FUMÈ, Michelangelo
Nacque ad Alba, nelle Langhe, intorno al 1750. Entrato giovanissimo nel monastero camaldolese di S. Croce di Fonte Avellana, emise la professione religiosa il 15 ott. 1766. Dopo l'ordinazione sacerdotale ricevuta al termine degli studi di filosofia e teologia, venne nominato lettore e destinato all'insegnamento della teologia, dapprima nell'abbazia di Fonte Avellana e poi, dal settembre 1773, in quella romana di S. Gregorio al Celio. A Roma il F. si fece apprezzare dal suo confratello C. Biagi, lettore di teologia nel Collegio Urbano di Propaganda Fide, il quale lo introdusse negli ambienti del Giornale ecclesiastico di Roma.
Durante il suo soggiorno romano il F. compose una Difesa delle dottrine del concilio di Trento contro il Trattato storico-critico-dogmatico sulle indulgenze, stampato nell'opera falsamente iscritta: Opuscoli interessanti la religione, Pistoja presso Bracali l'anno 1787, apparso anonimo e con il luogo fittizio di stampa di Pantapoli (ma Roma) nel 1789.
Lo scritto era diretto a confutare il Trattato… sulle indulgenze dell'oratoriano genovese V. Palmieri, già fatto oggetto degli attacchi del Giornale ecclesiastico (S. Cipriani, Un importante trattato giansenistico sulle indulgenze e il sinodo di Pistoia, in Divus Thomas, LII [1949], pp. 142-160). Il lavoro del F., giudicato "ottimo" dal Cernitori (Biblioteca polemica, p. 63), si apriva con una dedica al "gloriosissimo principe degli apostoli S. Pietro" e proseguiva con una rapida presentazione delle tesi del Palmieri, il quale trattava d'invenzione scolastica la dottrina del "tesoro" dei meriti di Cristo e dei santi, da cui faceva discendere vari abusi in materia di indulgenze, e giudicava "ridicola" quella dei defunti, negando pure ogni valore teologico e storico ad alcune delle indulgenze più note e diffuse, come quella della Porziuncola, delle stazioni della Via Crucis, delle crociate e del giubileo. Nella prima parte della sua opera il F. si proponeva di "rispondere adeguatamente" all'oratoriano, col dimostrare "cosa sieno le indulgenze, e quale sia la natura di esse", che "l'indulgenza è una remissione della pena temporale", che "esiste il tesoro risultante da' meriti infiniti di N.S. Gesù Cristo, e de' Santi", "a chi sia stato consegnato un tale tesoro, e perciò a chi tocchi dispensarlo…, quale sia il soggetto", "quali sieno le disposizioni necessarie all'acquisto di esse", e infine "quale sia la giusta moderazione nel conferir le indulgenze". Nella seconda parte il F. trattava delle indulgenze dei defunti, e "dell'altre indulgenze particolari dall'Autore o negate o messe in dubbio" (Difesa, pp. 41 s.).
Nel 1789 il F. sostituì per alcuni mesi il Biagi, infermo, nell'insegnamento al Collegio Urbano, e venne nominato da Pio VI consultore della congregazione dell'Indice. Quattro anni dopo, nel 1793, fu promosso abate e mandato a governare il monastero di S. Maria degli Angeli a Pesaro, ma vi rimase soltanto un biennio poiché, nel capitolo generale camaldolese, tenutosi nel cenobio di S. Ippolito di Faenza nel maggio 1795, venne eletto generale di tutta la Congregazione, succedendo all'abate G. Guastuzzi. Patrono della sua elezione fu con tutta probabilità il cardinale R. Braschi Onesti, protettore dei camaldolesi, che fece leggere in capitolo una lettera che dichiarava eleggibili gli abati della provincia camaldolese marchigiana, compreso il F., il quale, per la sua giovane età, non avrebbe potuto aspirare alla carica suprema del suo Ordine. Affiancarono il nuovo generale, in qualità di visitatori, M. Sanclemente, fratello del più noto Enrico, antiquario e numismatico, e L. Nachi, professo del monastero di S. Michele di Murano.
Dopo la sua elezione il F. inviò una lettera esortatoria ai membri della Congregazione cenobitica camaldolese, che era allora divisa in quattro province con ventiquattro monasteri e circa trecento religiosi. Il piccolo istituto, ormai completamente autonomo dal ramo eremitico che faceva capo a Camaldoli e a Monte Corona, aveva manifestato una notevole vivacità culturale nel corso del Settecento, ma, al tempo dell'arrivo al generalato del F., mostrava segni di decadenza anche a causa delle soppressioni di vari monasteri nella Lombardia austriaca e nel Veneto, e della separazione (1788) delle abbazie del Granducato di Toscana dal corpo della Congregazione.
Il F., che aveva fissata la sua residenza nel monastero di S. Ippolito, inaugurò il suo governo con un viaggio a Bologna nel giugno 1795 per visitare il cardinale arcivescovo A. Gioannetti, già camaldolese a Ravenna. L'anno seguente aveva inizio la campagna d'Italia dell'armata napoleonica. Il F. si trovava a Faenza al momento del passaggio dell'esercito francese guidato dal generale Bonaparte. Dopo un fallito tentativo di allontanarsi dalla cittadina romagnola compiuto il 2 febbr. 1797, il giorno seguente venne convocato dal Bonaparte, insieme con gli altri membri del clero secolare e regolare di Faenza.
Fu allora che venne affidata al F. una duplice delicata missione: "éclairer" la città di Ravenna, da poco rioccupata dalle truppe francesi, sulle gravi conseguenze di una eventuale resistenza, e partire quindi per Roma, con un messaggio personale di Napoleone a Pio VI, onde dissuadere il pontefice dal lasciare la capitale. L'abate F., ricevute, a quanto pare, assicurazioni personali del Bonaparte circa l'incolumità del suo monastero, si recò a Ravenna, diramò una circolare a stampa per invitare i religiosi a sottomettersi ai voleri del "generoso Conquistatore", e proseguì per Roma dove giunse la sera dell'11 febr. 1797 e fu ammesso immediatamente alla presenza di Pio VI, al quale riferì il messaggio affidatogli dal futuro imperatore dei Francesi: "dite al Papa che Bonaparte non è un Attila; ditegli si ricordi ch'egli è successor di Leone" (Baldassari, Relazione, pp. 217 s.). Ricevuto dal pontefice anche la mattina del giorno seguente, il F. "l'eccitò a non tardar punto a chieder la pace, dandogli grande speranza di buon successo" (ibid., p. 218).
Ritornato a Faenza il 25 marzo 1797, il F. dovette abbandonare la sua residenza in giugno, in seguito alla promulgazione di un decreto di espulsione dei religiosi che per nascita non erano romagnoli. Mentre il Nachi partiva per Venezia, egli e l'abate Sanclemente si recarono a Pesaro rifugiandosi nel monastero di S. Maria degli Angeli. In agosto però il F. si trasferì a Fabriano, dove si trattenne alquanto per ragioni di salute, e quindi, nel settembre 1797, a Perugia, nel cenobio camaldolese di S. Severo. In dicembre l'invasione francese lo costrinse ad allontanarsi anche da Perugia per cercare rifugio ad Arezzo, quindi a Siena e a Volterra, e finalmente a Roma dove giunse nel gennaio del 1798. Dopo la proclamazione della Repubblica Romana si verificarono disordini nel monastero di S. Gregorio al Celio, in cui si era stabilito il F. che venne fatto oggetto di intimidazioni e minacce da alcuni dei monaci. Uno di questi, P. Irlandieri, scrisse anzi un libello contro il generale, accusandolo di malversazioni a danno dei monasteri della Congregazione, e di essere "amico dell'aristocrazia" e "contrario alle leggi democratiche" (cfr. Croce, Monaci ed eremiti, pp. 227 s.).
Nel maggio del 1798, dopo aver sistemato alla meglio gli affari amministrativi della Congregazione, il F. fu costretto a lasciare Roma da un decreto della Repubblica relativo ai religiosi esteri, e partì per la Toscana insieme con il procuratore generale dei camaldolesi F. Sandri e con M. Cappellari, il futuro Gregorio XVI. Dopo un viaggio faticoso per le avverse condizioni climatiche, i tre giunsero a Siena, dove fecero breve sosta nel cenobio camaldolese di S. Mustiola della Rosa, e quindi a Firenze. Nella capitale toscana il F. si trovò in grave difficoltà a causa della mancanza del passaporto necessario per proseguire il viaggio per Venezia. In soccorso del generale venne però il suo cancelliere, padre A. Politi, che lo ospitò per qualche tempo a Lucca mentre Sandri e Cappellari continuavano il viaggio e giunti a Venezia ottenevano che il F. potesse entrare nel territorio veneto con un passaporto lucchese. Finalmente in agosto l'abate camaldolese poté stabilirsi nel cenobio di S. Michele di Murano, dove rimase fino al luglio del 1799.
Ritornato a Roma, dopo una breve visita al suo antico monastero di professione, Fonte Avellana, il F. prese dimora nel piccolo monastero di S. Romualdo, e cercò di riprendere in mano il governo della Congregazione camaldolese che aveva perduto parecchi monasteri, soppressi dai vari regimi democratici, e che si trovava pure in precarie condizioni economiche. Il F. salutò pertanto con entusiasmo il provvedimento con cui Ludovico I re di Etruria consentiva ai regolari del suo Stato di ritornare a dipendere dai rispettivi superiori generali, e si adoperò anche per recuperare i monasteri soppressi dalla Repubblica Romana. Nel maggio 1803 poté finalmente adunarsi nel monastero di S. Severo di Perugia il capitolo generale della Congregazione cenobitica camaldolese. Il F. vi partecipò in qualità di definitore e in tale veste fu presente all'elezione del suo successore, l'abate R.S. Bianchi, già professore di matematica nell'università di Pisa, di origine cremonese ma affiliato alla provincia toscana. Al F. venne assegnato il monastero di S. Gregorio al Celio che aveva subito danni gravissimi durante il periodo repubblicano e che fu pertanto oggetto delle attente cure del nuovo abate. Nuovamente eletto definitore nel 1805, poi amministratore della "cassa pubblica" della Congregazione (1807), quindi proprocuratore generale nel 1808, come supplente dell'abate Cappellari, ritornato nel suo monastero di S. Michele di Murano, il F. era ancora abate di S. Gregorio quando nel 1809 Roma passò nuovamente sotto la dominazione francese.
Autorizzato questa volta a rimanere nella sua abbazia a titolo di custode, il F. si spense a Roma nel luglio del 1811.
Fonti e Bibl.: Numerosi documenti relativi all'attività del F. come abate generale della Congregazione camaldolese sono nell'Arch. del Sacro Eremo di Camaldoli nel Casentino; si veda in particolare il Fondo S. Ippolito di Faenza, AG (=Actuaria Generalium), 6, Series, sive conspectus rerum camalduliensium ab anno MDCCXCV ad annum MDCCCIII. Antistiti supremo nostrae familiae M.A. F.…; AG, 7, Appendix; sez. A, cass. 1, ins. 6: Index rerum a… M.A. F. gestarum, dum supremam Congregationis camaldulensis praefecturam gerebat (rubrica alfabetica dei due volumi precedenti); sez. G, cass. 22, ins. 8: 9 lettere del F. al confratello B.A. Pesci; Fondo S. Gregorio al Celio, 147, ff. 101 s.; Ibid.: A. Gibelli, Memorie storiche della Congregazione camaldolese…, I, pp. 198 ss.; Roma, Bibl. naz., Fondi minori, S. Gregorio, 63: Autobiografia di L. Nachi; 110 (lettere di M. Cappellari a P. Zurla, 31 marzo, 7 aprile, 12 maggio 1798); Arch. segr. Vaticano, Secr. Brevium 4467, ff. 37 s.; G. Cernitori, Biblioteca polemica degli scrittori che dal 1770 sino al 1793 hanno o difesi o impugnati i dogmi della Cattolica romana Chiesa, Roma 1793, p. 63; P. Baldassari, Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI…, Modena 1840, pp. 217 s.; Correspondance de Napoléon Ier…, II, Paris 1859, p. 386; A. Gibelli, L'antico monastero de' Ss. Andrea e Gregorio, Faenza 1892, pp. 179-182; L. Séché, Les origines du concordat, I, Pie VI et le directoire, Paris 1894, pp. 93 ss.; J. Du Teil, Rome, Naples et le directoire. Armistices et traités (1796-1797), Paris 1902, p. 449; P. Lugano, L'Italia benedettina, Roma 1929, p. 302; D. Federici, Carteggio Cappellari (Gregorio XVI) - Mandelli, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XI (1939), 64, p. 1105; B. Ignesti, La triste odissea di d. M. F.… negli anni 1797 e 1798, in L'Avellana, III (1941), 11, pp. 3 s.; A. Giabbani, L'ambiente monastico di don Mauro Cappellari, in Gregorio XVI. Miscellanea commemorativa, Roma 1948, I, p. 196; A. Pagnani, Storia dei benedettini camaldolesi, Sassoferrato 1949, pp. 236, 243; J. Leflon, Pie VII…, I, Paris 1958, p. 351; G. Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria. Storia diplomatica del trattato di Tolentino, II, Milano 1967, pp. 632, 640; G.M. Croce, Monaci ed eremiti camaldolesi in Italia dal Settecento all'Ottocento. Tra soppressioni e restaurazioni (1769-1830), in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all'Unità nazionale. Atti del II Convegno di studi storici sull'Italia benedettina, Cesena 1992, pp. 213, 221 ss., 232 s., 243, 245, 257, 269 s., 282, 313; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica, LXXVI, p. 319.