SIMONETTI, Michelangelo
– Nacque il 5 maggio 1731 a Roma da Matteo, pittore, e da Costanza Giovannini, e fu battezzato in S. Martino ai Monti.
Studiò architettura con Mauro Fontana, nipote di Carlo, e misura ed estimo delle fabbriche con il collaboratore Tommaso Bianchi (Chracas, Diario ordinario, n. 1292, 19 maggio 1787, p. 20), misuratore di fiducia di Luigi Vanvitelli. Principale «giovane» coadiutore di Bianchi, con lui eseguì nel 1754 il rilievo e la stima di palazzo Mattei di Paganica, che Giovan Battista Nolli doveva riattare per il banchiere Girolamo Belloni (Bevilacqua, 1998, p. 168). La perizia descrittiva del palazzetto del conte Fabio Carandini stilata nel 1758, la misura e stima del 1771 di una casa della Fabbrica di S. Pietro in vicolo delle Palle (Silvan, 2008b, pp. 249, 252), quella del 17 maggio 1779 di palazzo Mancini al Corso, sede dell’Accademia di Francia (Guerci, 2004, p. 81), oltre a lavori di sistemazione nel 1776 delle opere idrauliche presenti alla foce di Fiumicino e alla sottoscrizione con altri professionisti nel 1784 di una «attestazione circa il modo di dovere stimare ed apprezzare lavori in campagna» (Silvan, 2008b, pp. 253 s.), confermano lo specialismo tecnico riconosciutogli. Ascritto fra i Virtuosi al Pantheon il 5 marzo 1769, «Michel’Angelo» partecipò agli allestimenti per il possesso di Clemente XIV celebrato il 26 novembre di quell’anno.
In tale occasione, «prescelto» dall’abate Guido Ubaldo Angelini, deputato dell’arte dell’agricoltura, Simonetti definì «quasi nel mezzo a Campo Vaccino» un recinto quadrato di 160 palmi per lato, attraversato dalla strada cerimoniale; due opposti fronti di palchi accolsero i «migliori agricoltori, legali ed altre persone intendenti della città», mentre religiosi ed ecclesiastici occuparono le pompose terne mediane dei palchi, allestiti in sgargianti parature di stoffe, arazzi, festoni e motti in «portici sull’antico stile» di dodici pilastri dorici ciascuno, su basamenti di finto marmo pavonazzetto (Chracas, Diario ordinario, n. 8114, 2 dicembre 1769).
All’apprezzata «solidità» dei pur effimeri «portici» (p. 15) seguì l’architettonica distinzione di due cappelle nella basilica dei Ss. Apostoli, rimarcata dal necrologio di Simonetti insieme alle note opere vaticane, a imprecisati (e dubbi) «palazzi e chiese fuori di Roma» e a un sistema «di fare la polvere senza pericolo d’incendio» messo a punto nella fabbrica di polveri da sparo presso Tivoli (Chracas, Diario ordinario, n. 1292, 19 maggio 1787, pp. 19 s.), riattata da Bianchi nel 1756 (Scavizzi, 1997, pp. 20 s.).
Nell’agosto del 1771 iniziò il rinnovamento della cappella di S. Bonaventura, ceduta il 20 novembre 1770 dal cavaliere Arcangelo Mandosi all’omonimo collegio minoritico annesso alla basilica, posto sotto la protezione del decano dei cardinali marchigiani, all’epoca Alessandro Albani. Al tono michelangiolesco dell’ordine composito trabeato e segmentato della cappella, inaugurata il 22 luglio 1775, si intonò la lussuosa incrostatura di marmi, squillante di candide membrature e impreziosita da «trofei ecclesiastici di metallo dorato» (Chracas, Diario ordinario, n. 58, 22 luglio 1775). Subentrato il seguente 20 settembre al defunto architetto del convento Giuseppe Ferroni, Simonetti curò gli apparati in S. Pietro della beatificazione del frate minore Bonaventura da Potenza, celebrata il 26 novembre; tornò quindi a ornare la basilica per l’analogo rito del 9 giugno 1783 dedicato alla benedettina Giovanna Maria Bonomi. L’attardata maniera barocchetta di Ferroni aveva già indotto nel 1768 i padri a scartare un suo disegno per l’altare della cappella di S. Giuseppe da Copertino, sentiti i periti Carlo Marchionni, Paolo Posi e Nicola Giansimoni: cappella realizzata da Simonetti dal 1776 all’aprile 1779 sulla falsariga della precedente, ma in una chiara gamma cromatica che fece risaltare le due colonne in verde antico dell’altare (Chracas, Diario ordinario, n. 452, 1° maggio 1779).
Alla morte di Bianchi nel 1766, Simonetti gli subentrò, oltre che come architetto dei Chigi (Silvan, 2008b, p. 253; circa rapporti con altre casate primarie, del 1770 sono imprecisati lavori romani per i Piccolomini; Guerrieri Borsoi, 2016), quale misuratore della Fabbrica di S. Pietro, essendo soprastante Luigi Vanvitelli e revisore Carlo Marchionni. Morto Vanvitelli nel 1770, il 7 settembre Simonetti, «architetto sostituto» del nuovo responsabile Marchionni, propose all’economo monsignor Guglielmo Pallotta di porre le campane della basilica nella cupola della cappella di S. Gregorio: «invenzione» approvata nel 1785 (in verità sperimentata per qualche tempo sin dal 1610; Gilii, 1786, p. 1998; Gazzetta universale, n. 71, 3 settembre 1785) e attuata l’anno seguente; ma la fallimentare resa fonica indusse a ricollocare le campane in facciata nell’angolo sinistro dell’attico.
Organico alle alte sfere professionali vaticane, Simonetti ebbe il ruolo di «architetto camerale e de’ Sacri Palazzi Apostolici» alla morte nel gennaio 1772 di Alessandro Dori, che, in seguito all’acquisto di trentaquattro statue antiche della collezione Mattei a opera di Clemente XIV nel settembre 1770, attendeva all’adattamento museale del casino di Innocenzo VIII in Belvedere.
Su sollecitazione del tesoriere monsignor Giovanni Angelo Braschi, futuro papa Pio VI, Simonetti integrò alla doriana «galleria delle Sculture» lo spazio dell’aderente cortile scoperto «delle Statue», realizzandovi sin dall’agosto 1772 un portico ionico: anello ottagono di emergenti archi edicolari alternati a sezioni rette su cornici architravate recanti bassorilievi. Potenziò la sintassi michelangiolesca lo schema a chrismon, con i capolavori statuari esposti «nell’interno per tutti li lati del portico» e negli angolari «sacelli di figura esagona con sue aperture nelle cuppole, coperte di cristalli» (Roma..., 1775, p. 22).
Chiesta e ottenuta fra marzo e aprile del 1773 la patente di architetto misuratore della Fabbrica petriana (Ceccarelli, 1988, p. 65), intorno agli inizi dell’anno Simonetti lavorava alla «pianta de’ Musei del Vaticano per farla poi incidere in rame» (Notizie del mondo, n. 5, 16 gennaio 1773, p. 40). Per l’ambizioso Museo Pio Clementino, concepito alla metà degli anni Settanta dal nuovo pontefice Pio VI, Simonetti estese il programma con la consulenza del prefetto delle antichità Giovanni Battista Visconti, cui dal 1784 successe il figlio Ennio Quirino.
Alla prima galleria (1776-78), ampliata con il sacrificio della cappella di testa affrescata da Andrea Mantegna, fu coordinata un’armoniosa varietà di ambienti «romani», intonati ai contenuti museali con equilibrato e sintetico accordo, e ambiguamente sospesi fra matrici imperiali e paleocristiane: il raccolto gabinetto delle Maschere, l’oblunga sala degli Animali, l’ottagona sala delle Muse, la tholos decagona della sala Rotonda, la sala a Croce Greca, l’arioso scalone regale a tre simmetriche rampe di colonne trabeate, con balaustrini in metallo, il lungo cannocchiale della galleria dei Candelabri, terminata nel 1787-88 da Giuseppe Camporese, suo successore come architetto dei Sacri Palazzi. Verso la metà degli anni Ottanta si ebbe dunque l’epifania neoclassica di una singolare rivoluzione museografica: culturale, più che tipologica, considerata l’anomalia di un complesso irregolare, cresciuto nel tempo secondo progetti parziali. Un acuto critico quale Francesco Milizia (1787) colse il valore del nuovo accordo architettonico con i pregevoli contenuti antichi, sagace seppur non impeccabile: «la decorazione è dapertutto buona. Se vi sono dei nei, e anche difetti, non vi sono certamente sconcordanze, né barbarismi, né capricci, né pazzie» (p. 198); dunque, dettagli irrilevanti, specie per la coeva moda delle emozionanti visite notturne al lume di fiaccole, sperimentata da Goethe. Serpeggiarono in corso d’opera dissensi polemici, dato il paradosso di un autore altrimenti oscuro reso «celebre» (Roma, 1775, p. 23) dalla straordinaria «gran fabrica» avviata a farsi mito: come il deluso Giacomo Quarenghi scrisse nel 1776 al veneziano Tommaso Temanza, autorevole biografo di Palladio, il «misuratore nominato Simonetti» (di cui come tale nel 1773 si era avvalso per verificare i lavori alla chiesa del monastero di S. Scolastica a Subiaco; Giacomo Quarenghi..., 1988, pp. 31 s.). Il primato creativo riconosciuto da Jacob Burckhardt (1855) a Simonetti quale autore di spazi museali esemplari per classica nobiltà e coerente suggestione d’ambiente ad hoc ha prodotto la generica moderna opinione di un «rigoroso Neoclassicismo» dell’opera vaticana (Simonetti, Michelangelo, 1981, p. 606), vista come «purissimo saggio di architettura neoclassica» (Summerson, 1990, p. 126). Più obiettivo si è però riconfermato il giudizio di Milizia: sorvolando su particolari di «carattere scolastico ed incertezze di gusto», vale piuttosto «la ricerca degli effetti architettonici fondata su purità di lineamenti, su chiara armonia di proporzioni, su vasto sviluppo di volumi» (de Rinaldis, 1948, p. 58), su «un senso veramente grandioso dello spazio, delle masse nettamente delimitate, dell’equilibrio dei rapporti» (Lavagnino, 1956, p. 49).
Manifestò il raggiunto prestigio di Simonetti l’acquisto per 1750 scudi, il 19 marzo 1777, dell’appartamento al secondo dei tre piani del palazzetto in piazza d’Ara Coeli che il cavaliere Ludovico Aquilani aveva ricavato da un suo casamento; forti debiti portarono questi a vendere il 4 settembre 1778 per 2500 scudi all’architetto (che il 29 marzo 1763 gli aveva fornito una dettagliata descrizione del palazzetto in questione, realizzato nel 1758-59 dal più anziano collega Costantino Fiaschetti) anche la villa con «nobil casino» di cui dal 1731 godeva fuori porta Latina (Bilancia, 2009, pp. 185 s., 193 s.). Seguì l’11 ottobre 1778 la nomina ad accademico di merito di S. Luca, sotto il principato di Carlo Marchionni (Smith, 1996): Simonetti donò nell’occasione due grandi tavole di un alquanto scolastico saggio accademico (Fabrica destinata a publici divertimenti secondo l’uso dei moderni Romani; I disegni di architettura, 1974). Da mesi la collaborazione con il successore di Vanvitelli a soprastante della Fabbrica petriana interessava i lavori della sacrestia, la cui edificazione era iniziata nel febbraio del 1778 secondo un originario progetto di Filippo Juvarra rielaborato da Marchionni; con questi e con il collega misuratore Giacomo Sangermano, il 3 settembre 1781 Simonetti produsse una relazione sui rinforzi in ferro per la volta che alla sommità dello scalone d’onore avrebbe accolto una colossale statua di Pio VI benedicente (Ceccarelli, 1988, p. 78).
L’architetto, vedovo, dimorante nell’appartamento del rione Campitelli con gli otto figli (Filippo gli successe per qualche tempo come misuratore della Fabbrica di S. Pietro; Silvan, 2008a) e con la madre, morì a 55 anni per un improvviso accesso di «tosse vomica» il 13 maggio 1787, e fu «esposto e sepolto nella chiesa di S. Venanzio della nazione camerinese, sua parrocchia» (Chracas, Diario ordinario, n. 1292, 19 maggio 1787, p. 20; il persistente errore degli estremi biografici 1724-1781, corretto e riferito da Silvan, 2008b a Lavagnino, 1956, risale a Francesco Gasparoni, in Arti e lettere, 1863, p. 180). Il seguente 15 luglio il livornese Paolo Bargigli, «allievo del signor Michelangelo Simonetti architetto del Museo Pio Clementino», ottenne il primo premio di architettura al concorso della Reale Accademia di belle arti di Parma, «per la grandiosità e bellezza dello stile» (Giornale delle Belle Arti, n. 32, 11 agosto 1787, pp. 247 s.).
Fonti e Bibl.: Chracas, Diario ordinario, n. 8114, 2 dicembre 1769, pp. 12-19, n. 8296, 31 agosto 1771, p. 6, n. 8370, 16 maggio 1772, p. 5; Notizie del mondo, n. 5, 16 gennaio 1773, p. 40; Chracas, Diario ordinario, n. 8610, 3 settembre 1774, pp. 10 s.; Gazzetta universale, n. 72, 6 settembre 1774, p. 575 (Roma, 30 agosto); Chracas, Diario ordinario, n. 58, 22 luglio 1775, pp. 4 s., n. 90, 11 novembre 1775, pp. 3 s.; Roma antica, media e moderna [...] si è aggiunto il nuovo Museo Clementino..., Roma 1775, pp. 22 s.; Gazzetta universale, n. 40, 18 maggio 1776, p. 318 (Roma, 11 maggio); Chracas, Diario ordinario, n. 452, 1° maggio 1779, pp. 8 s.; Gazzetta universale, n. 67, 21 agosto 1779, p. 538 (Roma, 14 agosto), n. 99, 9 dicembre 1780, p. 188 (Roma, 2 dicembre); Gazzetta di Parma, n. 1, 5 gennaio 1781, p. 7; Gazzetta universale, n. 93, 20 novembre 1781, p. 744 (Roma, 14 novembre); Chracas, Diario ordinario, n. 756, 30 marzo 1782, pp. 2-4; G. Lombardi, Compendio della vita della beata Giovanna Maria Bonomi..., Bassano 1783 (in partic. pp. 131-136); Chracas, Diario ordinario, n. 1114, 3 settembre 1785, pp. 6 s.; Gazzetta universale, n. 71, 3 settembre 1785, p. 568; Memorie per le Belle arti, I, Anno MDCCXXXV, Roma 1785, pp. 27-34 e tav. della Pianta del Museo Pio Clementino unito alla Biblioteca Vaticana (febbrajo 1785); F.L. Gilii, lettera all’ab. F. Cancellieri, 28 giugno 1786, in De tintinnabulis Templi Vaticani recens iterato translatis, in [Id.,] Sylloge veterum monumentorum partim ex ineditis mss. partim ex autographis marmoribus concinnata notisque illustrata, Romae 1786, pp. 1993-2029 (in partic. pp. 1998-2001); Id., Il campanile ritrovato nel Tempio Vaticano dedicato a monsig. ill.mo e r.mo Guglielmo Pallotta economo della R. Fabbrica il dì 7 settembre 1770 da M. S., ibid., pp. 2002-2008; Chracas, Diario ordinario, n. 1292, 19 maggio 1787, pp. 18-20; [F. 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