RIDOLFI, Michelangelo
RIDOLFI, Michelangelo (Michele). – Nacque a Gragnano (Lucca) il 29 settembre 1793, da Angelo, fattore alle dipendenze del conte Giovan Battista Bottini. Bambino, ebbe i primi rudimenti del disegno dallo svizzero Giusto Waldespiell, all’epoca direttore dell’Accademia di belle arti di Lucca, che, apprezzatene le doti, ne parlò all’amico Bottini grazie al quale nel 1804 Ridolfi venne posto a studiare sotto la guida di Stefano Tofanelli, con cui rimase fino alla morte di lui nel 1812. A Lucca, viveva presso Anna Tessandori, cui rimase affezionato, tanto da accoglierla nella sua casa quando la donna divenne anziana.
Nel 1811 presentò all’Esposizione di Lucca Teti che prega Giove di favorire Achille, premiato con due medaglie d’argento, e nel 1812 Zenobia gettata nell’Arasse da Radamisto, acquistato dal conte Lelio Orsetti.
Grazie a una sovvenzione dell’aristocrazia lucchese, e in particolare del figlio del conte Bottini, Lorenzo, ottenne una borsa di studio triennale per svolgere un pensionato artistico a Roma, dove giunse nel maggio del 1813, insieme al collega Raffaello Giovannetti. A Roma cominciò a seguire le lezioni di Gaspare Landi e di Vincenzo Camuccini e venne da questi indirizzato a studiare le Stanze di Raffaello, «camere [che]» – avrebbe scritto più tardi – «mi apriron gli occhi come ad un cieco nato, e vidi con orrore, che non solo avevo perduto tutto il tempo che aveva studiato fin lì, ma che mi sarebbe stato quasi impossibile togliermi di dosso il cattivo stile che mi era formato» (Scritti d’arte e d’antichità di Michele Ridolfi, 1879, p. XII).
L’ammirazione per Raffaello, e l’esigenza di depurare la propria maniera dalle inflessioni neoclassiche, lo indussero a un recupero metodologico e non imitativo dell’opera di quel grande, «passando alle volte intere giornate dinanzi alla Disputa» nel tentativo di indagare i motivi per cui il pittore «avesse fatto uso di quello o di quell’altro espediente» (ibid.).
Delle tante conoscenze fatte allora, il legame con il pittore Tommaso Minardi si dimostrò il più profondo e duraturo, anche per le consonanze di spirito e di pensiero che univano i due e che con gli anni avrebbero portato Ridolfi a riconoscere in Minardi una guida artistica, oltre che un amico. Seguendo i consigli di Minardi, egli aderì ai principi del Purismo, assumendo a modello la pittura di Raffaello, e di riflesso, secondo un procedimento mentale comune ai puristi, quella dei quattrocentisti toscani.
Da quell’epoca Ridolfi cominciò a intrattenere fittissimi rapporti epistolari con artisti e intellettuali italiani ed europei, consuetudine che avrebbe mantenuto per sempre.
Nel 1816, ottenuto il rinnovo della borsa, allestì uno studiolo per conto proprio. Inviò allora a Lucca il San Paolo in carcere detta l’epistola per i Filippesi, eseguito per Lorenzo Bottini, e all’Accademia della città vari disegni, fra cui un cartone dall’Adamo di Michelangelo nella Sistina, accompagnati da attestati di Camuccini e di Antonio Canova.
Al 1817 risale un Gesù fra gli apostoli, dipinto realizzato per Macerata, e di cui era stato incaricato per l’intermediazione dello scultore Fedele Bianchini.
Grazie a Canova ottenne l’incarico per decorare una lunetta del Museo Pio Clementino, incarico che lo indusse a impratichirsi nella tecnica dell’affresco sotto la guida del pittore lucchese Domenico Del Frate, accademico di San Luca. Nella lunetta, realizzata nel 1818, svolse un tema che gli era caro: Giovani che disegnano dagli arazzi di Raffaello, e vi ritrasse se stesso insieme ai principali pittori Nazareni per i quali provava grande stima, in particolare Friedrich Overbeck, che egli considerava un maestro.
Nell’aprile di quello stesso anno tornò a Lucca e vi si stabilì definitivamente, rinunciando a ripartire per Roma, pur avendo ottenuto un’ulteriore proroga della pensione dalla duchessa Maria Luisa di Borbone.
All’epoca risale probabilmente il suo matrimonio con Angelina Nardi, se la loro figlia Enrichetta nacque nel 1818, come risulta dall’epigrafe tombale dettata dal fratello Enrico, e non nel 1826; la coppia ebbe altri tre figli: Sofia (1822), Enrico (1828), Augusto (1831).
Sebbene le sue concezioni estetiche puriste lo facessero sentire culturalmente isolato, le richieste di ritratti da parte dei Bottini e della casa regnante, per la quale eseguì il Ritratto di Carlo Ludovico di Borbone (Lucca, Museo nazionale di palazzo Mansi), lo rassicurarono riguardo al suo ruolo di artista. E tanto più si sentì apprezzato quando Maria Luisa lo volle come principale esponente della Commissione per la conservazione dei monumenti di belle arti e di incoraggiamento delle arti e manifatture, istituita il 31 agosto 1819, affidandogli l’incarico di redigere l’inventario delle opere d’arte esistenti nel Ducato.
Egli affrontò il compito con entusiasmo, fino a ideare, in vista di un’adeguata conservazione delle opere, una pinacoteca ove collocare i dipinti migliori delle chiese della città e del contado, da sostituirsi in loco con copie affidate a giovani pittori. Progetto che non ebbe futuro, anche per la morte della duchessa sopraggiunta nel 1824. Ma se la fondazione della pinacoteca non ebbe seguito, in compenso egli, come membro autorevole della Commissione, promosse molti restauri e interventi urbanistici, fra cui il recupero dell’anfiteatro romano, portato a compimento nel 1839.
Nel frattempo non trascurava la pittura: al 1820 risale il dipinto raffigurante Tre santi in estasi sulle ali dell’amor divino per la chiesa di S. Antonio a Viareggio; al 1822 il Ritratto della cantante Brigida Lorenzani (Lucca, Museo nazionale di palazzo Mansi), L’apparizione della Madonna a s. Felice cappuccino e l’incarico per la Madonna del Rosario per la cappella Pallicci-Orsetti nel cimitero urbano, compiuta nel 1832; e al 1823 quello per la Resurrezione di Gesù per il Duomo di Lucca, per la cui esecuzione chiese il parere di Camuccini, di Canova e di Minardi. Nello stesso anno eseguì anche un quadro per la cappella privata della duchessa, una Sacra conversazione con i ss. Carlo Borromeo, Teresa e Ludovico di Francia.
La curiosità intellettuale lo portò a esercitarsi nella tecnica del pastello fino a ottenere risultati di qualità, a occuparsi di litografia, tanto da creare una società fra giovani artisti attiva per più anni, a inventare una macchina per il disegno dal vero che gli valse una medaglia all’esposizione lucchese del 1822, ma anche a interessarsi ad argomenti estranei all’arte, come la malattia dell’ulivo e il modo di proteggere la pianta dai bruchi.
Nel 1825 il duca Carlo Ludovico di Borbone gli ordinò di decorare l’iconostasi per la cappella della villa reale di Marlia, adibita al rito greco, di cui l’architetto Lorenzo Nottolini curò il disegno della struttura lignea e degli intagli. I disegni preparatori, conservati al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, indicano come egli si cimentasse in soluzioni iconografiche inedite o rare, attenendosi a modelli che variano da Raffaello, a Canova, al primo Quattrocento.
Opere eseguite per il duca furono anche Il primo Concilio degli apostoli, tratto da uno studio eseguito negli anni romani e apprezzato da Canova, e L’apparizione di s. Gamaliele, entrambe del 1830, e ancora la lunetta con S. Stefano tra due angeli per la pieve omonima, prossima al casino di caccia del duca, dipinta nel 1838.
Altre commissioni di Carlo Ludovico rimasero incompiute, a causa del protrarsi nel tempo dell’esecuzione come per l’Ultima comunione di s. Luigi di Francia, ordinata nel 1836, e ancora da terminarsi nel 1846, o a causa della partenza da Lucca del duca nel 1847, come per la S. Stella del mare; opere note tramite i bozzetti, oggi conservati, insieme a quelli di altri dipinti di Ridolfi finiti o solamente ideati, nel Museo nazionale di palazzo Mansi.
Dal 1833 cominciò a tenere delle letture accademiche, poi pubblicate negli Atti dell’Accademia lucchese con il nome di Ragionamenti, sui restauri da lui eseguiti a nome della Commissione: fra i più rilevanti quello degli affreschi di Amico Aspertini in S. Frediano, condotto nel 1831 con la tecnica dell’encausto, e degli affreschi allora ritenuti di Giotto, in S. Giovanni. A quell’anno risale l’Assunta per l’oratorio lucchese di S. Benedetto, e al 1835 la S. Filomena per la chiesa della Trinità.
Con il prosieguo del decennio, il suo impegno per lo sviluppo artistico di Lucca divenne prioritario; fondò allora, insieme all’insigne matematico padre Michele Bertini, la Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri, che avrebbe dato origine all’istituzione delle Scuole tecniche domenicali, la cui presidenza fu affidata ad Antonio Mazzarosa e la direzione a Francesco Bianchi. I risultati ottenuti dalle scuole, «destinate a render popolari tutti quei sussidi della scienza più necessari al perfezionamento delle arti e delle manifatture» (Scritti d’arte e d’antichità..., 1879, p. XLI), furono presentati negli atti del V Congresso degli scienziati, svoltosi a Lucca nel 1843.
Nel 1836 pubblicò Sull’insegnamento in pittura, di cui Jean-Victor Schnetz dette conto all’Accademia di Francia di Roma, nel 1839. Il 1836 fu un anno di soddisfazioni per Ridolfi: fu eletto socio dell’Accademia dei Filomati e della Reale Accademia lucchese di scienze, lettere e arti; fece allora realizzare il gesso del Pietro da Noceto di Matteo Civitali, e ne fece dono alle più importanti accademie d’Europa insieme a una relazione che rivalutasse lo scultore. Il 27 luglio 1837, in seguito alla donazione di un suo dipinto raffigurante La Madonna in trono e santi a Gregorio XVI, molto apprezzato da Camuccini, fu nominato accademico di S. Luca.
Nel 1838 Carlo Ludovico gli affidò la decorazione del catino absidale di S. Alessandro, chiesa lucchese di cui il Nottolini curava il restauro, coadiuvato da Ridolfi per le consulenze filologiche.
Terminata nel 1840 e raffigurante la Madonna in trono fra i ss. Alessandro e Ludovico di Tolosa, la pittura è composta da poche figure cadenzate con pacata armonia sul fondo dorato, così che un’eco bizantineggiante si coniuga ai modelli desunti dai Primitivi toscani; è realizzata a encausto secondo il metodo detto a pennello, messo a punto dall’artista e da lui descritto in un trattato rimasto inedito fino ad anni recenti (Nicastro, 2005). Nel 1841 Ridolfi rese conto del lavoro in una lettera a Raoul Rochette, segretario dell’Académie des beaux-arts di Parigi.
Nel 1842 fece pubblicare nella Gazzetta di Lucca il discorso Del Purismo nelle Arti di Antonio Bianchini. Quell’anno eseguì l’Autoritratto a encausto, dal solenne tenore neocinquecentesco (Lucca, Museo nazionale di palazzo Mansi).
Da allora fino al 1847, data dell’annessione di Lucca al Granducato di Toscana, oltre a impegnarsi nell’elaborazione di un dipinto commemorativo della protezione del Volto Santo dal colera del 1836, mai ultimato, Ridolfi eseguì pochi lavori, e di minore importanza, per la corte borbonica. Nel 1848 restaurò la serie dei ritratti dei vescovi conservati nel salone del palazzo vescovile, e stilò insieme a Giovanni Barsotti l’ordinamento del nuovo Istituto di belle arti, attivo dal novembre del 1849, incrementando la didattica delle arti decorative.
L’attività di teorico del purismo e di storiografo lo distolse sempre più dalla pittura; cionondimeno nel 1849 portò a termine per la granduchessa Maria Antonia la S. Stella del mare ordinata anni prima da Carlo Ludovico (nel 1861 il quadro avrebbe figurato all’Esposizione nazionale allestita a Firenze), nel 1851 eseguì l’Autoritratto a encausto su intonaco (Firenze, Uffizi, Galleria degli autoritratti) che, presentato all’Esposizione universale di Londra, ottenne una medaglia di merito, e progettò una iconostasi per Anatolij Demidov, mai realizzata per incomprensioni con il committente.
Nel 1852 partecipò al concorso per la decorazione della cupola del battistero di Pisa, e dipinse un’Apparizione di Maria ai Sette ss. fondatori per la chiesa di S. Andrea a Viareggio. Quell’anno fu incaricato dal governo lorenese di esaminare gli oggetti d’arte da «estrarre» da Lucca, compito che dovette parergli quanto mai ingrato. Nel 1854 gli venne affidata la decorazione dell’abside della basilica di S. Frediano, ma, ammalatosi, non portò a compimento il progetto per il quale aveva pensato di chiedere l’aiuto del figlio Enrico, studente di pittura a Firenze.
Negli ultimi mesi della vita si applicò a redigere l’autobiografia, la morte però lo colse prima di averla compiuta, il 1° novembre 1854. L’artista fu inumato nella chiesa di S. Giovanni, e nel 1893 un suo ritratto in marmo, opera di Augusto Passaglia, venne collocato sulla tomba per volere del figlio.
Fonti e Bibl.: Lucca, Biblioteca statale, mss. 3590-3612: Carteggi di Michele Ridolfi (1814-1854); Archivio di Stato di Lucca, Commissione sopra le belle arti, 3, prot. 11 ottobre 1819; 18, prot. 28 ottobre 1819; Firenze, Archivio soprintendenza Gallerie Fiorentine, Affari dell’anno 1852, n. 45; Affari dell’anno 1854, n. 14; Lettera di A. Mazzarosa al Marchese G. Melchiorri Direttore del Museo Capitolino di Roma (1840), in Opere del Marchese A. Mazzarosa, V, Lucca 1886, pp. 224-230; L. Pacini, Intorno la vita e i dipinti di Michelangiolo Ridolfi, Lucca 1854; A. Mazzarosa, Cenni sul prof. Michele Ridolfi, in Le Arti del disegno, II (1855), 2, p. 4; Scritti d’arte e d’antichità di Michele Ridolfi pittore, a cura di E. Ridolfi, Firenze 1879 (in partic. E. Ridolfi, Della vita e delle opere del pittore Michele Ridolfi, pp. I-LXXIII); E. Ridolfi, Guida di Lucca, Lucca 1899; A. Doroni, Il pittore Michele Ridolfi da Gragnano di Lucca, Roma 1921; M. Ferretti, Politica di tutela e idee sul restauro nel Ducato di Lucca, in Ricerche di Storia dell’Arte, 1978-1979, n. 8, pp. 73-98; R.P. Ciardi, Il principe incostante: storia di un sovrano, di una commissione e di una collezione nella Lucca del primo Ottocento, in Actum Luce, X (1981), 1-2, pp. 19-45; M.T. Filieri, Progetti per un museo a Lucca. Da Stefano Tofanelli a Michele Ridolfi, in Fine di uno Stato. Il Ducato di Lucca (1817-1847), Atti del Convegno, Lucca... 1997, III. La cultura, parte prima, in Actum Luce, XXVIII (1999), 1-2, pp. 107-129; P. Giusti, Vicende, in breve, della Commissione sopra le belle arti e della formazione della «Reale Galleria», ibid., pp. 131-137; M.T. Filieri, Per una storia della formazione delle collezioni museali lucchesi, in Lucca città d’arte e i suoi archivi, a cura di M. Seidel - R. Silva, Milano 2001, pp. 405-414; A. Nannini, La Quadreria di Carlo Lodovico di Borbone duca di Lucca, Lucca 2005; B. Nicastro, Due manoscritti inediti di Michele Ridolfi: «Sul metodo dell’encausto» (BSL, ms. 3664/3); «Sulla tintura dei panni» (BSL, ms. 3664/5), Lucca 2005; Id., Michele Ridolfi e la realizzazione dell’encausto absidale nella chiesa di Sant’Alessandro a Lucca, in Actum Luce, XXXIV (2005), 2, pp. 179-192; L. Gaddi, Pitture su fondo oro del purista Michele Ridolfi, in Artista, 2008, pp. 6-27; P. Giusti Maccari, Prove di neoclassicismo tra Roma e Lucca, in Arte a Lucca. Un percorso nell’arte lucchese dall’Alto Medioevo al Novecento, a cura di M.T. Filieri, Lucca 2011, pp. 241-246.