CARAVAGGIO, Michelangelo Merisi o Amerighi da
Pittore. Due epigrafi scoperte nella Biblioteca Vaticana precisano l'età di Michelangelo Merisi il giorno della sua morte, permettendo così di determinare il giorno della nascita: 28 settembre 1573. Comunque, qualora queste epigrafi non fossero così attendibili come sembra è indubbio che Michelangelo nacque in Caravaggio presso Bergamo, né molto prima, né molto dopo il 1570, figlio di un architetto del marchese di Caravaggio. La più antica notizia documentata è in Milano un atto notarile del 6 aprile 1584, per cui Michelangelo è assunto per quattro anni come allievo del pittore Simone Petrazano. Poco sappiamo del suo soggiorno milanese; il Bellori ce lo descrive "torbido e contentioso" fuggire per alcune discordie da Milano a Venezia. Ma fu il C. veramente a Venezia? Poco importa alla critica che il viaggio di C. a Venezia abbia o non abbia avuto luogo. Il problema del viaggio a Venezia del C. deve essere convertito nell'altro problema della formazione artistica di lui. E allora si trova geniale ed acuta l'intenzione del Bellori di inviare Michelangelo dopo Milano a Venezia, "ove si compiacque tanto del colorito di Giorgione che se lo propose per iscorta nell'imitazione". L'educazione del C. fu manieristica, perché il manierismo era la lingua comune della pittura del suo tempo; e manierista di scarsa personalità era quel Simone Petrazano che il documento milanese ha rivelato come primo maestro del C. Ma nel manierismo lombardo notevolissimo era l'elemento veneto; anzi il Petrazano che si firmava Titiani discipulus è un epigono della grande arte veneta. Proprio quindi sulla base degli ultimi documenti deve il C. essere ricollegato con la grande arte veneta, e d'altronde una ricerca tonale e luministica non può essere ricollegata se non a Venezia. I contemporanei dinnanzi alle sue opere hanno fatto il nome di Giorgione, che in sé meglio di ogni altro sintetizza la tradizione veneziana; recentemente non senza ragione sono stati notati influssi del Lotto, del bresciano Savoldo, del lombardo Solaro, in genere dei pittori grandi e provinciali di Brescia e di Bergamo, e particolarmente il ricordo delle ricerche luministiche di Antonio Campi: ma tutto ciò resta laterale all'influsso di Venezia.
Al soggiorno milanese succede il romano. I principî gli sono duri; è sfruttato da prelati di poca coscienza, si ammala ed è ricoverato all'ospedale. Caduto nella miseria, si adatta a far del mestiere, a dipingere fiori per il Cavalier d'Arpino; poi s'inimica costui e per dipingere figure si associa a Prosperino delle Grottesche. Ma circa il 1592, ottenuta la protezione del cardinale del Monte e la commissione dei quadri di S. Luigi dei Francesi, s'impone all'ammirazione dei pittori, ottiene fama popolare e suscita contro di sé un'intera schiera d'invidiosi nemici, ai quali risponde in tutti i modi: con una serie di capolavori, con diffamazioni, con ferimenti, con un omicidio. Dal 1603 al 1605 quattro processi s'istruiscono contro di lui; ma sfugge al carcere per intercessioni di potenti; ripara a Genova ed è riammesso a Roma ove lavora per papa Paolo V e per il cardinale Scipione Borghese. Nel 1606, divenuto omicida, fugge di nuovo e si trattiene sino all'anno successivo nei dintorni di Roma, in attesa di un perdono che non giunge. Allora si reca a Napoli, quindi a Malta, ove il ritratto di Alof di Wignacourt gli ottiene accoglienze e onori. Ma la natura lo incalza: offende un cavaliere ed è cacciato in galera donde fugge a Siracusa, a Messina, a Palermo, sempre perseguitato, poi di nuovo a Napoli, dove è raggiunto e ferito nel volto. Sopra una feluca ripara a Porto Ercole, dove per errore è trattenuto due giorni in prigione; liberato non trova più la feluca con le sue robe. Allora disperato e stanco abbandona sulla spiaggia del Tirreno il corpo ferito e, preso dalla malaria, muore senza assistenza umana il 18 luglio 1610.
Una vita dura, tragica, e anche fosca, dunque. E, ove qualche sintomo della vita s'intravede nell'opera del pittore, ivi l'arte s'intorbida in qualche figura volgare. Ma è sintomo raro. Alcuni dei suoi quadri furono rifiutati dagli altari perché apparvero irriverenti alla religione; la maggior parte dei contemporanei credette di poter rilevare il carattere volgare della sua arte, e non è mancato chi abbia ricollegato queste presunzioni con le azioni criminali del C. uomo. Ma la Morte della Madonna rifiutata dagli altari è forse il quadro più profondamente religioso del Seicento italiano.
L'interpretazione realistica dell'arte del C. risale, a quanto pare, al programma esplicito del pittore stesso: "Essendogli mostrate le statue più famose di Fidia e di Glicone, acciocché vi accomodasse lo studio, non diede altra risposta, se non che distese la mano verso una moltitudine di huomini, accennando che la natura l'havea a sufficienza provveduto di maestri". Il Bellori ha poi dato un contenuto storico al "realismo" del C. contrapponendolo all'"idealismo" di Annibale Carracci. Ma il realismo di lui è un programma e l'arte incomincia soltanto dopo esaurito il programma; l'interpretazione realistica è soltanto l'effetto di un'insufficienza critica.
Non più estranea alla critica è l'interpretazione formalistica dell'arte del C. Chi detesta l'impressionismo e adora la forma classica ha veduto i limiti rigorosi dei corpi, i piani precisi, i rilievi dei solidi, ha proclamato il maestro l'ultimo classico, ha indicato ingegnosi confronti con Ingres. Sennonché, sin dal tempo del Bellori, è noto che la grande novità, recata dal C. nel gusto romano della fine del Cinquecento, è la sua interpretazione luministica della realtà. Alla fine del Cinquecento la differenza tra chiaroscuro e luce e ombra aveva già preso un significato storico, in quanto il chiaroscuro, di creazione fiorentina e d'intento formale, traeva la sua origine dalle gradazioni di bianco e di nero, che non sono e che non erano ritenuti colori, mentre la luce e ombra, di creazione veneziana e d'intento cromatic0, si attuava nel contrasto dei colori, p. es. di giallo (luce) e di azzurro (ombra). Non si negano gli elementi plastici o ricerche formali, p. es. nell'angelo del Riposo durante la fuga in Egitto o nel Bacco, né si nega che quegli elementi o quelle ricerche possano dare una soddisfazione estetica a tutti; ma deve essere chiarito che in quegli elementi e in quelle ricerche consiste l'attività liminare e non quella centrale del C. Tanto è vero che appena ha potuto, egli si è dedicato a effetti artistici totalmente diversi.
La personalità del C. si rivela pienamente nei quadri di S. Luigi de' Francesi in cui realizza il nuovo effetto di luce notturna cui dopo si attenne costantemente. Ivi egli attenua i singoli colori, limita la luce, perché sia parziale le dà l'aspetto di notturno. La sintesi di ogni elemento della pittura è ottenuta e insieme l'umanità dell'artista diviene intensa. Onde sorgono le sue composizioni più felici: il delicato biancore dell'angelo, che continua attorno a Matteo scrivente per avvolgerlo d'ideale; il rotolare ineluttabile delle immagini sul cadavere del Cristo deposto (Vaticano); il cerchio compiuto e immobile, come pietrificato, di Paolo e del suo cavallo (S. Maria del Popolo). La luce insiste, sfiora e nasconde a volontà, costruisce lo spazio, inscrive i piani, precisa le forme, penetra nell'anima. Ne scaturisce una vita lenta e solenne, severa e raccolta, bene piantata e piena di coraggio. E appena osiamo distrarci dall'insieme per ammirare i singoli pezzi di bravura. In seguito la luce del C. diviene più nervosa, appare e sfugge con più frequenti interruzioni, nasconde masse sempre più ampie. Le immagini appaiono con più immediata potenza, quasi lampi attraverso le tenebre. I pezzi di bravura scompaiono dall'esecuzione; e l'impressione è più forte quanto più rapida la luce. Uno scoppio luminoso coglie nel raccoglimento pensieroso Davide e insiste sull'orrida testa mozza del Golia (galleria Borghese), abbaglia i discepoli in Emmaus (Londra).
Ancora le riflessioni luminose divengono più varie, più vaste, associano alla scena il fondo, quasi eco penombrata. E tuttavia rimangono immagini in pose granitiche colpite ma non scosse, non trascinate dalla mobile luce. È il momento della Morte della Vergine (Louvre): la luce è sfacciata sul cadavere, sulle calvizie, sulla schiena della ragazza piangente, accenna altrove, sfuggendo, a profili pensosi, a rughe profonde, a muraglie ignude. Entra improvvisamente il gran fiotto di luce per rivelare l'inesorabile cruda realtà della morta, e il gruppo di uomini induriti nel dolore, in un dolore senza urli. Infine i corpi si spianano, e le figure si fanno più piccole per dare respiro più libero agli spazî e alle cose. Nella Decollazione di S. Giovanni (Malta) le immagini perdono ogni loro materiale attaccamento alla terra. Sono ombre dai classici contorni, sono anime rivelate.
In conclusione il gusto del C. può essere considerato la sintesi e la continuazione del gusto veneziano del Cinquecento. Di quel gusto può anche ammettersi che l'antecedente sia stato il Bronzino, ma la conseguenza fu Rembrandt. Solo così nella successione storica dal formalismo al luminismo, può intendersi lo sviluppo dei criterî del C., per cui egli chiuse il Rinascimento italiano, e fu in questo senso l'ultimo classico, ma aperse il gusto moderno, e in questo senso fu nel suo tempo il più radicale riformatore anticlassico. In quello sviluppo l'accento personale del C. è il bisogno prepotente di semplificazione e di unità. Un accento di serenità e di abbandono pervade le sue prime pitture. E insieme egli dimostra la sicura onestà del proprio mestiere: distende solidamente la forma, ottiene immediata la sensazione della massa, precisa la consistenza della materia. Nell'ultima sua maniera egli assorbe nella luce non i colori soltanto, ma anche la forma; non le immagini soltanto, ma anche la composizione. Da tale unità, da tale fusione di tutti gli elementi della pittura in uno solo, scaturisce un'immediatezza di visione che fu a tutti meravigliosa. Oltre che, dal considerare gli oggetti animati ed inanimati in funzione di luce, deriva la possibilità di limitare il soggetto di un quadro a un canestro di frutta o a un vaso di fiori, perché tutto viene inaspettatamente spiritualizzato dalla luce. A tutti coloro, contemporanei o posteri, che strillarono per lo scempio dell'arte, le opere del C. oppongono imperturbabili l'evidenza contraria, la loro spiritualizzazione della materia.
Opere: Berlino, Kaiser Friedrich Museum: S. Matteo e l'angelo, Amore vincitore, Ritratto di ragazza, Sacra Famiglia, Cristo sul monte degli Ulivi (?); Charlottenburg, Castello: Incredulità di S. Tommaso; Firenze, Uffizî: Bacco, Medusa, Sacrifizio d'Isacco (?); Pitti: Amore dormiente; Coll. della principessa Anna Corsini: Ritratto del cardinale Maffeo Barberini; Londra, National Gallery: La cena di Emmaus; Malta, Valletta, S. Giovanni: Lo decollazione del Battista, S. Girolamo; Messina, Museo: Natività; Milano, Ambrosiana: Canestra di frutta; Napoli, S. Domenico Maggiore: Flagellazione di Cristo; Chiesa del Monte della Misericordia: Le sette opere della Misericordia; Palermo, Oratorio della Compagnia di S. Lorenzo: Natività; Parigi, Louvre: L'indovina, Morte della Vergine, Ritratto di Wignacourt; già Coll. Sciarra: Il baro; Leningrado, Ermitage: Suonatrice; Roma, Galleria Borghese: S. Girolamo, S. Giovanni Battista, Davide con la testa di Golia, S. Anna, la Madonna e Gesù; Galleria Vaticana; Deposizione; Galleria Doria: Riposo in Egitto, Maddalena, S. Giovanni Battista; Galleria Barberini: S. Caterina; Collezione dei principi Borghese: Ritratto di Paolo V; Collezione dei marchesi Patrizi: La cena di Emmaus; S. Luigi de' Francesi: S. Matteo e l'angelo: Vocazione di S. Matteo, Martirio di S. Matteo; S. Maria del Popolo: Crocefissione di S. Pietro, Caduta di S. Paolo; S. Agostino: Madonna di Loreto; S. Andrea in Vincis: I Ss. Quattro Coronati (?); Siracusa, S. Lucia: Seppellimento di S. Lucia; Vienna, Museo: Madonna del Rosario, Davide con la testa di Golia; Coll. Liechtenstein: Suonatrice.
V. tavv. CCXXXVII-CCXL.
Bibl.: Principali fonti: G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architecti, Roma 1642; G. P. Bellori, Le vite de' pittori, scultori et architecti, Roma 1642; G. Mancini, Michelangelo da C., pubbl. da L. Venturi, in L'Arte, XIII (1910), pp. 279-84. Principali monografie critiche: W. Kallab, C., in Jahrb. d. kunsthist. Samml. d. allerh. Kaiserhauses, XXVI (1906-1907), pp. 272-92; L. Venturi, Studi su M. da C., in L'Arte, XIII (1910), pp. 191-201, 268-84; H. Posse, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, V, Lipsia 1911; F. Witting, M. da C., Strasburgo 1916; M. Marangoni, il C., Firenze 1922; H. Voss, C.s Frühzeit, in Jahrb. d. preuss. Kunstsamml., XLIV (1923), pp. 73-98; Ojetti, Dami, Tarchiani, La pittura italiana del Sei- e Settecento alla mostra di Palazzo Pitti, Milano 1924; L. Venturi, Il C., 2ª ed., Roma 1925; H. Voss, Die Malerei des Barocks in Rom, Berlino 1925; N. Pevsner, Eine Revision der Caravaggiodaten, in Zeitschr. f. bild. Kunst, LXI (1927-28), pp. 386-92; L. Zahn, C., Berlino 1928; N. Pevsner, Die Lehrjahre des C., in Zeitsch. f. bild. Kunst, LXII (1928-29), pp. 378-88; R. Longhi, Quesiti Caravaggeschi, in Pinacotheca, 1928, pp. 17-38; 1929, pp. 258-320.