CANENSI, Michele
Del C. non si conosce l'anno di nascita e solo con larga approssimazione si può pensare al terzo decennio del sec. XV; ugualmente sconosciuto il luogo natale, anche se sempre egli si definisce "Viterbiensis". Le poche notizie biografiche sul C. sono, per la maggior parte, ricavabili indirettamente dalle sue opere letterarie: orfano di padre, aveva perso anche i fratelli, e si era trasferito a Roma in cerca di migliore fortuna. Da una sua lettera ai Priori di Siena sembra che in questa città abbia svolto in parte i suoi studi, ma il contesto è impreciso e soltanto allusivo; in anni più tardi farà seguire al suo nome la qualifica di "decretorum doctor". Intraprese la via ecclesiastica e ottenne il priorato di Gradoli, un paese non lontano da Viterbo, ma non sappiamo se prima della partenza per Roma.
Tale notizia si desume dall'intestazione della lettera di dedica a Pietro di Nagnali cittadino di Viterbo, di una Oratio de laudibus grammaticae, poesis rhetoricae ac dialecticae artis, scritta dal C. per Simone da Fiano, che la recitò pubblicamente. Nell'operetta è ricordato Gaspare da Verona come "praeceptor noster... hoc novissimo anno publico in gimnasio privatoque ipsius ludo lecturus", ma l'indicazione ed il ricordo del pontificato di Niccolò V ( f. 48v) solo approssimativamente possono suggerire una data compresa tra il 1447 ed il 1449 (ff. 47, 48v).
Nel 1449 aveva ottenuto il canonicato in S. Lorenzo in Damaso, che avrebbe in parte risolto i suoi problemi economici, così come, per sua ammissione, vi aveva contribuito spesso l'aiuto del protonotario apostolico Giorgio Cesarini "dominus ac pater meus" (Parma, Bibl. Palat., Palat. 232, ff. 10v, 11v; e correggi Zippel, p. XIX n. 3). Queste poche notizie vengono anche confermate da una Oratio dedicata a Niccolò V (Vat. lat. 3697), in cui il ricordo della sua attuale condizione è proposto al pontefice ed attualizzato con la narrazione di una consimile vicenda: quella della giovinezza dello stesso Niccolò V, di cui il C. traccia un veloce ritratto biografico, che si conclude con una aperta richiesta di aiuto che renda possibile la conclusione dei suoi studi. Il ricordo della assenza recente del pontefice da Roma per la peste che aveva colpito Roma e Viterbo colloca l'Oratio a dopo il novembre 1449, successiva cioè alla prima visita di Niccolò V a Fabriano.
Il C. ampliò successivamente questo rapido schizzo biografico e nei primi mesi del 1451 pubblicava un De laudibis et divina electione, in cui era riproposta la biografia del pontefice e in cui sono presenti già quelle che saranno le costanti storiografiche delle biografie del Parentucelli. Sono ricordati gli studi letterari, quelli filosofici e quelli teologici; è quindi seguita la carriera curiale del pontefice, da "scriptor paenitentiarius" al suddiaconato, e all'elezione a vescovo di Bologna, con la conseguente pacificazione della città; infine il pontificato - già augurato pochi mesi prima della morte da Eugenio IV - con una elezione all'unanimità al primo scrutînio. Come conseguenza dell'elezione il C. ricorda l'incremento dell'attività culturale e di quella edilizia, insistendo particolarmente nel menzionare la ricerca di codici in ogni regione d'Europa e l'aiuto concreto dato ai letterati. Sono gli stessi temi che saranno ampiamente trattati dagli altri biografi di Niccolò V; è in questa possibilità di cogliere la formazione di una fortuna storiografica che si rivela il maggiore interesse di questa opera del Canensi. A Niccolò V il C. poi dedicò, come estremo omaggio, un epitaffio in cui venivano riassunte le attività del pontefice. Anche per Pio II dettò un epitaffio in cui egualmente riassumeva il pontificato del Piccolomini per temi essenziali: il concilio di Mantova, la santificazione di Caterina da Siena, l'attività letteraria, la preparazione della crociata contro i Turchi. Tuttavia mancano notizie del C. durante il pontificato di Pio II, e non sembra che abbia mai portato a termine varie opere che aveva intenzione di scrivere: così non ci è giunta una storia della Chiesa di Roma da Martino V ad Eugenio IV, che sembra dovesse essere nelle intenzioni una ripresa dei Liber pontificalis: "in eo libro multo diffusius perscripturus sum quem a repetito felicissimae recordationis Martini quinti et Eugenii Veneti quarti pontificum tempore componere mihi in animo est, modo quietum ad hoc praestetur ocium" (Miglio, p. 484). Anche un altro lavoro il C. avrebbe voluto dedicare a Niccolò V, in cui avrebbe tracciato storia, vita ed esempi di cardinali: "cuius ego rei exempla testimoniaque clarissima, in aliud illud de Tua Beatitudine opusculum quod mihi in animo indigestum residet, reservare quam dudum hic enarrare satius duxi" (ibid., pp. 483 s.), ma sembra essere rimasto allo stadio di progetto.
La carriera di biografo pontificio del C. continuò con Paolo II, di cui scrisse, ancora vivente il pontefice, un De vita et pontificatu. È la sua opera più completa e quella che meglio definisce le sue prospettive storiografiche. Lo schema è classico: alle notizie sulla famiglia dei Barbo, che viene collegata ai romani Enobarbi, seguono rapide notizie sulla prima età, sugli studi e sulla carriera curiale di Pietro Barbo, che permettono però al C. di costruire un personaggio carico e di consapevolezza mondana e di attenzione religiosa. Nel racconto hanno un particolare risalto le figure di Everso e Deifobo dell'Anguillara, famiglia potente e turbolenta del Patrimonio, attentatrice in questo delle libertà papali, nella cui definitiva sconfitta ad opera del Barbo il C. sembra cogliere uno dei momenti di maggior valore dell'intero pontificato. È uno spaccato di notevole interesse, quello che il C. offre, al di là del racconto degli uomini e dei fatti, utile a capire la debolezza del Papato, condizionato dall'insubordinazione e dalle mire espansionistiche e ribelli di famiglie e uomini d'armi dei territori soggetti. L'attività pontificia di Paolo II è soprattutto riassunta in due aspetti: le provvidenze annonarie ed il tentativo di tenere a freno, con rigidi interventi giudiziari, le turbolenze dei romani. Accanto a questi aspetti compone quelli che sono i naturali colori di un ritratto pontificio: la religiosità, l'attenzione liturgica, le provvidenze per gli Ordini religiosi e quelle per il popolo di Roma, verso il quale il pontefice fu prodigo di feste. Non manca, introdotto da un lapidario "Imperium Ecclesiae plurimum dilatavit", il ricordo della riorganizzazione militare dello Stato della Chiesa.
Il De vita et pontificatu Pauli secundi rimase interrotto in una prima redazione agli ultimi mesi del 1467, coinvolto in un certo modo dagli avvenimenti che travolsero Roma nel 1468 per la cosidetta congiura degli umanisti. Il C. era però a quest'ultima del tutto estraneo, ché anzi il pontefice lo eleggeva il 18 ag. 1469 vescovo della diocesi di Castro (Arch. Segr. Vat., Obl. sol. 83, c. 41v; Reg. lat. 682, cc. 26 s.) dove il C. si sarebbe recato soltanto "tamquam ad quemdam tranquillum amoenumque portum" per alcuni brevi e interrotti ozi letterari (Zippel, p. 67). In questa occasione il C. annotava sul suo codice di lavoro, la sua gratiarum actio letta al pontefice (Miglio, p. 499). E proprio durante un soggiorno a Castro, ormai morto Paolo II, il C. riprese l'interrotto De vita et pontificatu e lo portò a termine dedicandolo al cardinale Guglielmo d'Estouteville; fu questo, da parte sua, un tentativo di contrapporsi alle molte voci contrarie al Barbo, che, appena dopo la sua morte, si erano scatenate, e alla biografia di Paolo II che il Platina, in quegli anni, pubblicava nelle sue Vitae pontificum e che costituiva il capo di accusa più pesante.
Sisto IV continuò a servirsi del C. in incarichi di una certa fiducia nonostante un infortunio in cui il C. fu coinvolto: il 23 ott. 1472 il vescovo, e con lui i suoi vicari, accusato di essersi appropriato di alcuni cavalli e giumente di Pietro Mancini "de civitate Castri", fu obbligato alla restituzione, sotto pena di pagare in caso contrario duecento fiorini d'oro come risarcimento (Archivio Segr. Vat., Arm. XXVIIII, 36, c. 172). Nel 1473 il C. assegnava ai francescani la cappella della beata Maria Annunziata in occasione della fondazione di una casa degli osservanti nei pressi di Canino (L. Wadding, Annales Minorum, XIV, Ad Claras Aquas 1933, p. 92); il 1º apr. 1474 fu nominato castellano della rocca maggiore di Assisi, incarico in cui fu sostituito il 21 ag. 1476 da Andrea del Carretto di Savona (Miglio, p. 467). Poi, negli ultimissimi anni, la permanenza a Castro del C. dovette diventare continua.
Di tale permanenza rimane traccia in tre lettere del C. ai Priori di Siena. Nella prima, del 14 ag. 1478, il vescovo chiede provvedimenti contro un certo Giovanni, vicario di Manciano (Grosseto) che ha fatto violenza contro Taddeo Pisano, familiare e cappellano del cardinale Giovanni Arcimboldi "et contra personam et familiam meam violenter ipsum capere conatus est", in occasione di una loro permanenza in quel luogo per sfuggire la malaria (Arch. di Stato di Siena, Concistoro 2041, n. 28). Una seconda, datata 13 nov. 1479, in cui ricorda la sua giovanile permanenza a Siena e gli studi ivi compiuti, "Essendo io da la mia iuventute, per li studi de lettere, quali in parte feci in questa magnifica et inclyta communitate deditissimo a quella", è un intervento in favore degli abitanti di Manciano (Arch. di Stato di Siena, Concistoro 2043, n. 43); come anche la terza (Ibid., n. 66) in cui si denuncia il comportamento di "uno signore Michalangelo... officiale de V. M. et Eccellentissime Signorie" che semina "alterazione et zizanis intra quel popolo dolce et fedele... maxime lui per vie subdole et inderecte haver cercato da alcuni, de quel popolo la reforma de quello officio...". La lettera ha la data del 28 apr. 1480.
Nel 1480 ebbe da Sisto IV l'incarico della raccolta di una imposta straordinaria con cui far fronte al progressivo deterioramento della situazione politica e militare della Chiesa, conseguente alla lega dei Riario con Venezia, pubblicata a Roma il 12 maggio 1480 ed alla controalleanza del 25 luglio dello stesso anno tra Napoli, Firenze, il duca di Ferrara e Ludovico il Moro. Per questa ragione il pontefice impose una "decima tra preti, et frati, Ospidali, Giudei et Officiali, et fé Commissario Misser Michele Canensi vescovo di Castro, lo quale operò con diligentia"; il giudizio è di Nicola di Giovanni di Iuzzo, riportato da Feliciano Bussi in una pagina dedicata al C. (Viterbo, Biblioteca comunale degli Ardenti, II. C. IV. 20, Degli uomini illustri di Viterbo, c. 147r). Fu questo l'estremo atto ufficiale del C., che moriva quello stesso anno: il registro delle Obbligazioni segnala al 10 nov. 1480 (Arch. Segr. Vat., Obl. sol. 83, c. 97r) l'elezione del nuovo vescovo Tito Voltri per la morte "extra Romanam curiam" del titolare.
Opere. La Oratio de laudibus grammaticae,poesis,rhetoricae ac dialecticae artis, preceduta dalla lettera con cui era inviata a Pietro de Nagnali, è nel codice V. F. 18 della Biblioteca nazionale di Napoli, ff. 40r-41v, 41v49r (in fine del f. 49r un frammento di una orazione funebre dello stesso C. per un "Franciscus de Urbe" identificabile forse con Francesco da Roma, grammatico a Ferrara nel 1441; per il codice cfr. P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 419) e nel cod. Marciano lat. XI, 80 (= 3057), ff. 209v-214 (cfr. Kristeller, II, p. 254); l'operetta non sfugge certo ai condizionamenti dell'occasione per cui fu composta, ed è un lungo repertorio di erudizione di seconda mano. La prima Oratio scritta per Niccolò V è nel Vat. lat. 3697. ff. 2-14, autografo, esemplare di dedica, con le armi del pontefice; segue, ai ff. 14r-16r, un Hymnus in beati Nicolai laudes (Kristeller; II, pp. 322, 582). L'attività di innografo del C. è testimoniata anche dal codice di Parma, Bibl. Palatina, Palatino 232 (Kristeller, II, p. 34; Miglio, p. 499) che ha ai ff. 38r-42v e 47v-48r versi per s. Girolamo, s. Stefano protomartire, s. Lorenzo, s. Maria Maddalena, S. Nicolò ed inoltre una Deprecatio ad Sanctissimam Crucem ed una Laudatio ad Deum ex Psalmo centesimo et duodecimo; lo stesso codice Palatino ha ai ff. 1r-34v il De laudibus et divina electione (edito in Miglio, pp. 501-524). Il codice rimase a lungo, come codice di lavoro, presso il C., che vi trascrisse anche al f. 44rv lo Epitaphium Nicolai quinti e lo Epitaphium Pii II, e, al foglio di guardia, la gratiarum actio per la elezione a vescovo di Castro; il Mazzuchelli lo segnalava nella biblioteca dell'erudito lucchese Bernardino Baroni (Vat. lat. 9265, f. 39rv). Il De laudibus e gli inni sono anche nel codice Additional 14794 del British Museum di Londra (Miglio, pp. 499 s.). Il De vita et pontificatu Pauli secundi fu pubblicato per la prima volta dal Muratori (in Rer. Ital. Script., III, 2, Mediolani 1734, coll. 993-1022) dal Vat. lat. 3629, quindi nella prima redazione interrotta al 1467; sei anni dopo A. M. Querini, con l'intenzione dichiarata di un recupero storiografico, del pontefice biografato però e non dell'autore che restava poco più che sconosciuto, pubblicava la redazione finale dal ms. 1037 della Bibl. Angelica di Roma (A. M. Querini, Pauli IIveneti Pont. Max. Vita ex codice Angelicae Bibliothecae desumpta praemissis ipsius sanctissimi pontificis vindiciis adversus Platinam aliosque oblectratores, Romae 1740). Infine lo Zippel, a cui si rinvia per la descrizione dei codici, avvertendo però che anche il Vat. lat. 3629 è autografo (Zippel, pp. XLIII-XLV), pubblicava l'edizione critica della biografia di Paolo II corredandola di un perfetto apparato di commento. Altri manoscritti dell'opera, ma tardi, oltre quelli segnalati dallo Zippel, sono in Kristeller, I, p. 242; II, pp. 129, 335.
Fonti e Bibl.: Viterbo, Bibl. com. degli Ardenti, ms. II. C. IV. 20: F. Bussi, Degli uomini illustri di Viterbo, c. 147rv; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9172: F. Cancellieri, Memorie del culto di s. Lorenzo Martire, c. 73; Vaticano latino 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f. 39rv; Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e M. C., in Rer. Ital. Script., 2 ed., III, 16, a cura di G. Zippel, pp. XVI-XXI; M. Miglio, Una vocazione in progresso..., in Studi medievali, s. 3, XII (1971), pp. 463-524; Reportorium fontium historiae Medii Aevi, III, Romae 1970, p. 113.