CASATI, Michele
Di famiglia gentilizia, nacque a Milano da Giovanni Paolo e da Margherita Visconti il 29 ott. 1699. Vestì l'abito teatino in S. Antonio a Milano ed emise la professione religiosa il 30 genn. 1716. Compì gli studi ecclesiastici a Verona, dove fu ordinato sacerdote il 3 dic. 1723 da mons. Marco Gradenigo. A Verona insegnò filosofia e cominciò a distinguersi come sacro oratore. Destinato nuovamente a Milano lettore di teologia dei chierici teatini in S. Antonio, ebbe modo di dare anche lezioni private di geometria, fisica e lingua greca. Annoverò tra i suoi discepoli Maria Gaetana Agnesi, il teatino Giovanni Girolamo Gradenigo poi arcivescovo di Udine, Anton Maria Erba Odescalchi poi cardinale e vicario di Roma, Antonio Eugenio Visconti poi nunzio a Vienna e cardinale. È di questo periodo una sua Orazione funebre sulla morte del marchese Ercole Pio Montecuccoli maresciallo di S. M. C. e comandante gen. dell'arme in Lombardia, pubblicata a Firenze nel 1735 e poi inserita tra i Discorsi sacro-morali, istruzioni, orazioni funebri e panegirici, IV, Torino 1787, pp. 218-236.
Con patenti del 29 luglio 1739 fu assunto all'università di Torino professore di filosofia morale, cattedra istituita solo allora anche per interessamento di L.A. Muratori.
La sua chiamata coincideva con l'allontanamento del domenicano Tommaso Crust dalla cattedra di teologia (giubilato il 6 ag. 1739)e il licenziamento dal magistrato della Riforma del savoiardo ab. Pierre Mellarède, entrambi considerati filogiansenisti, troppo spinti nel contrasto tra la tendenza universitaria tomista e antibenignista, e quella favorevole ai gesuiti e all'ultramontanismo.
L'insegnamento del C. non si distinse per originalità, ma per chiarezza e moderazione. L'antiaristotelismo e l'anticartesianesimo, gli spunti polemici contro Hobbes e Pufendorf sul terreno giusnaturalista manifestano tuttavia un largo sustrato scolastico e tomista (nella Bibl. naz. di Torino, ms. K³ -IV-34, si conservano le sue Institutiones Philosophiae moralis).
Nel 1749 (con regie patenti del 15 settembre) gli fu affidata la cattedra di teologia morale. Sia nella filosofia che nella teologia morale ebbe a successore il barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil.
Il 12 dic. 1753 fu nominato vescovo di Mondovì da Carlo Emanuele III, in coerenza con la politica ecclesiastica già delineata da Vittorio Amedeo II, tendente a porre nelle sedi vescovili prelati della cerchia universitaria torinese. Preconizzato il 1° apr. 1754, fu consacrato a Roma il 7 aprile dal card. Guidobono Cavalchini e il 29 giugno fece il solenne ingresso a Mondovì.
Appena in sede dovette interessarsi del conte Francesco Dalmazzo Vasco, allora ventiduenne, rinchiuso nel forte di Ceva per uno dei suoi "puntigliosi" "impegni" (Duilios p. 3)e colpito da una gravissima infiammazione a un occhio "con pericolo di perderlo" (mons. C. al ministro degli Affari Interni, Mondovì, 7 luglio '54). Ilvescovo si lusingava di potere indurre il giovane "ad impiegar meglio quel talento di cui era fornito".
La prima lettera pastorale al clero e al popolo, sottoscritta da Mondovì, delinea alcune di quelle che sarebbero state le linee programmatiche del suo governo: cura della catechesi, riordinamento degli studi seminaristici e disciplina del clero (lett. 30 sett. '54, in Raccolta di lettere pastorali dell'illustrissimo... mons. M. C., Torino 1778, pp. 25-30). La prassi catechistica a Mondovì era già "assai bene stabilita" (ibid., p. 27). grazie soprattutto alle iniziative dei filippini monregalesi, e in particolare di Giov. Andrea Corderi (1649-1732) e Giov. Battista Trona (1682-1750). Nel 1765 il C. pubblicò a Mondovì, a uso della propria diocesi, un Compendio della dottrina cristiana.
Redattore ne fu molto probabilmente il canonico monregalese Giuseppe Giaccone. Il testo rispecchia la cura a scegliere quanto era "dottrina della Chiesa universale", liberata dalle "private dottrine di teologi, ancorché cattolici" (lett. 28 luglio 1761, in Raccolta, p. 73). Ne risultò una catena di formule concise, tali da essere mandate a memoria, espressioni calibrate, ma talora fatte di termini astratti e tecnici, fuori del linguaggio corrente. Sue fonti risultano essere il catechismo del concilio di Trento, quelli del Bossuet, del Colbert, di mons. Pierre Biord vescovo di Annecy e, in minima parte, la Dottrina del Bellarmino. Di quest'ultima però il C. apprezzava il felice uso delle similitudini (Discorsi, II, p. 191).
Gradatamente il Compendio del C. soppiantò il Bellarmino e i vari catechismi diocesani in Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Sardegna. Dopo l'abbandono del catechismo napoleonico divenne il più diffuso compendio catechistico d'Italia. All'unificazione nazionale corrispose quella della catechesi, e il catechismo del C. finì per essere il fondo dottrinale e letterario di quello di Pio X.
Ugualmente tempestive furono le misure del C. per il riordinamento della formazione ecclesiastica. Oltre che a eliminare abusi egli mirava a formarsi una larga base diappoggio all'indirizzo pastorale antibenignista. Licenziò quasi tutti gli antichi seminaristi e ricominciò con un nucleo di una ventina, portati a circa un centinaio già attorno al 1760. Nel 1758 dispose che quanti non avevano domicilio paterno dovevano risiedere in appositi convitti a Mondovì e a Cuneo, o nel se minario monregalese. Era proibito al chierici alloggiare in locande o pensioni (lett. ai parroci, 24 sett. 1758, in Raccolta, pp. 56-59). Frattanto compiva la visita pastorale (cominciata il 17 maggio 1755) e nel 1763 poteva dare prova delle proprie doti di governo portando a compimento la costruzione della chiesa cattedrale, intrapresa nel 1743, e radunando il sinodo diocesano dal 1° al 3 sett. 1763.
Le disposizioni sinodali relative al popolo rispecchiano la tendenza riformatrice espressa da L. A. Muratori nel trattato Della regolata divozion de' cristiani (1747). Più che raccolta di denaro per solennizzare celebrazioni locali, il C. vuole opere di carità fattiva: tante collette "si rendono troppo gravose al popolo e apportano molestia e disturbo a' fedeli raunati nelle chiese per far orazione o per assistere a' divini misteri e finalmente privano i poveri di que' sussidi più abbondanti, che sarebbero loro accordati da molte persone caritatevoli, se non si trovassero aggravate da collette così frequenti per chiese, per oratori, per cappelle e per le feste particolari, che si celebrano dalle confraternite e compagnie" (Avvisi alle confraternite e compagnie..., in append. a Synodus Montis Regalis..., Monte Regali [1763], pp. 218 ss.). Il sinodo commina pene riservate al vescovo contro i carradori che nei giorni festivi eseguiscono trasporti in città durante le funzioni religiose e contro quanti stanno in bettole e osterie durante la messa, i vespri e la catechesi parrocchiale (p. 73). Pene canoniche furono stabilite per i preti che praticavano il commercio o che non vestivano l'abito talare nel tempo delle sacre funzioni festive.
In effetti il governo pastorale dei C. tendeva a un mutamento verso un certo rigore dottrinale e disciplinare, contrario al molinismo e al benignismo probabilista. In una delle prime lettere al clero il C. raccomandò la Summa di s. Tommaso e per le soluzioni di casi pratici indicò abbastanza chiaramente che bisognava seguire il probabiliorismo (lett. 12 maggio 1755, in Raccolta, pp. 41 s.). Poi via via giunse a suggerire i trattati teologici e i commenti biblici del domenicano Noël Alexandre e la stessa Bibbia tradotta dal Sacy (lett. 21 nov. 1767 e 13 giugno 1775, in Raccolta, pp. 134 s., 267).
I preti diocesani dovevano riunirsi mensilmente a gruppi: non secondo le tradizionali foranie (talora geograficamente mal distribuite e quasi intoccabili per ragioni storiche ed economiche), ma secondo regioni appositamente create in base a considerazioni funzionali e sotto la responsabilità di presidi. La stessa volontà di riordinamento pratico portò al passaggio di alcune parrocchie dalla diocesi di Asti a quella di Mondovì nel 1768, grazie anche all'amicizia del C. con il vescovo di Asti, Paolo Caissotti.
Tra il 1°sett. 1766 e il maggio 1769 il C. dovette interessarsi del cav. Nicola Vasco fratello del conte Francesco Dalmazzo. Dopo il fallito arruolamento di armati in aiuto dei patrioti corsi il cav. Nicola era detenuto nella cittadella di Mondovi. "in una prigione freddissima e inaccessibile ai raggi del sole e senza fuoco" (lettera del C. al ministro degli Affari Interni, Mondovì, 17 marzo '67). Coadiuvato dal preposto dei filippini, Matteo Murisasco, e da mons. Caissotti, il C. ottenne che il Vasco venisse trasferito nel convento dei domenicani di Cherasco (lettera del C. al ministro degli Affari Interni, 8 sett. 1768)e, dopo un semestre, che lo si lasciasse a Cigliano, ospite dell'abate Pio Mino, cugino dei Vasco (lettera del C. al ministro degli Affari Interni, Mondovì, 2 maggio 1769).
Più complesso fu il comportamento del vescovo con Rosa Govone, fondatrice di case di educazione femminili, dove le ragazze si sostenevano con il loro lavoro. La Govone, terziaria domenicana e penitente degli oratoriani di Mondovì, trasferitasi a Torino era passata sotto la direzione spirituale del gesuita monregalese Giambattista Ruffi (1759-60). Inoltre aveva aperto un istituto a Saluzzo nel 1760, auspice il filogesuita mons. Porporato. L'accomodamento venne allorché, anche per l'intervento secolare, furono allentati i vincoli della Govone con i gesuiti e garantiti quelli con le strutture diocesane. Le "rosine" poterono aprire istituti, oltre che a Savigliano e Fossano (1757), a Novara (1768), Chieri e San Damiano d'Asti (1770), Iglesias (1771)e Mondovì Piazza (1780).
Lo stesso C. si fece promotore di un ospizio maschile a Mondovì. Fondato con censi dell'abate Mino (testamento 2genn. 1770), l'ospizio di carità fu aperto il 3 maggio 1772. La portata educativo-illuministica veniva sottolineata dal pedagogista monregalese Pierdomenico Soresi: anche i figli del "minuto popolo - egli scriveva - sono, al pari dei nobili e de' civilmente nati, figliuoli della patria, anzi i più utili e necessari" (Dell'educaz. del minuto popolo, Milano 1775, cit. da Mongardi, p. 16). Valore piuttosto simbolico, in quanto i ragazzi non superarono i sessanta e l'opera non si irradiò fuori di Mondovì.
Dopo il '70 si accentuò in Piemonte la tendenza rigorista. Sei vescovi a Tonno, in occasione dei funerali di Carlo Emanuele III, sottoscrissero una lettera contro una pastorale di mons. Porporato. Il C. non volle firmare, ma il documento ne rispecchia l'atteggiamento e fu redatto dal suo segretario Giorgio Sicardi. Questi ne scrisse più tardi a Scipione de' Ricci, il 19 giugno del 1789 (Stella, Il giansenismo..., I, 2, pp. 267, 423). Con lettera del 20 luglio 1773 il C. chiese al ministro per gli Affari Interni appoggio per sopprimere mercati e assembramenti di popolo fin nel presbiterio del santuario di Vico, vetusto centro del culto a Maria SS. nel Monregalese. Il 15 apr. 1774 fece istanze perché fosse chiuso a Mondovì un teatro "a molti giovani pietra di scandalo". Il 15 marzo 1777 proibì sotto pena di scomunica la devozione di nove giri attorno all'altare della Vergine a Vico (Raccolta, pp. 363 s.). Riecheggiando temi delle Lettere provinciali e del Muratori, ammoniva che la Vergine non era rifugio dei peccatori impenitenti (Raccolta, p. 365). Curioso documento di costume è la sua lettera pastorale del 7 nov. 1772 contro l'uso delle donne di farsi acconciare i capelli da uomini: da parrucchieri che di buon mattino nei giomi festivi acconciavano "populares foeminas: deinde altiori iam sole nobilium matronarum aedes percurrunt... ac tandem, sub vesperas in propinas, ac tabemas divertunt" (Raccolta, p. 184).
Ormai tra il clero si formava un gruppo di simpatizzanti per le riforme ecclesiastiche della vicina Lombardia e della Toscana. Dalla corrente antibenignista emergeva la tendenza agostinista rigida e giansenizzante, che aveva come esponente Giorgio Sicardi. I libri di Port-Royal trovarono lettori e propagatori tra gli stessi intimi del vescovo. Al timore di fratture tra il clero mirò un discorso tenuto in cattedrale e pubblicato nel 1776 (Manno-Zucchi, p. 67).
Si profilavano tempi nuovi. In una pastorale del 4 marzo 1776 il C. segnalava l'infiltrazione di libri avversi alla religione (Raccolta, p. 302). Ribadiva lo stesso monito nell'orazione di apertura del secondo sinodo, tenuto il 10 e 11 sett. 1777 (Synodus secunda Montis Regalis..., Monte Regali [1777], p. XV, e Raccolta, p. 338). Avvertendo l'importanza della stampa fece pubblicare la già menzionata Raccolta di legere pastorali (1778) e un De administratione sacramenti poenitentiae, praeceptiones theologico-practicae in frequenti sacerdotum conventu traditae (Monte Regali 1781; ibid. 1784 [con note agostiniste di G. Sicardi], e Augustae Taurinorum 1831). Ancora attorno al 1775 tentò di riprendere la visita pastorale in paesi della valle del Gesso, ma ormai l'età avanzata non.gli permetteva di sopportare gravi fatiche. Alla chiusura di un anno giubilare, il 6 luglio 1777 dovette essere l'arcivescovo di Torino Francesco Lucerna di Rorà a consacrare il santuario di Vico.
Il C. morì a Mondovì il 7 febbr. 1782.
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