ROSSI, Michelangelo (Michelangelo del Violino). – Nacque a Genova da Carlo, intorno al 1602 (l’atto di morte lo definisce «di età di anni 54»; Wessely, 1971)
Probabilmente ebbe la prima formazione musicale dallo zio, Lelio Rossi, frate servita, organista nella cattedrale di S. Lorenzo a Genova, al cui seguito si recò a suonare a Lucca per la festa dell’Esaltazione della Croce nel 1616 e nel 1621 (Moretti, 2000). Nel 1620 fu coadiutore dello zio come organista nella cattedrale di Genova.
Trasferitosi a Roma, nel 1624 era al servizio del cardinale Maurizio di Savoia. Quando nel gennaio 1627 il porporato lasciò Roma per tornare a Torino, Rossi, al tempo già apprezzato violinista, non lo seguì. Nell’ottobre del 1628 Maurizio di Savoia lo invitò a raggiungerlo, assieme al collega liutista Paolo Bisogni; ai primi di gennaio del 1629 Rossi si mise in viaggio per Torino, ma il soggiorno alla corte sabauda fu di breve durata: il 21 luglio era già di ritorno a Roma, essendosi incrinati i rapporti con il cardinale, come si desume da una lettera del conte Ludovico d’Agliè al porporato (The madrigals of Michelangelo Rossi, 2002, pp. 3 s.).
L’11 novembre 1629 Rossi fu nominato organista in S. Luigi dei Francesi, posto che mantenne fino a dicembre del 1632. In occasione delle musiche straordinarie per la festa del santo titolare, nel 1631 e nel 1632, venne impiegato anche come violinista. È probabile che, com’era avvenuto per altri artisti, musicisti e letterati, Rossi sia stato attratto nell’orbita dei Barberini, i familiari del pontefice regnante Urbano VIII, che nella corte di Roma avevano assunto una posizione dominante. Nell’agosto del 1630 Rossi era al servizio di Taddeo Barberini, principe di Palestrina e prefetto di Roma, godendo di un salario mensile di 9 scudi e del beneficio di un alloggio nella «casa del Soldano» (Moore, 1993, pp. 16 s.; Hammond, 1994, pp. 83, 300).
Per il principe Taddeo compose la musica del dramma Erminia sul Giordano di Giulio Rospigliosi, rappresentato a palazzo Barberini nel carnevale 1633, con scene del pittore Andrea Camassei e macchine dell’architetto Francesco Guitti.
Allo spettacolo Rossi partecipò anche come violinista, comparendo nella scena finale nelle vesti di Apollo, «sopra un carro sfavillante» e suonando «con sì dolce e grata armonia il suo violino» (così «Lo stampatore a chi legge», nella partitura a stampa, Roma 1637). Il dramma si fonda sulla libera rielaborazione di due episodi della Gerusalemme liberata tassiana (canti VI-VII e XIX), relativi alle vicende amorose di Erminia (il primo dei due era già stato utilizzato nella favola pastorale Il fiume Giordano di Rospigliosi), arricchite qui con alcuni episodi pastorali desunti dall’Aminta del Tasso e con l’intervento della maga Armida per procurare alcuni effetti scenotecnici. I tre atti dell’opera si articolano in una serie di quadri, caratterizzati da lunghi monologhi in stile recitativo e da brevi e semplici arie e ariette a una e due voci, inframezzate da vivaci numeri corali.
All’inizio degli anni Trenta dovrebbe risalire la prima edizione delle Toccate e corente [sic] d’intavolatura d’organo e cembalo, apparse in un’elegante edizione incisa in rame, quasi certamente da Nicolò Borboni, recante lo stemma del cardinale Antonio Barberini (a cura di K. Gilbert, Padova 1991).
Il 25 agosto 1634 Rossi lasciò Roma per recarsi a Parigi al seguito del cardinale Giulio Mazzarino; ma, giunto a Reggio, accettò l’offerta di entrare al servizio di Francesco I, duca di Modena. Non è noto fino a quando restò in servizio presso gli Este; di sicuro lo era ancora nel carnevale 1638, quando compose la musica del dramma L’Andromeda di Ascanio Pio di Savoia, rappresentato a Ferrara, nella sala grande delle commedie in palazzo ducale, con scene di Francesco Guitti, per le nozze di Cornelio Bentivoglio e Costanza Sforza.
Tentativi messi in atto da Rossi per recuperare la protezione di qualche potente famiglia romana, allo scopo di tornare a Roma, potrebbero essere visti in due iniziative editoriali realizzate in quegli anni: la stampa dell’Erminia sul Giordano (1637), con dedica alla principessa Anna Colonna, consorte di Taddeo Barberini, e una ristampa delle Toccate e corenti, priva di note tipografiche, ma recante nel frontespizio lo stemma Aldobrandini, forse riferibile a Giovan Giorgio principe di Rossano, morto nel 1637, o a sua figlia Olimpia, prima che nel luglio 1638 sposasse Paolo Borghese.
Non è nota l’epoca del ritorno a Roma. Stando a un documento trascritto a suo tempo da Saverio Franchi (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Agnese in Agone, Stati d’anime, anno 1647, attualmente irreperibile, gentile comunicazione di Orietta Sartori), un «Michelangelo musico», identificabile forse con Rossi, risulta alloggiare in casa del prelato genovese Carlo Emanuele Durazzo, nei pressi di piazza Navona. Nel 1648 Rossi risiedeva, insieme alla sorella Camilla, vedova, nella parrocchia dei Ss. Celso e Giuliano in Banchi. Nell’appartamento vennero censiti anche due «figlioli», Carlo di dodici anni e Francesco di sedici, con l’annotazione «fora» (ossia, si presume, lontani da Roma in quel momento).
Dal gennaio del 1649 all’agosto del 1655 Rossi fu nei ruoli della famiglia di Innocenzo X, in qualità di «cameriere extra [muros]», con il salario mensile di 4 scudi e mezzo, e il godimento di un alloggio. Come documentato dagli ‘stati delle anime’ della parrocchia dei Ss. Apostoli, in quegli anni abitava «in palatio familiae santissimi domini nostri Innocentii X», vale a dire nel palazzo detto anche dei Cappuccini vecchi, in via della Dataria, in cui risiedevano i cortigiani del Palazzo apostolico.
Il conseguimento della carica fa pensare che Rossi fosse entrato nell’orbita di qualche membro della famiglia Pamphili. La traccia di un possibile rapporto con il cardinale Camillo Astalli Pamphili emerge dai documenti di quest’ultimo: l’11 settembre 1651 il cembalaro Giuseppe Boni presentava un conto per aver riparato un «cimbalo che era prima del sig. Michelangelo del violino [...] d’ordine di S. Em.za» (Gialdroni, 2016). L’ipotesi sembra confermata dal fatto che Rossi conviveva nel palazzo dei Cappuccini vecchi (dal 1654 con la sorella Camilla) insieme con altri dipendenti del cardinale, tra cui il violinista napoletano Salvatore Mazzella, oltre che con il liutista Lelio Colista. La testimonianza di un’esibizione a tre – Rossi, Mazzella, Colista – resa da Athanasius Kircher nell’Itinerarium exstaticum (Roma 1656, pp. 33 s.) sembra dunque potersi realmente collocare nell’ambiente dell’emergente figura di Camillo Astalli Pamphili, proclamato cardinal nipote da Innocenzo X nel 1650.
Morto nel gennaio del 1655 il pontefice e definitivamente lontano da Roma il cardinale Astalli, Rossi perse la carica di cameriere pontificio e l’alloggio. Si stabilì in una casa di proprietà di Timoteo Ximenes, in via Gregoriana.
Morì a Roma il 7 luglio 1656; fu sepolto nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte. La sorella Camilla, «vedova genovese», continuò a vivere nella casa di via Gregoriana negli anni 1657-60 (Silbiger, 1983, p. 38; The madrigals of Michelangelo Rossi, 2002, pp. 23 s.).
Rossi godette già in vita di una straordinaria fama come violinista: lo testimoniano gli elogi che gli tributarono, tra gli altri, Pietro Della Valle, Giovan Battista Doni e Kircher. In mancanza di sue composizioni per violino, l’unica opera di musica strumentale data alle stampe, Toccate e corenti, riuscì ad assicurargli una fama duratura nella storia della musica per tastiera. A distanza di quasi un secolo dalla morte, il suo nome e quello di Claudio Merulo furono ricordati come «ein Paar fleißige Fantasten» da Johann Mattheson (Der vollkommene Capellmeister, Hamburg 1739, pp. 89 s.).
Un «ritratto di Michelangelo del Violino con cornice filettata d’oro», elencato nell’inventario dei beni del violinista Carlo Mannelli (1692; D’Ovidio, 2007, p. 189), fa ritenere che questi sia stato allievo di Rossi.
Delle Toccate e corenti, dopo le due citate edizioni degli anni Trenta, ne apparvero in Roma altre due, postume (C. Ricarii, 1657; G.B. Caifabri, post 1675). A Rossi sono attribuite anche quattro toccate, Versetti del 5° tono e Partite sopra la Romanesca, in alcuni fogli manoscritti, datati 1700-1701 (Bologna, Museo della musica, giunta all’esemplare delle Toccate e corenti, BB.258). Altre composizioni per tastiera copiate dalle Toccate e corenti o a lui attribuite sopravvivono in manoscritti compilati in Austria e in Inghilterra tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento (Silbiger, 1980, pp. 69 s.).
Oltre alla musica per tastiera restano 32 madrigali a cinque voci, trasmessi da un manoscritto, suddiviso in due libri, oggi a Berkeley (University of California, Music Library, Ms. 176, in The madrigals of Michelangelo Rossi, 2002). Il manoscritto reca in copertina lo stemma di Cristina di Svezia e sembra potersi datare all’epoca dell’arrivo della regina a Roma (1655) o poco più tardi. I madrigali di Rossi sono trasmessi anche da altre fonti manoscritte, la più importante delle quali è conservata a Montréal (Conservatoire de musique), coeva di quella di Berkeley. La composizione di questi madrigali dovrebbe, tuttavia, collocarsi in un arco temporale precedente, tra gli anni Venti e Trenta: il madrigale Mentre d’ampia voragine tonante è databile post 1631, giacché i versi di Giovan Battista Basile fanno riferimento all’eruzione del Vesuvio di quell’anno; mentre O prodighi di fiamme e di pietate avari, componimento che uscì nel 1644 tra le rime del poeta modenese Fulvio Testi, dovrebbe risalire agli anni Trenta (Kirnbauer, 2013, p. 187). Si pensa che questi madrigali siano stati composti per ambienti accademici frequentati da Rossi, come quelli gravitanti intorno ai cardinali Maurizio di Savoia e Francesco e Antonio Barberini. Lo stile polifonico dei madrigali, privi del basso continuo e senza concessioni all’uso di passaggi concertanti, si rifà a modelli del tardo Cinquecento: nell’uso frequente e ostentato di passi cromatici è palpabile l’influenza di Carlo Gesualdo (i suoi madrigali dovevano essere ben noti a Genova, dov’erano stati integralmente ripubblicati in partitura nel 1613 da Simone Molinaro). Alla formazione dello stile madrigalistico di Rossi potrebbe in parte aver contribuito Sigismondo d’India, attivo anch’egli alla corte romana del cardinale di Savoia. Le scelte poetiche dei madrigali si rivolgono in prevalenza a poeti cinquecenteschi: in primis Battista Guarini (14 componimenti), seguito da Giovan Battista Giraldi Cinzio, Giusto de’ Conti, Bernardo Tasso; meno frequenti i testi dei contemporanei, Giovan Battista Marino, Cesare Rinaldi, Testi, Basile. L’uso di cromatismi, i vivaci contrasti, l’energia di certe figurazioni ritmiche, i serrati passaggi imitativi che caratterizzano i madrigali di Rossi trovano corrispondenza nella sua produzione per tastiera e in particolare nelle toccate, il cui stile si rivela assai originale e affatto indipendente da quello di Frescobaldi.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia SS. Celso e Giuliano, vol. 76, c. 17v; Archivio di Stato di Roma, Camerale I, 1401-1408, passim.
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