CICCONE, Michelangelo
Nacque a Morro presso Notaresco (Teramo) il 17 genn. 1751 da Domenico Francesco e da Romilda Ferrigni di Pescara, secondogenito di sei firatelli, di cui gli ultimi tre nati dal secondo matrimonio del padre con Candida Carrillo. Ricevette la sua prima educazione a Teramo dallo zio Giuseppe Lattanzi, ricco. proprietario terriero di nota famiglia dì avvocati; ma sulla sua formazione culturale influì soprattutto un altro zio, Francesco Ciccone, magistrato e poeta, di cui rimangono. dotte allegazioni e numerose composizioni poetiche e che lo educò all'amore per la letteratura e la poesia. Quando il padre si trasferì a Napoli, il C. entrò in seminario, più per obbedire alla volontà patema che per vera inclinazione; qui completò i suoi studi, in yn ambiente culturaIniente vivace e aperto alle nuove correnti filosofiche provenienti d'Oltralpe: circolavano infatti in quegli anni tra gli ecclesiastici napoletani e nello stesso seminario libri di filosofia e di scienza in gran parte di provenienza francese, nonostante i divieti dei governo borbonico e delle autorità ecclesiastiche; gli stessi seminaristi si dedicavano alla traduzione di quei testi e ne assimilavano entusiasticamente i contenuti. Quegli anni di studi vivaci ed appassionati in seminario furono determinanti per le scelte politiche dei C. e quindi per il suo stesso destino.
Finito il regolare corso di studi, il C. vestì l'abito dei chierici regolari minori del convento della Pietrasanta; e divenne presto noto a Napoli per i suoi meriti letterari e per la sua notevole capacità di improvvisare versi, emulo in questo dei poeti ed amici L. Serio, A. Jerocades, G. Carta, L. Quattromani. Nel 1779 pubblicò a Napoli un poemetto didaqcalico, Il Vesuvio, in versi anacreontici, scritto per l'eruzione dell'8 agosto di quell'anno.
L'opera si articola in un dialogo tra Fileno e Fillide ed è dedicata a W. Hamilton, ministro plenipotenziario di Gran Bretagna presso il Regno delle Due Sicilie, autore di due studi sui vulcani del Regno, ricchi di erudizione (Campi Phlegrei. Observations on the Volcanoes of the Two Sicilies, Napoli 1772; Observations on Mount Vesuvius, Mount Etna and other Volcanoes, London 1774). In essa il C. si dimostra leggiadro poeta arcadico e .abile cantore di favole greche, descrive con efficaci colori il fenomeno dell'eruzione e lo sbigottimento popolare, e non manca di arricchire la sua poesia di dotte annotazioni filologiche e fisiche.
Nel 1783 salutò in versi togati con una Canzone inaugurale la "felice spedizionedella flotta navale, fatta da S. M. contro Algeri nel 1783"; nel 1789 compose un elogio funebre per la morte di Carlo III di Borbone (Teramo 1789) e un poemetto in ottava rima per propagandare la diffusione dell'innesto del vaiolo, molto ostacolata dai pregiudizi e dalla ignoranza popolare.
Non si conoscono i motivi per cui chiese ed ottenne con un breve pontificio di lasciare il suo Ordine religioso; forse contrasti con i confratelli o dispiaceri privati lo spinsero a entrare fra i teatini; certo è che nel' 1790 lasciò Napoli e, attaccato com'era ancora ai suoi luoghi natii e alle montagne abruzzesi ispiratrici di molta della sua poesia, si recò ad insegnare matgmatica e filosofia nel seminario di Canipli (Teramo), dove si trattenne fino al marzo del 1792.
Ritornato a Napoli, all'avvento della Repubblica tartenopea del 1799 pubblicò un canto in trentadue ottave e un sonetto, Al valorosissimo generale in capo e cittadino di Francia Championnet. Canto di ringraziamento (s. I. né d.).
In esso il C. condanna duramente il malgoverno borbonico, celebra gli ideali della Rivoluzione francese e saluta "l'altissimo guerriero" Championnet come liberatore del popolo napoletano.
L'adesione del C. al nuovo regime repubblicano fu genuina e responsabile: uomo di sincera fede democratica, maturò le proprie scelte politiche all'unisono con quella corrente di pensiero che, svolgendo la tematica dei cristianesimo democratico, già da tempo teorizzava i principi di libertà e di eguaglianza su di una base spirituale ed evangelica.
Nella vasta produzione letteraria di quegli anni, volta a conciliare il cristianesimo con la democrazia, il C. fornisce una testimonianza notevole di quel tentativo, peraltro in buona parte fallito, di propagandare tra il popolo la repubblica per mezzo del Vangelo; egli fu pronto ad accogliere la proposta che E. de Fonseca Pimentel aveva lanciato sul suo Monitore a scrivere "civiche arringhe" in dialetto, per facilitare la comprensione dei principî democratici e repubblicani al popolo, in nome del quale appunto la rivoluzione era stata fatta, ma che tuttavia era rimasto estraneo agli avvenimenti ed ostile ai patrioti.
Egli dunque si diede a volgarizzare nel dialetto napoletano, con popolare arguzia e vivacità, i principi della Rivoluzione sul Giornale patriottico: èappunto del '99 la stampa di una Spiega de lo Santo Evangelo a lengua nosta, divulgata anche in foglio volante, nella quale il C. interpreta il mutamento politico avvenuto nel Regno come frutto della volontà di Dio.
Infatti nelle Sacre Scritture è detto che i regni si trasferiscono di gente in gente a causa delle ingiustizie commesse dai sovrani: in quaranta anni. di regno, Ferdinando IV non ha mai concesso giustizia ai suoi sudditi, ha saccheggiato e spogliato le chiese e i monasteri, ha imposto decime e gabelle impoverendo la popolazione, ha indetto la leva militare sottraendo lavoratori alla terra e alla famiglia, ha perseguito una politica bellica disastrosa. Ordunque il Signore, per salvare il popolo dalla rovina totale, gli ha fatto perdere il trono.
Iscrittosi insieme con il fratello Sebastiano alla sala patriottica, il C. decise di pubblicare un giornale repubblicano in vernacolo, La Reprubbeca spiegata co lo Sant'Evangelo a lengua nosta liscia e sbriscia che se 'ntenne da tutti, in cui si sforzò di dimostrare al popolo, alternando austere massime del vivere sociale con scherzi in vernacolo ed argute canzonette, come nel Vangelo sono poste le basi della democrazia, che la libertà, la fratellanza e l'eguaglianza sono esigenze politiche ma soprattutto religiose, che il buon cittadino che pratica le virtù civili si identifica col buon cristiano che pratica le virtù evangeliche.
È nel sesto numero de La Reprubbeca la stampa dei bellissimo Canto de lo Sebeto dedicato a li patriuote, in cui viene celebrata come eroina Luigia Sanfelice, che aveva sventato la controrivoluzione realista dei Baccher: "... Figlia doce de zuccaro e cannella, / Luisa mia. bellissima Molina, / che mo' si lustra tu cchiù de 'na stella / ... tu si mamma vera / de tutta sta cetà, senza dolore; / mamma che tutta Napole aie fegliato, / pocca tutta da morte l'aie sarvato...".
Il giornale, che si andò ad aggiungere alle numerose altre gazzette repubblicane di quei giorni (Il Monitore, Il Vero repubblicano, Il Veditore repubblicano, Il Giornale patriottico ecc.), non ebbe maggior fortuna di queste, tutte di breve durata e di limitatissima circolazione.
Nei tragici giorni della fine della Repubblica, mentre le bande del cardinale F. Ruffo irrompevano nella città, il C. combatté valorosamente al ponte della Maddalena al fianco dell'amico e maestro Luigi Serio, che vi morì; si ritirò quindi, insieme con il fratello Sebastiano, nella chiesa di Montesanto, presidiata da una compagnia di soldati francesi, nel tentativo di sostenere Il l'assalto delle truppe sanfediste. Nel fuggire, i due fratelli si separarono e si nascosero in luoghi diversi; e mentre Sebastiano riuscì a sottrarsi alla cattura, il C., forse anche a causa della sua forte miopia, fu più facilmente arrestato dopo solo due giorni; non gli valse a salvarlo l'avere nell'esercito sanfedista il fratello Ottavio, né l'amicizia con uno dei giudici, il Guidobaldi, suo conterranco.
Accusato dalla giunta di Stato "per aver dato alle stampe varie opere colle quali elogiava la Repubblica e i Francesi e sparlava delle sacre persone, e perché confesso di aver ricorso a' ribelli per ottenere una situazione ed un sussidio" (cfr. Sansone), fu condannato, il 15 genn. 1800, a morire sulle forche con "precedente dissacrazione e confisca dei beni" (ibid.).
La sentenza fu eseguita il 18 genn. 1800, sulla Piazza del Mercato di Napoli.
Fra le opere, oltre alle citate: un canto epitalamico, La pace d'amore;un'elegia, In morte di d. Margherita Branciforti;una canzone, Per la promozione di A. Pignatelli al posto di cavallerizzo maggiore di S. M. Re delle Due Sicilie;alcune stanze dedicate a M. Mormile Capecelatro, La venuta delle Muse, tutte edite a. I. né d. Alcuni (D'Ayala) attribuiscono al C. il famoso sonetto "Rediviva Poppea, Taide impura", violentissima invettiva contro la regina Maria Carolina, che altri invece vogliono di M. Pagano o di E. de Fonseca Pimentel.
Fonti e Bibl.: V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Firenze 1926, pp. 215, 310; P. Martorana, Notizie biogr. e bibl. degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli 1874, pp. 117 s.; M. D'Ayala, Vite degli Italiani benemeriti della libertà e della patria uccisi dal carnefice, Roma 1883, pp. 165-167; A. Sansone, Gliavvenimenti del 1799nelle Due Sicilie. Palermo 1901, p. 305; A. Della Torre, Ilcristianesimo in Italia dai filosofisti ai modernisti, Milano 1913, p. 38; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1926, pp. 28. 36, 135 s.; M. A. Tallarico, Una "Memoria sullo stato delle chiese di Napoli" del vesc. E. Capece Minutolo all'indomani della Repubblica Partenopea del '99, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXXI (1977), 1, p. 110; Diz. del Risorg. naz., II, p. 692; R. Aurini, Diz. bibliogr. della gente d'Abruzzo, IV, Teramo 1962, pp. 321-326 (con bibl.).