MONSAGRATI, Michelangelo. –
Nacque a Lucca il 27 sett. 1719.
Nella prima gioventù frequentò i canonici regolari lateranensi di S. Maria Forisportam, presso cui maturò la decisione di entrare nella congregazione. Si recò quindi a Bologna, dove cominciò il noviziato nella canonica di S. Salvatore: il 30 nov. 1734 ricevette l’abito religioso e, l’anno successivo, fece la sua professione solenne.
Nell’atmosfera devota e studiosa del convento bolognese il M. subì il fascino di protagonisti dell’erudizione ecclesiastica come C. Migliavacca, L. Pasini, A.A. Galli, G.G. Trombelli, G. Azzoguidi, che avevano fatto della congregazione renana un cenacolo di rinnovamento degli studi monastici. Il M. si fece notare con una dissertazione scritta nel 1742 per il legato di Bologna cardinale G. Alberoni, che convinse i superiori a inviarlo alla casa generalizia di S. Pietro in Vincoli a Roma per perfezionare gli studi teologici. Rientrato a Bologna, andò a occupare la cattedra di teologia a S. Salvatore. Nel 1748 fu promosso alla più prestigiosa cattedra teologica di S. Pietro in Vincoli e si trasferì a Roma in compagnia di Galli, appena eletto procuratore generale dell’ordine; in quello stesso anno, il M. fu nominato titolare dell’abbazia di S. Michele in colle a Lucca.
Appena giunto a Roma, grazie anche alla fama che i suoi confratelli godevano presso Benedetto XIV, il M. fu ascritto all’Accademia di storia ecclesiastica e nominato consultore della congregazione dell’Indice.
Nell’ambito dell’Accademia, voluta da Benedetto XIV per selezionare il personale curiale e per difendere le ragioni della Sede apostolica a fronte della sempre più aggressiva politica giurisdizionalista degli Stati e della incalzante critica storica, il M. fu assai attivo, pronunciandovi diverse dissertazioni fra cui, degna di nota per l’esplicito riferimento critico agli Annali muratoriani da poco pubblicati, quella sul patrimonio delle Alpi Cozie restituito da Ariberto II re dei Longobardi a papa Giovanni VII.
Nel frattempo, probabilmente su invito tanto dei superiori che del papa stesso, preparò una dotta De catenis S. Petri dissertatio, pubblicata a Roma nel 1750 e dedicata a Benedetto XIV.
Si tratta di una difesa del culto cattolico delle reliquie contro i detrattori antichi (Calvino) e moderni (J. Basnage), in cui si estendono ai temi sacri le metodologie di indagine già adottate per le antichità profane; in particolare vi si indaga la provenienza delle catene custodite nella basilica retta dai Canonici regolari, che il M. ritiene autentiche e portate a Roma nel VII secolo, l’origine della festa e i fatti miracolosi loro attribuiti. Al contrario, dichiara false analoghe reliquie disseminate nel resto d’Italia e infondata la leggenda che il simbolo delle chiavi apostoliche fosse collegato alle catene medesime. La dissertazione del M. ebbe una buona ricezione sulla stampa erudita, sia romana sia italiana ed estera.
Un cauto spirito critico caratterizza anche l’attività del M. in qualità di consultore dell’Indice prima, e del S. Uffizio poi (dal 1763).
Nel 1753, per esempio, giudicò affatto esente da censura e anzi profittevole per i fedeli e per la Chiesa romana Della regolata devozione dei Cristiani di L. Muratori, caldeggiando invece la proibizione del suo avversario, il gesuita Benedetto Piazza. Si pronunciò, invece, per la proibizione del trattato sull’usura dell’altro gesuita, Nicolò Ghezzi, Dei principi della morale filosofia riscontrati co’ principi della cattolica religione (Milano 1752), che aveva infiammato la polemica tra le correnti di teologia morale (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Index, protocolli 1753-54, cc. 5-18, 252-259).
Il M. del resto, come altri confratelli, era in quegli anni vicino alla fazione rigorista, sebbene in seguito fosse sospettato da alcuni dei più intransigenti di aver abbandonato il primitivo rigore. Negli anni questo spostamento si rese più evidente, tanto che al M. fu assegnato il delicato compito di giudicare la traduzione italiana, apparsa a Napoli tra il 1758 e il 1760 dell’Exposition de la doctrine chrétienne di Fr.-Ph. Mésenguy, la cui proibizione da parte dell’Indice nel 1755 aveva suscitato violente reazioni in Francia negli ambienti filo-giansenisti.
Il M. ne presentò un’accurata disamina, confrontando il testo con l’originale e questo con le dottrine gianseniste e quesnelliane sulla grazia, l’amministrazione dei sacramenti e l’ecclesiologia, auspicando una proibizione assoluta con breve apostolico speciale, poi effettivamente promulgato il 14 giugno 1761 (Ibid., Sant'Uffizio, Stanza storica, Q 5 b).
Lo spirito critico manifestato dal M. in qualità di censore non andò comunque disgiunto da una rigida intransigenza nei confronti di quelle opere storico-politiche critiche con la Sede apostolica o di ispirazione illuminista, come ad esempio l’Essai historique et critique sur les dissentions des églises de Pologne, pubblicato sotto falso nome e luogo da Voltaire, che il M. giudicò «infame libercolo» finalizzato a «promuovere l’indifferentismo e tollerantismo in materia di religione» (Ibid., Censurae librorum, 1770, f. 6). Per altro, in alcuni casi non si mostrò alieno da una prudenza tattica più consona a perseguire gli scopi della censura ecclesiastica nella lotta all’irreligione (ibid., 1783-84, f. 8: a proposito del Traité des trois imposteurs).
Successivamente, qualificando da teologo i dubbi in materia sacramentale e rituale presentati al S. Uffizio, il M. si attenne sempre a una linea di prudenza e sulla falsariga di un moderato rigorismo: spiccano, in tal senso, soprattutto un consulto sull’annosa questione dei riti cinesi e un altro sul rito battesimale nelle missioni africane, argomento sul quale preparò anche una speciale istruzione ai missionari deplorando l’uso troppo facile di spugne e altre forme improprie (ibid., Dubia Varia, 1768-69, f. 7; Dubia circa baptismu, 1770, f. 11). Inoltre, il M. fu consultore delle congregazioni de Propaganda Fide e dei Riti.
Il M. non tralasciò l’erudizione profana. La sua seconda opera a stampa, approntata per celebrare l’elevazione alla porpora del confratello Galli, fu un commento storico-artistico alle Aedium Farnesiarum tabulae ab Annibale Caraccio depictae a Carolo Caesio aeri insculptae atque illustratae (Roma 1753), con lo pseudonimo di Lucio Filarcheo, puntualmente svelato dal Giornale de’ letterati (1753, p. 391).
Grazie alla sua solida reputazione, il M. fu chiamato da Benedetto XIV nella speciale commissione per la riforma del breviario romano che, tuttavia, non giunse mai a termine. In seguito lo stesso papa Lambertini commise al M., insieme con il gesuita P. Lazzeri, la redazione della versione aggiornata e corretta dell’Index librorum prohibitorum, fermo ormai da mezzo secolo.
Il lavoro si rivelò complesso dal punto di vista bibliografico e richiese vari mesi per il necessario riscontro tra gli indici antichi e gli esemplari delle opere conservate nelle biblioteche romane al fine di correggere le indicazioni e poter adottare l’ordine alfabetico. Solo nel 1758 fu pubblicato, con una lettera introduttoria del segretario dell’Indice T.M. Ricchini che di fatto faceva proprie le spiegazioni dei criteri adottati preparate dal Monsagrati.
Clemente XIII lo promosse anche all’incarico di esaminatore dei vescovi. In quello stesso scorcio di tempo è probabile che il M. lavorasse, su istanza del cardinale D. Passionei, a una nuova edizione della raccolta Conciliorum ac doctorum selectae sentientiae illustrantes decretum sess XXIV et XXV Concilii Tridentini de creatione cardinalium (Lucca 1759). Sempre su impulso di Passionei, il M. si dedicò alla raccolta di materiali epigrafici, in seguito pubblicati dal nipote del cardinale, Benedetto Passionei, con il titolo Iscrizioni antiche disposte per ordine di varie classi ed illustrate con alcune annotazioni (ibid. 1763).
Nel 1761 il M. fu incaricato da Clemente XIII di una speciale missione diplomatica a Madrid, dove fece almeno due soggiorni tra il 1761 e il 1763, intervallati da un breve ritorno a Roma e da una lunga permanenza a Genova.
L’oggetto preciso della missione resta incerto: il M. stesso non ne fa menzione né nella corrispondenza con il nunzio, né nelle missive ai confratelli. È assai probabile che il M. (che aveva consigliato al papa prudenza nel trattare la difficile causa della Compagnia di Gesù in Francia, dove era minacciata di espulsione) fosse stato inviato a Madrid a margine degli affari gesuitici, per scongiurare che «la guerra che si fa in Francia contro la Compagnia non si dilati e non si estenda contro la S. Sede» (lettera del M. al segretario di Stato card. Torrigiani: Roma, Arch. generalizio dei Canonici regolari lateranensi, 502.1.4622).
Al ritorno dalla missione la carriera del M. riprese nei consueti binari, dentro e fuori l’Ordine. Già eletto assessore, nel 1766 divenne procuratore generale, carica che mantenne fino al 1793.
Nel 1767, alla morte di Galli, il M. prese a occuparsi della biblioteca di S. Pietro in Vincoli. Si dedicò alla biblioteca con crescente passione, riversandovi la propria collezione di libri oltre ad arricchirla con doni grazie alle proprie rendite personali (ebbe nel tempo un canonicato a S. Pietro e un beneficio semplice a S. Lorenzo de’ Guerrieri di Bologna). La biblioteca, risistemata e notevolmente ampliata, fu visitata da Pio VI nel 1779.
Il M. continuò sempre a servire da consultore delle diverse congregazioni romane e in altri delicati affari della Sede apostolica. Preparò tra l’altro, insieme con G. Garampi e F.A. Zaccaria, il testo contro la puntuazione di Ems, approvato da una commissione cardinalizia e pubblicato a Roma nel 1790 (Sanctissimi domini nostri Pii papae sexti responsio ad metropolitanos Moguntinum, Trevirensem, Coloniensem et Salisburgensem super nunciaturis apostolicis). Nel 1791-92 fu tra i teologi chiamati a esaminare gli atti del sinodo di Pistoia per conto del cardinal Garampi: le sue critiche mostrano una vasta conoscenza di Giansenio e una eclettica cultura teologica, ma rivelano anche «un radicale attaccamento alle tradizioni della curia romana, un’avversione istintiva nei confronti del riformismo unilaterale dei sovrani illuminati e un’ostilità aperta contro il giansenismo» (Stella, p. 476).
Diventato superiore del convento nel quale aveva trascorso la maggior parte della sua vita, il M. fece in tempo ad assistere alla nazionalizzazione della biblioteca della canonica sotto il governo della Repubblica Romana, evento che gli fu esiziale.
Il M. morì a Roma il 26 ott. 1798 e fu sepolto a S. Pietro in Vincoli.
Opere: L’opera principale del M., il De Catenis, fu ripubblicata a Roma nel 1828, e poi tradotta in italiano e pubblicata da L. Giampaoli, Memorie delle Sante Catene di S. Pietro apostolo, Prato 1884. Postuma è l’edizione di S. Anselmi… ad quemdam, qui monasterium ingressus illud deserere volebat epistola ex cod. ms. Bibl. S. Petri ad Vincula Urbis nunc primum vulgata. Accedunt in Decretum ms. S. Anselmi… ex ead. biblioth. animadversiones…, Lucca 1821. Alcuni manoscritti del M. sono conservati a Roma presso l’Archivio della Procura generale dei Canonici regolari lateranensi in S. Pietro in Vincoli, fra cui: De Trinitate (ms. 118), De Romano Pontefice (ms. 245), De Trinitate (ms. 92).
Fonti e Bibl.: Oltre alle opere manoscritte una vasta mole di materiale archivistico relativo al M. si trova in Roma, Arch. della Procura generale dei Canonici regolari lateranensi in S. Pietro in Vincoli; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Sant'Uffizio, Stanza storica, M7t II; M3C; Qq3g; Censurae librorum, 1765, f. 1; 1794-95, f. 5; Index, protocolli 1755-57; Roma, Biblioteca nazionale, S. Gregorio, 54, c. 299 (una lettera a G. Nani del 1795); Bologna, Biblioteca universitaria, Mss. 2426; 2481 (lettere del M. spedite al confratello G.G. Trombelli, 1749-78); Venezia, Biblioteca Marciana, Mss. it., cl. X, 119-120; per le lettere del M. conservate presso la Biblioteca Marucelliana si veda il catalogo Manus (http://manus.iccu.sbn.it/), Novelle Letterarie, 1751, p. 650. Acta eruditorum, 1755 p. 200; P. Cavalieri, Memorie sulle vite ed opere dei pp. abati Gian Luigi Mingarelli e M. M., Ferrara 1817; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli studi di Roma, IV, Roma 1806, p. 285; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel sec. XVIII, Modena 1827, p. 91; Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, Lucca 1831, pp. 256 s.; Biografia degli Italiani illustri, a cura di E. de Tipaldo, III, Venezia, 1836, pp. 271-273; Giorn. arcadico di scienze, lettere e arti, L (1851), pp. 280-283; F. Brocchi, Collezione alfabetica di uomini e donne illustri della Toscana, Firenze 1852, p. 38; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, p. 109; M.P. Donato, Gli «strumenti» della politica di Benedetto XIV: il Giornale de’ Letterati (1742-1759), in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1997, 1, p. 48; U. Agnati, Per la storia romana della provincia di Pesaro e Urbino, Roma 1999, p. 329; P. Vismara, Oltre l’usura: la Chiesa moderna e il prestito a interesse, Soveria Mannelli 2004, pp. 184-186; P. Stella, Il giansenismo in Italia, II, Roma 2006, pp. 49, 54-57, 62 s., 65, 70, 474-478, 499; P. Delpiano, Il governo della lettura: Chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Bologna 2007, pp. 88, 153; E. Rebellato, La fabbrica dei divieti. Gli indici dei libri proibiti da Clemente VIII a Benedetto XIV, Milano 2008, pp. 211, 215 s., 221; D. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, IX, p. 255.