FARDELLA, Michelangelo
Nacque a Trapani nel 1650, da Iacopo e Brigida (Brigitta) Magliocco, entrambi nobili.
Conclusi a tredici anni gli studia humanitatis, intraprese quelli filosofici, che portò a termine in appena un anno. Entrato a quindici anni nei terziari francescani, vi studiò teologia e, a vent'anni, già rivelatosi buon predicatore, insegnò filosofia "magna auditorum frequentia" (A. Mongitore, II, p. 70). Dopo tre anni di insegnamento, ordinato sacerdote, si recò a Messina per studiare le matematiche "sotto alla disciplina del famoso [Giovanni] Alfonso Borelli" (M. Fardella, Curriculum vitae, in A. Robinet, L'empire leibnizien, p. 4).
Lo stesso F. sottolineerà il significato di quell'incontro che lo aveva introdotto a Democrito, letto attraverso Gassendi, e lo aveva messo contro Descartes e la sua filosofia prima, definita "sogno e delirio" (Pensieri scientifici, ed. Femiano, p. 31). Il F., quindi, abbandonata la filosofia scolastica, si mosse all'interno di una concezione atomistica, sperimentale e antimetafisica. A Descartes si accosterà successivamente attraverso la Logica di Port-Royal e la Recherche di Malebranche, come egli stesso ricorda.
L'apprendistato borelliano dovette essere di breve durata: nell'aprile del 1672, infatti, il Borelli venne messo al bando perché implicato nella rivolta antispagnola. Lo stesso F. fu coinvolto, presumibilmente nel 1674, nella rivolta antispagnola appoggiata dalla Francia. Difficile valutare l'effettiva portata di questa partecipazione, le conseguenze che essa determinò e, più in generale, far luce sugli anni 1672-1676. All'età di ventisei anni (1676) il F. si recò a Catania ad insegnare le matematiche in quella università, poi a Roma (1676, secondo il Mongitore), ove insegnò le matematiche nel collegio siculo di S. Paolo ad Arenulam e si addottorò in teologia alla Sapienza. Da Roma si trasferì a Parigi, per circa tre anni: frequentò le principali accademie ed entrò in contatto con scienziati e filosofi, quali D. Cassini, N. Malebranche, A. Arnauld, P-S. Régis e B. Lamy. È forse da collocare in questo periodo un suo soggiorno a Ginevra.
Richiamato dai suoi superiori, nel 1680 ritornò a Roma, vi insegnò morale e teologia nel convento dei Ss. Cosma e Damiano e strinse rapporti con uomini "insigni per varie scienze, e particolarmente per le Mathematiche" (Curriculum vitae), quali F.M. Vettori, G. G. Ciampini, A. Oliva, membri tutti dell'Accademia Fisicomatematica, e con i matematici gesuiti, G. F. Gottigniez, A. Baldigiani, F. Eschinardi e O. Fabri. Anche questo secondo soggiorno romano fu di breve durata. Infatti, su formale richiesta (aprile 1681) di Francesco Il d'Este duca di Modena al ministro generale dei terziari, Onorato Bidusi, il F. si trasferì a Modena, ove già dal 1679 si trovava anche il fratellastro Tommaso, precettore presso il marchese Bonifacio Rangoni. Nei rotuli dello Studio di S. Carlo il F. figura come professore di fisica e geometria per l'anno 1682-1683 e di metafisica per l'anno 1683-84. Tuttavia, una lettera di B. Ramazzini ad A. Magliabechi (30 luglio 1682) permette di stabilire che già nell'anno 1681-1682 vi lesse logica e matematica.
È lo stesso Rainazzini a sottolineare la novità delle dottrine insegnate dal F., "con grande plauso" (ibid.), e a confermare qualche anno dopo, ancora in una lettera al bibliotecario fiorentino (15 giugno 1691), che il F. fu il primo, a Modena, a gettare i "boni semi della filosofia moderna". Testimonianze queste che, lette accanto a quelle di A. Conti, relative all'insegnamento padovano, permettono di valutare meglio il ruolo da lui avuto nel rinnovamento degli studi filosofici.
Nell'83, in occasione di un capitolo generale del suo Ordine, il F. era di nuovo a Roma: sostenne il Gottigniez nella difesa della sua logistica con un opuscolo Conclusiones ad mathematicos (Romae 1683), entrò nel vivo della polemica suscitata dal gesuita Giovan Francesco Vanni, schierandosi con i novatores, fondò un'Accademia di filosofia sperimentale, a cui sono legate le Restitutae ac methodicae philosophiae et matheseos praecipue, et utiliores assertiones (Romae 1683).
Preceduta da una Prolusio imperniata sulla difesa della "philosophandi libertas" e quindi sul confronto antichi moderni, in cui i termini stessi del confronto vengono relativizzati e sottoposti al giudizio della sola ragione, sicché alle scienze venga restituita la loro "facilitas" onde possano servire alla pubblica utilità, l'operetta è un elenco di 222 tesi, distribuite in 18 sezioni, dedicate ai vari campi del sapere: le matematiche, la chimica, l'astronomia, la meccanica, la logica, la fisica, la metafisica, la pneumatica, la medicina, la statica e l'idrostatica, l'ottica, l'astrologia, la teologia scolastica, la morale.
Nel 1684 una nuova partenza: con Tommaso si trasferì a Capodistria come lettore pubblico di filosofia e matematica. Nel 1685 è da registrare una sua visita a Roma, ove concorse, ritirandosi, per la lettura di matematica alla Sapienza, vinta da Vitale Giordani. Da Capodistria, "a richiesta di senatori cospicui" (Curriculum), si trasferì a Venezia, ospite, insieme con Tommaso, del nobile Almoro Dolfin.
Il periodo veneto (1687-1709) fu il più proficuo ed anche il meglio documentato, perché disponiamo di abbondante materiale d'archivio e soprattutto delle lettere al Magliabechi (1691-1709) e della corrispondenza con Leibniz (1690-1714). A Venezia il F., protetto da importanti famiglie, i Dolfin e i Foscarini in particolare, acquistò ben presto prestigio presso gli ambienti colti e aristocratici, favorevoli alle nuove idee contro l'insegnamento tradizionale. Ciò non impedì, tuttavia, che nel 1689 venisse aperto contro di lui un processo per eresia da parte del S. Offizio, in seguito alle accuse mossegli dal suo conterraneo, don Filippo Caminetti. Il processo non ebbe tuttavia seguito - il F. non fu chiamato a deporre - e si concluse con la deposizione favorevole di Domenico Ripetta.
Le accuse che il 28 apr. 1689 il Caminetti mosse di fronte al tribunale dell'Inquisizione, confermate da altri tre testi (Gerardo Mutio, monaco cassinense, Francesco da Messina, parroco, e Domenico Tiepolo, monaco benedettino) erano tutt'altro che lievi: riguardavano tanto la dottrina (negava la transustanziazione, il valore della confessione, giudicava contro natura il voto di castità, sosteneva che il papa avesse usurpato la propria autorità ai preti, ammetteva la possibilità d'errore per il papa e per i concili, negava il valore della messa e delle varie pratiche di pietà) quanto il suo comportamento (possedeva libri di eretici, lodava Calvino, non rispettava l'astinenza dalla carne ecc.). L'intervento dei suoi potenti protettori, i Dolfin, più che la deposizione di Ripetta che presentò il F. come un buon cattolico e ridusse le accuse ad una montatura del Caminetti, suo rivale per una eventuale cattedra a Padova, può spiegare l'archiviazione del processo. Oggi quelle accuse non appaiono infondate: la corrispondenza con Leibniz ha rivelato, infatti, il criptoluteranesimo del F., mai emerso nei suoi scritti, e la conseguente intenzione di lasciare l'Italia per trasferirsi in Germania. È lo stesso Leibniz, conosciuto e frequentato a Venezia tra il febbraio e il marzo del 1690, a prendere a cuore le difficoltà e il travaglio interiore del filosofo siciliano e il suo interessamento giunse fino a procurargli una cattedra di philosophia curiosa nell'Accademia di Wolfenbüttel, opportunità che verrà lasciata cadere dal F., nonostante seri preparativi, solo allorché verrà chiamato all'università di Padova.
Nel 1691 pubblicò a Venezia, presso G. Albrizzi, l'Universae philosopiae systema e l'Universae usualis mathematicae theoria.
Nell'intenzione del F. questi due scritti costituivano la base di una filosofia "architettonica" divisa in due parti, l'una filosofica e l'altra matematica, di quattro volumi ciascuna. L'opera nel suo insieme, ancorché più volte annunciata (in particolare nelle lettere a Leibniz e a Magliabechi), non vedrà mai la luce e, nella successiva edizione del 1695 (Amsterdam), i due "tometti" diventeranno rispettivamente prima e seconda parte della Utraque dialectica rationalis et mathematica.
L'Universae philosophiae systema comprende, dell'intero sistema, la sola logica. Scritta in latino per sostituirsi alla pseudofilosofia, contentiosa, mollis (interessata alle parole piuttosto che alle cose) e phantastica (basata su false ipotesi e principi fittizi), insegnata nelle scuole, segue nell'impostazione quella che era ritenuta la più autorevole sistematizzazione della logica cartesiana, la Logique ou art de penser di A. Arnauld e P. Nicole, non senza alcune significative variazioni, dovute in gran parte all'inserimento di tematiche malebranchiste. Così, mentre la seconda, terza, quarta e quinta parte trattano delle quattro operazioni dell'anima (percepire, giudicare, ragionare e ordinare) e quindi delle idee, delle proposizioni, del sillogismo e del metodo, la prima parte è un esame dell'origine dell'errore, individuata nell'abuso della libertà, mentre i sensi, l'immaginazione e le passioni dell'anima ne sono cause occasionali.
Nella seconda parte affronta le numerose questioni sorte in ambito cartesiano a proposito delle idee: le idee, innate e avventizie, sono la forma stessa per mezzo della quale la mente percepisce immediatamente, senza che vi sia alcuna distinzione (contro Malebranche e d'accordo con Arnauld) tra idee e percezione. Premessi nella proposizione seconda alcuni elementi di fisiologia e poste le differenze fisiologiche tra sensazione, immaginazione e intellezione, nella proposizione terza il F. discute e confuta l'assioma scolastico "nihil est in intellectu quod prius non fuit in sensu", passaggio obbligato del cartesianesimo, ed è qui che trova posto anche la discussione circa l'unione dell'anima e del corpo. La proposizione ha l'andamento di una quaestio: esposta la dottrina scolastico-aristotelica (mettendone in evidenza la consonanza con Epicuro), la dichiara assurda riconducendone la causa ai pregiudizi dell'infanzia e afferma che le idee traggono origine dall'anima come da causa vera e fisica (contro Malebranche) mentre gli organi sensoriali, i moti degli spiriti animali e dei corpi esterni e le impressioni concorrono alla loro formazione solo occasionalmente ed excitative. Una volta trattate le idee secondo la loro origine, nelle proposizioni 4-14 considera le idee in rapporto agli oggetti che rappresentano: è qui che affronta la distinzione tra idee chiare e distinte (a loro volta divise in determinanti e indifferenti) e idee oscure e confuse, la distinzione tra sostanza, modo e sostanza modificata; tra res cogitans e res extensa; tra sostanza infinita, Dio, e le sostanze finite, tra attributi, qualità sensibili apparenti e reali ecc.; ed è qui che discute alcuni argomenti classici della logica tradizionale, quali le categorie aristoteliche e l'albero di Porfirio.
Nella terza parte, molto breve, ha presente soprattutto Malebranche, di cui riprende la distinzione tra giudizi secondo l'intelletto e giudizi secondo la volontà. e affronta alcuni classici luoghi cartesiani: i sensi non sono criterio di verità, ma strumenti della mente per conservare il corpo, l'evidenza come garanzia della verità, il rapporto verità-libertà. Alla tradizionale seconda parte della logica, tenendo presente Arnauld, dedica solo una (la terza) delle sei proposizioni. Nella quarta parte è interessato più che alla sillogistica alla topica, di cui darà una più ampia trattazione nella seconda appendice. Nella quinta parte distingue tra metodo compositivo sintetico "ars disserendi" e metodo "inventionis", che è analitico e risolutivo, per mezzo del quale è possibile pervenire "ad rerum radicalia, et primaria attributa". Attraverso il metodo analitico si possono conseguire la verità filosofica o intellegibile, che riguarda sia la realtà spirituale sia quella corporea, la verità matematica che riguarda quantità, figura e numero, presi astrattamente, e la verità fisico-matematica che scaturisce dall'applicazione della verità matematica al vero fisico, che è poi la congiunzione dello strumento matematico e dell'esperimento.
Chiudono l'opera due appendici: nella prima il F. affronta quelle questioni proemiali che la logica tradizionale poneva all'inizio dei trattati (se la logica sia arte o scienza, se sia pratica o speculativa ecc.); nella seconda appendice prende posizione contro Descartes a proposito dell'esistenza del mondo materiale, che Descartes ammetteva sulla base delle idee chiare e distinte e sulla garanzia della veridicità divina. Per il F. non si dà certezza metafisica dell'esistenza dei corpi in quanto noi inferiamo indebitamente l'assoluto dal dato sensibile, che non ha un valore conoscitivo bensì solo pratico. Né vale l'obiezione che allora Dio ci ingannerebbe, perché Dio non ci costringe all'assenso.
L'Universae usualis mathematicae theoria rappresenta il più cospicuo impegno matematico del F.: se essa può, a ragione, essere considerata un episodio non trascurabile della diffusione della Géometrie in Italia, non si dovrà però dimenticare che accanto a Descartes e, spesso ancor più di Descartes, sono presenti Borelli, il gesuita belga Gottigniez, alla cui logistica il F. aderiva senza riserve, ritenendola superiore a tutti gli altri metodi (perché ha fondamenti più saldi, procede più ordinatamente e coerentemente, giunge più in alto), Malebranche (soprattutto attraverso Jean Prestet, i cui Nouveaux élémens des mathématiques presentano molte analogie con l'Universae usualis). Diverso discorso per Leibniz, della cui "analisi così differenziale come integrale" egli, pur facendosene sostenitore, non tiene affatto conto.
L'opera si divide in cinque libri, preceduti da una lunga introduzione, nella quale il F. discute dei fondamenti della matematica, considerata arte di Dio, più vicina alla percezione del vero. Alla matematica è assegnato un ruolo privilegiato nel processo conoscitivo. Per questo occorre imparare ad usarla correttamente attraverso un metodo grazie al quale sia possibile assicurare un corretto assetto logico a tutte le premesse, a tutti i procedimenti, a tutte le conclusioni: quindi, in primo luogo i principi dovranno essere "notissimi", "evidentemente possibili", "espressi con termini univoci", come pure avrà importanza la chiarezza, l'univocità e l'universalità delle definizioni. Dopo aver definito il compito della matematica e le condizioni che deve rispettare, il F. ne prospetta la struttura: la matematica in quanto scienza rigorosa che va dalle cose semplici a quelle difficili ed ignote deve premettere tanti assiomi e postulati quanti ne occorrono per giungere ad una dimostrazione, che può essere di tre tipi: rigorosa, positiva, negativa o per assurdo. La matematica viene definita scienza della quantità, il cui nucleo centrale è la proportio. Esposto il piano dell'opera completa, che, come si è detto, il F. prevedeva in quattro tomi, elenca gli "impedimenti" oggettivi e soggettivi ad una perfetta conoscenza matematica. L'Universae usualis, pur recependo il mutamento di prospettiva introdotto nella geometria, è però un'opera essenzialmente dedicata agli elementi della matematica: le operazioni elementari applicate alla quantità universale (I libro); applicazione delle operazioni elementari ai numeri interi e frazionati (II); teoria delle proporzioni, delle progressioni geometriche e dei logaritmi (III); regole per calcolare le potenze del binomio e per estrarre le radici quadrate e cubiche (IV); cognizioni geometriche relative al metodo analitico e studio delle equazioni di secondo grado e di alcuni semplici sistemi di equazioni (V).
Nei primi anni del suo soggiorno veneto il F., che, come si è detto, coltivava la speranza di lasciare l'Italia e trasferirsi in Germania, ove poter liberamente professare la religione riformata, iniziò, con Leibniz, un serrato dibattito filosofico (sul rapporto prescienza e predeterminazione divina con la libertà umana, e quindi sulla definizione della libertà, sulle verità di fatto e di ragione, sul concetto di sostanza e sulla natura dell'anima e del corpo, sulla monade e sull'armonia prestabilita, sul concetto di spazio, ecc.) e teologico (traducianesimo, eucarestia, libertà di religione e di pensiero, ecc.); attese alla costruzione, mai completata, della sua filosofia architettonica (della quale dice ultimati i due secondi tomi e a buon punto il terzo di filosofia); s'impegnò nel dare lezioni ai giovani patrizi (testimonianza significativa di questo insegnamento privato sono le Philosophicae ac geometricae assertiones ... Quae per Antonium Ruzini, patricium Venetum, ad literari . i certaminis trutinam revocantur, s.l. né d.); fu precettore in casa Dolfin e s'interessò anche di questioni politiche.
Tra il 1693-94 si concretizzarono, per il F., due aspirazioni da tempo inseguite; infatti ottenne la dispensa accordatagli da Roma a lasciare il suo Ordine e a passare a semplice prete secolare, e venne chiamato (13 luglio 1693) alla cattedra padovana di astronomia e meteore già di Geminiano Montanari. Dà notizia dì entrambi gli avvenimenti in una lettera a Leibniz del 12 ag. 1693. La sua attività continuò ad essere intensa, accresciuta ora dagli impegni accademici. I corsi iniziarono il 19 marzo 1694 con la prolusione, poi pubblicata, Creans sapientia graviter et iucunde, con la collaborazione alla Galleria di Minerva, minacciata a volte dalla malferma salute. È in quegli anni che prese corpo la sua riflessione sull'anima alla luce di Agostino (De quantitatae animae, De Trinitate lib. X, De animae immortalite) e su certi esiti della problematica cartesiana, di quella di Malebranche e di Leibniz: più volte annunciata (lettere al Magliabechi, a Leibniz in La Galleria di Minerva del luglio 1696), nel 1698 uscì presso l'Albrizzi a Venezia l'Animae humanae natura ab Augustini detecta... Opus potissimum elaboratum ad incorpoream, et immortalem animae humanae indolem, adversus Epicuri et Lucretii sectatores, ratione praelucente demonstrandam.
Intanto, tra il 1694 e il 1698, il F. si impegnò in un dibattito filosofico, a tratti anche aspro, con il genovese Matteo Giorgi, autore, nel 1694, di un Saggio della nuova dottrina di Renato Descartes, il cui scopo dichiarato era di smascherare gli errori di Descartes (identificazione estensione-materia; l'immensità della materia-estensione, il criterio dell'evidenza e del dubbio).
Nella sua risposta, scritta tra la fine del 1694 e i primi del 1695 e pubblicata sulla Galleria di Minerva nel 1697, il F., secondo uno schema peraltro diffuso, riconduce la filosofia di Descartes agli antichi sia per ciò che concerne i principi di quello che chiama il mondo intelligibile (dubbio, certezza dell'esistenza della nostra mente nel momento stesso in cui dubitiamo; scoperta della natura della mente che consiste nel puro pensiero attuale; il carattere della chiarezza e della distinzione che distingue il vero dal falso; Dio garante di verità, la cui esistenza è nota come gli assiomi dei geometri; l'esistenza dei corpi è evidente), sia per ciò che concerne il mondo fisico (pienezza del mondo, divisibilità all'infinito della materia, identità tra corpo ed estensione, infinità dello spazio) e, riconoscendo che anche la dottrina di Descartes in molte cose è manchevole, ne individua la novità nell'ordine e "nobilissimo metodo" e nell'"innesto di cose fisiche e geometriche ... per scoprire l'occulte cagioni della natura". Passa quindi in rassegna le critiche di M. Giorgi, concludendo che la dottrina di Descartes, vera o falsa che fosse, non viene da esse infirmata. La polemica non s'arresta e conta ancora almeno due momenti: la risposta di Giorgi e la replica del Fardella (Galleria di Minerva, 1698).
L'Animae humanae natura, un commento ad Agostino, riprende sviluppandoli temi già presenti nelle precedenti opere e rappresenta un momento significativo dell'incontro tra Descartes e Agostino, tra cartesianesimo e agostinismo. Il problema di fondo, l'immortalità dell'anima, e quindi la sua spiritualità e di conseguenza il rapporto anima-corpo, è risolto dal F. con il ricorso alla concezione agostiniana dell'anima puntuale.
L'opera, dedicata al cardinale E. De Noris, fu composta non da ultimo in vista della prima cattedra di filosofia, che, nonostante forti opposizioni, il F. otterrà nel marzo del 1700, succedendo a C. Rinaldini. Professore primario di filosofia, poi preside della facoltà delle arti, al centro di importanti relazioni accademiche e politiche, il F. si batterà per rinnovare l'insegnamento della matematica nello Studio padovano: fallito il tentativo di portare a Padova i napoletani A. Monforte e G. Cristofaro, sarà il maggiore artefice della chiamata, sulla cattedra che era stata per due anni di D. Guglielmini, di J. Hermann (1707-1713) e di N. Bernoulli (1714- 1719).
Nell'estate del 1709 lasciò Padova per Barcellona con la speranza di ottenere un incarico ecclesiastico che gli permettesse di ritornare in Sicilia. Si tratterrà invece a Barcellona, e Carlo III d'Asburgo lo nominerà (3 marzo 1710) suo teologo e matematico. Colpito da un "accidente apoplettico" il 27 febbr. 1712 e ripresosi parzialmente, fu consigliato di trasferirsi a Napoli per l'"aria salubre". Da Napoli, ove fu curato da Lucantonio Porzio, si trasferì per alcuni mesi (1713-1714) a Padova, assistito da Ramazzinì e Leali.
Questi ultimi anni, fino alla morte che lo colse a Napoli il 5 genn. 1718, sono ancora caratterizzati da un'intensa attività. Sono di questo periodo due brevi scritti pubblicati solo recentemente (Napoli 1986) da S. Femiano con il titolo di Pensieri scientifici e Lettera antiscolastica: il primo, importante anche da un punto di vista autobiografico, è una sintesi della sua metafisica; nella seconda, confronto tra filosofia scolastica e filosofia moderna, non solo è sostenuta l'inutilità della scolastica nello studio della natura e nella direzione della ragione, ma anche la sua pericolosità per la fede (porta allo scetticismo, dispone all'ateismo, non si accorda con l'eucarestia), garantita invece dalla filosofia cartesiana.
L'adesione convinta ai moderni, il suo insegnamento pubblico e privato ancor più dei suoi scritti, che pure ebbero eco europea, giustificano la fama di cui godette. A scorrere l'elenco dei suoi corrispondenti (Leibniz e Magliabechi in primo luogo, ma anche J. Hermann e i Bernoulli, Monforte, Vallisnieri, Cristofaro, ecc.), delle istituzioni nelle quali fu protagonista o con le quali comunque entrò in contatto, a ricostruire la complessa trama di rapporti che seppe creare, si ha giusta l'impressione della sua importanza.
Fonti e Bibl.: Per la ricostruzione della biografia del F. è fondamentale l'opera di A. Robinet, L'empire leibnizien. La conquite de la chaire de mathématiques de l'université de Padoue. Jakob Hermann et Nicolas Bernoulli (1707-1719), Trieste 1991, che contiene un'ingente mole di documenti relativi soprattutto al periodo veneto, rinvenuti nell'Archivio di Stato di Venezia, nell'Archivio di Stato di Padova, nell'Archivio dell'Università di Padova, nella Bibliothèque universitaire di Basilea. In particolare, Robinet ha riportato alla luce un Curriculum vitae autografo, presentato dal F. ai riformatori dell'università di Padova (Arch. di Stato di Venezia, Riformatori, 4). Nell'Archivio di Stato di Venezia sono anche conservati gli atti del processo contro il F. (S. Uffizio, busta 125), che vennero pubblicati da A. Di Stefano, Un processo dell'Inquisizione veneziana contro M. F., in Siculorum Gymasium, I, I, Catania 1941, pp. 133-146. Nella Bibl. naz. di Firenze sono conservate le lettere del F. a Magliabechi (Fondo Magliabechi, ci. VIII, 1072), che sono state edite da S. Femiano in M. Fardella, Lettere ad A. Magliabechi (1691-1709), Cassino 1978; della corrispondenza con Leibniz, conservata nella Niedersächsische Landesbibliothek dì Hannover (Leibnizhandschriften, IV [Phil.], Band III, 2a-e), è annunciata un'edizione a cura di M. V. Predaval. Altre fonti sono: Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Regolari, fil. 41; Ibid., Particolari, fil-418; Ibid., Archivio per materie, Letterati (carteggio), fil.ig; Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori; Archivio di Stato di Roma, Fondo Cartari-Febei, cc. 327r-328r; Padova, Archivio dei Ricoverati (Accademia delle scienze, lettere ed arti), Giornale A e Giornale B. Registri delle sedute; Bologna, Bibl. univ., ms. 4031; Madrid, Archivo histórico nacional, Sección de Estado, legajo 8687.
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