SALUZZO, Michele Antonio
SALUZZO, Michele Antonio di, marchese di Saluzzo. – Figlio del marchese Ludovico II (1475-1504) e della sua seconda moglie, Margherita di Foix Candale (morta il 1536), Michele Antonio nacque a Saluzzo il 26 marzo 1495.
La morte a Genova, il 27 gennaio 1504, di suo padre, viceré nel regno di Napoli per Luigi XII di Francia, ne lasciò in parte irrealizzati i progetti politico-militari per il marchesato, che rimase in mano all'erede e primogenito non ancora maggiorenne. All'epoca, Michele Antonio era un fanciullo di nove anni e dunque la reggenza fu affidata alla madre, l'energica Margherita di Foix, che già in assenza del marito, impegnato altrove in armi, aveva dato prova di consapevolezza del suo ruolo nel mantenimento del governo del marchesato. Rimasta vedova, agì in continuità con la politica di prestigio e di orientamento filo francese, che era stata propria del consorte. Negli affari interni del territorio diede impulso alle emissioni di monete della zecca marchionale di Carmagnola, senza tralasciare di favorire imprese culturali, anche con intenti celebrativi: la nota edizione saluzzese dell'Opus regale di Giovanni Ludovico Vivalda di Mondovì fu pubblicata nel 1507, in memoria di Ludovico II; per inciso, lo stesso autore nel 1503 aveva dedicato al grande marchese un altro libro, stampato a Saluzzo in soli mille esemplari, l'Opus aureum. Di certo, merito precipuo di Margherita di Foix fu la realizzazione dell'obbiettivo più importante del defunto marito: l'erezione di Saluzzo in diocesi (1511) e, di conseguenza, il suo innalzamento al rango di città.
Michele Antonio intanto fu inviato dall'accorta madre alla corte di Francia, sotto la protezione di Luigi XII (1498-1515), che nel 1507 lo creò, appena dodicenne, governatore di Asti e cavaliere dell'ordine di San Michele. A fine marzo dello stesso anno, il giovane marchese era tornato al di qua delle Alpi attraverso il Monginevro. Il cronista saluzzese Giovanni Andrea Saluzzo di Castellar così commenta nel Charneto: «Non saria anchora venuto se non fossa che lo re Ludovicho pasava li monti per richoperare Genova, la quale s'era rebelata» ([Charneto], p. 1869, p. 462). Come governatore doveva infatti, per ordine del re di Francia, precederne la venuta e prepararne gli alloggiamenti. Michele Antonio colse l'occasione per fare le sue “prime entrate” a Revello, dove risiedeva la madre, poi a Carmagnola, centro economicamente rilevante, e infine a Saluzzo, la piccola capitale del marchesato, dove l'entrata, descritta con minuzia nel Charneto, fu «bella e trionfante». Due anni dopo, nel 1509, prese parte, «ben accompagnato», a un'altra cerimonia simile, per lui non meno significativa: l'entrata in Milano al seguito di Luigi XII.
Il battesimo delle armi avvenne presto, a soli quattordici anni, come annota il Castellar, che il 14 maggio 1509, al seguito del marchese, assistette sia alla cerimonia con cui questi fu creato cavaliere dal re di Francia, sia alla immediatamente successiva battaglia di Agnadello (nel Ducato di Milano) vinta dagli eserciti della lega di Cambrai contro Venezia.
In proposito, così scrive il cronista: «Quelo iorno, [Michele Antonio] mai abandonò el re, armato de tute arme, et non avia che anni XIIII, et io Iohanne Andrea mai abandonai mio signore». Circa mezz'ora prima che la battaglia cominciasse, Luigi XII «fece in chanpagna a chavalo circha cento chavalieri» ([Charneto], p. 482), fra i quali, del marchesato di Saluzzo, il marchese, il cronista stesso, il navarrino Louis d'Aians che si trovava al suo servizio, Giovanni Antonio Saluzzo di Montemale signore di Pradleves e Nicoletto Mazzetti dei signori di Valfenera. Poi, il primo luglio, l'intrata fastosissima in Milano, ancora al seguito di re Luigi nel ruolo di nuovo duca della città.
Furono i piacevoli inizi di una carriera prevalentemente militare al servizio della monarchia francese, in particolare nella serie di conflitti scoppiati in quegli anni dopo il disfacimento dello stato di Terraferma: nel 1512, la presa di Brescia, la resa di Bergamo e di Cremona. Tale carriera in verità, condizionata anche dalle sorti alterne delle truppe francesi, non sempre fu gratificante. Lo evidenzia con chiarezza il risultato di un episodio bellico, la battaglia di Novara o dell'Ariotta del 7 giugno 1513 (collocata al 6 dal memorialista ottocentesco Muletti e in una pubblicazione recente), che comportò la momentanea ritirata di Luigi XII dal Ducato di Milano.
Ne riferisce ancora Castellar: nell'assalto a sorpresa di circa 5000 Svizzeri contro i Francesi e i loro alleati che assediavano Novara, Michele Antonio che aveva poco più di diciott'anni e combatteva fra questi ultimi «perse tuta soa argianteria et soe vestimente et li dinari che avia portato» ([Charneto], pp. 515 s.); si aggiunga che alcuni suoi corsieri, anch'essi persi, valevano la bella somma di 3000 ducati. Fu un bell'affare davvero, soprattutto se si pensa che, fuggiti i soldati francesi in patria, gli Svizzeri ne approfittarono ulteriormente per estorcere alla madre del marchese, Margherita di Foix che teneva le redini del governo, l'enorme cifra di 16.000 ducati, versati al restaurato duca di Milano, Massimiliano Sforza: una vera e propria rovina (desfacione nelle parole del cronista) per tutto il marchesato.
Le vicende del giovane principe si intrecciano anche con quelle del nuovo re di Francia, Francesco I (1515-47). Disceso costui nella penisola, Michele Antonio lo seguì col fratello, Francesco Monsignore, nella sanguinosa battaglia di Marignano (Melegnano) contro gli Svizzeri (13-14 settembre 1515), che fruttò al sovrano la restituzione del Ducato di Milano. Nello schieramento, il marchese e suo fratello si trovavano nell'avanguardia guidata dal duca di Borbone, connestabile di Francia. I due si comportarono con giovanile baldanza, da veri «paladini», come ebbe a definirli il Castellar. Il successivo 22 ottobre, Michele Antonio fece omaggio al re per l'intero marchesato e il 15 novembre questi lo nominò capitano di cinquanta lance. Nel dicembre, al suo seguito, era a Bologna, dove Francesco I e papa Leone X erano convenuti per trovare un accordo su certe tensioni tra la Chiesa e il Regno di Francia. Grazie ai rapporti stabiliti in quell'occasione col pontefice, il marchese ne ottenne la promessa della prossima elevazione alla porpora cardinalizia di suo fratello Giovanni Ludovico monsignore. Ma il suo desiderio, comune a quello di molti principi, di ottenere finalmente, anche per i Saluzzo, un porporato “di famiglia”, non trovò realizzazione.
In sintonia con lo spirito del tempo e con i riti cavallereschi praticati dai giovani aristocratici per tenersi allenati in vista della concreta realtà della guerra, Michele Antonio sapeva mostrare il suo impeto anche in quei combattimenti figurati che erano le giostre e i tornei. Nel giugno 1520, egli fu presente alla corte di Francesco I durante l'assemblea del Camp du drap d'or, svoltasi in gran pompa a Calais con l'obbiettivo, fallito, di avviare un'alleanza tra Inghilterra e Francia. Vi si tennero gare e tornei, combattimenti a piedi e a cavallo, di forte impressione sui contemporanei per la loro fastosità.
Sulla scia dei suoi avi, che, con i loro cavalli da giostra, come rileva Luisa Gentile, partecipavano ai giochi bellici non potendo organizzarne in proprio a causa delle loro modeste risorse, Michele Antonio si esibì davanti ai sovrani convenuti con ampio seguito, e, sostiene Castellar, gli fu tributato «lo honore, da tuti doi li re et le regine, de avere meglio fato a chavalo et a pede» ([Charneto], p. 557). Ne ebbe, come onorevole riconoscimento, una lancia e una spada dorate.
È ancora il Castellar, che di Michele Antonio era consanguineo e vassallo, a fornire ulteriori, preziose notizie sulle sue attività militari, spesso spontanee e integrative di quelle di Odet de Foix, visconte di Lautrec, maresciallo di Francia e viceré di Francesco I in Italia. Nel 1521, in qualità di capitano generale degli Svizzeri al servizio del re, venuto a conoscenza di scorrerie e disordini diffusi fra Lombardia e Piemonte, si recò da Saluzzo ad Asti, prese con sé circa duecento lance francesi «che erano logiate su l'Astesana» ([Charneto], p. 562), ruolo che gli consentì di riuscire nell'impresa memorabile, sinteticamente evocata da Guicciardini, di fare prigioniero, nella non lontana Varazze, lo spagnolo don Ugo de Moncada, ammiraglio di mare dell'imperatore e viceré di Sicilia. La prosecuzione del suo impegno savonese con l'armata di mare gli impedì pertanto, diversamente da quanto si legge in Argegni, di partecipare in qualità di combattente alla battaglia di Pavia, dove il successivo 24 marzo, i Francesi furono sconfitti e furono fatti prigionieri re Francesco I e Francesco monsignore, fratello del marchese.
Nel governo del marchesato Michele Antonio ebbe in quegli anni minore fortuna. In accordo con la madre, informato dell'avanzata degli imperiali verso Saluzzo, non ben fortificata e priva di vettovaglie, decise la resa della città sulla base di certi accordi presi con i lanzichenecchi. Essi vi entrarono il 16 luglio 1525, la saccheggiarono senza rispettare accordo alcuno e la occuparono per tre mesi. A parziale risarcimento, ma anche in ricompensa dei servizi prestati alla corona, l'8 gennaio 1526, Francesco I donò a lui e alla madre il contado di Castres in Linguadoca.
L'impegno militare con la corona di Francia, dopo la prigionia di Francesco I (aprile 1526) battuto a Pavia dalle truppe imperiali, portò nel settembre di quell'anno Michele Antonio ad Asti per l'entrata del re e poi presso Milano per ricongiungersi con gli eserciti del papa e di Venezia. Nel maggio 1527 era ad Isola presso Roma, in qualità di viceré, nei giorni in cui Spagnoli e lanzichenecchi saccheggiavano la città e tenevano prigioniero papa Clemente VII in Castel Sant'Angelo. L'armata francese, ai comandi del Lautrec, contava allora circa dodicimila fanti e quattrocento lance di gente non «molto eletta», a cui si devono aggiungere gli uomini del marchese di Saluzzo: anche se eventualmente unita all'esercito veneziano, non sarebbe stata in grado di battere gli occupanti della Città Eterna. Il marchese si ritirò dunque, con le sue truppe, a Viterbo, andò poi a congratularsi con Clemente VII non appena, nel novembre di quell'anno, dopo sette mesi di prigionia, questi giunse a Orvieto. Collaborò poi nell'impresa della conquista del regno di Napoli, con il Lautrec, «in su l'autorità e virtù del quale – rileva il Guicciardini – si riposavano tutte le cose» [Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, V, 1929, pp. 228 s.]. Le loro forze si unirono a Nocera, nel regno di Napoli, l'8 marzo 1528 e il 15 parteciparono a una scaramuccia con gli imperiali presso la non lontana località di Troia, nel Foggiano; poi nell'estate assediarono Napoli, dove il Lautrec trovò la morte per peste il 16 agosto.
Le responsabilità del comando gravarono da quel momento su Michele Antonio, che, il 2 settembre, fu creato dal re suo luogotenente nel regno di Napoli. Ma egli, nella valutazione storica di Guicciardini, non fu «pari a tanto peso» e la situazione peggiorò tanto che il campo francese divenne presto, «senza gente e senza governo» (ibid.). Non si desiderava più di «pigliare Napoli», scrive Guicciardini, o di poter resistere in quella situazione, aggravata da un'epidemia di peste. Il marchese perse così Capua e Nola, indispensabili per gli approvvigionamenti di vettovaglie, poi, il 28 agosto si ritirò con l'artiglieria e, riferisce il Castellar, «con quela poca giente che avia, in la cità di Aversa» ([Charneto], p. 624).
Qui, assediato dagli imperiali e ferito da un colpo di artiglieria che gli ruppe un ginocchio, vedendo che la piaga incancreniva, nel tentativo di salvare gli uomini che erano con lui, nel campo imperiale ubicato presso la città stipulò (il 30 agosto 1528) un accordo di dedizione con il principe d'Orange che agiva a nome dei nemici. Fu poi condotto a Napoli, dove testò il 17 ottobre 1528 e il giorno dopo, a soli 33 anni, morì. Fu sepolto a Roma, nella chiesa in Santa Maria in Ara Coeli, dove è ricordato dal busto marmoreo opera, nel 1575, di Giovannantonio Dosio (1533-1611).
Presso il Museo Condé a Chantilly, alcuni ritratti coevi su carta, opera di Jean e François Clouet (XVI secolo) trasmettono un'immagine forse più viva e aderente al vero di questo giovane principe condottiero ricordato dal memorialista Martin du Bellay, che probabilmente lo conobbe, come capitano virtuoso e gentile, amato dai soldati e dalla gente di guerra: «Ce fut une perte grande de la mort de ce gentil Prince, car c'estoit un autant vertueux prince qui ayt esté de son temps, et autant aymé des soldats et gens de guerre» (Martin du Bellay, Mémoires, 1908, pp. 88 sgg.). Anche l’erudito Leandro Alberti, nelle righe dedicate a Saluzzo della sua opera Descrittione di tutta Italia del 1550, scrive che il marchese, «dopo molte degne opere, passò all’altra vita, lasciando gran desiderio alli suoi popoli di sé» (Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, 1550, p. 344). Un profondo rimpianto e un'immagine simile dovettero averne i commilitoni che, ricordandone la figura, probabilmente composero la ballata Il capitani de Salusse; la canzone, ripresa in seguito e divenuta celeberrima fra gli Alpini, è tuttora nota come Il testamento del capitano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Marchesato di Saluzzo, in particolare: categoria 4ª, m. 2, per l’omaggio del marchesato al re di Francia; categoria 9ª, m. 1, per le patenti di capitano e di luogotenente; categoria 9ª, m. 2, per l’investitura del contado di Castres; Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna 1550, p. 344; Martin du Bellay, Mémoires, Paris 1569 (ed. critica a cura di V.L. Bourilly - F. Vindri, Parigi 1908); [Charneto] Memoriale di Giovanni Andrea Saluzzo di Castellar, a cura di V. Promis, in Miscellanea di storia italiana, VIII (1869), pp. 409-625: in particolare pp. 462, 482, 515 s., 557, 562, 624; Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, V, Bari 1929, pp. 228 s.; Blaise de Monluc, Commentaires, 1521-1576, preface par J. Giono, édition établie et annotée par P. Courteault, Paris 1981, in particolare pp. 50-64; Storia segreta del Marchesato di Saluzzo dal 1482 al 1528. Giovanni Andrea Saluzzo di Castellar, a cura di P. Natale, Cavallermaggiore 1998, ad ind.
D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, VI, compilato da C. Muletti, Saluzzo 1833, p. 31 (per la battaglia dell'Ariotta) A. Tallone, Gli ultimi marchesi di Saluzzo dal 1504 al 1548, in Studi saluzzesi, Pinerolo 1901, pp. 275-340; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, vol. III, Milano 1936, p. 86; A.A. Mola, Saluzzo: un’antica capitale, Roma 2001; M. Troso, L’ultima battaglia del Medioevo. La battaglia dell’Ariotta. Novara, 6 giugno 1513, Mariano del Friuli 2002; L.C. Gentile, Cerimoniali alla corte dei Saluzzo, in La cultura a Saluzzo fra Medioevo e Rinascimento. Nuove ricerche, a cura di R. Comba - M. Piccat, Atti del convegno, Saluzzo 10-12 febbraio 2006, Cuneo 2008, pp. 264-269; P. Rosso, Ecclesiastici «di famiglia» e politiche marchionali nella seconda metà del Quattrocento: le difficili carriere di Federico di Saluzzo e di Teodoro Paleologo, in Saluzzo, città e diocesi. Cinquecento anni di storia. Relazioni al convegno: Saluzzo, 28-30 Ottobre 2011, Cuneo 2013, pp. 67-89; Guida al Museo della civiltà cavalleresca. Il marchesato di Saluzzo e l’Europa, a cura di R. Comba - M. Caldera, Cuneo 2014.