di pena il castello di Baia. Il successivo 8 giugno il percettore della vicaria ebbe ordine di continuare a pagare al C. il "reale di soccorso", cioè il vitto a spese dell'amministrazione previsto per i carcerati poveri.
Questa è l'ultima notizia pervenutaci sul conto del Cervellone.
Bibl.: Sulla biogr. del C. il lavoro più accurato, basato su attente ricerche d'arch. in Italia e Spagna, è quello di L. Amabile, Fra Tommaso Pignatelli. La sua congiura e la sua morte, Napoli 1887, pp. X nota c, XXIV, 23-31, 35-37, 43-48, 54-59, 63, 68 s., 77, 87 s., 98, 107-110, 118-121, 129 s., 134, 147, 159, 163 s., 165, 170, 172-175, 181, 183; Appendice, pp. 11 s., 27, 34, 36, 40, 48, 54 s., 57, 58, 62-64, 67-69, 71-73, 76, 79, 80. Sul C. si vedano inoltre: L. Amabile. Fra Tommaso Campanella. La sua congiura,i suoi processi ela sua pazzia, II, Napoli 1882, p. 270; G. de Blasiis, Un doc. ined. della congiura di fra Tommaso Pignatelli, in Arch. stor. per le prov. nap., X (1885), pp. 367-369, 373, 374, 376; L.Amabile, Fra Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli,in Roma ed in Parigi, Napoli 1887, I, pp. 4-6; II, pp. 3, 157.