Montaigne, Michel Eyquem di
Scrittore e filosofo francese (castello di Montaigne, Périgord, 1533 - ivi 1592).
Uscito di collegio a tredici anni, studiò giurisprudenza a Tolosa e a Bordeaux; entrò poi (1554) nella magistratura, in cui ricoprì vari uffici. Nel 1558 conobbe Étienne de la Boétie, umanista stoico e «fratello d’elezione», che influenzò le sue idee morali e politiche, e al quale rimase legato d’intensa amicizia. Mortogli il padre (1568), e divenuto capo della famiglia, si ritirò a vita privata nel suo castello per consacrarsi interamente alla lettura e agli studi. Nel soggiorno di Bordeaux si era dedicato a un primo lavoro, la traduzione della Theologia naturalis di Raimondo Sebunde (➔), nella quale viene elaborata una forma di apologetica naturale della fede cristiana; l’opera lo interessò molto, tanto da inserire successivamente un’Apologie de Raymond Sebond negli Essais (II, 12). Le ampie e meditate letture cui si dedicò in seguito, movendo dagli scrittori classici e dai moralisti, costituirono la prima base degli Essais (pubblicati nel 1580 in due libri; trad. it. Saggi). Dal giugno 1580 al nov. 1581 viaggiò attraverso la Francia, la Svizzera, la Germania e l’Italia, dove scrisse il Journal de voyage en ltalie (pubbl. 1774), di cui una parte è redatta in italiano. Eletto sindaco di Bordeaux, rimase in carica sino al 1585; ritornò poi al suo lavoro prediletto e aggiunse un terzo libro e numerose pagine a una seconda edizione degli Essais (1588) che arricchì fino all’ultimo di ulteriori postille in vista di una terza edizione, che però uscì postuma a cura di Marie de Gournay (sua «fille d’alliance» ed erede spirituale) e di Pierre de Brach.
Le tre edizioni degli Essais (1580, 1588 e 1595) rappresentano assai bene lo sviluppo del pensiero e dell’arte di Montaigne. Gli scrittori del Rinascimento avevano prediletto, a esercizio del loro sapere, certi libri di «adagi», «lezioni», «paradossi», «dubbi», «quesiti», ecc.; in quella tradizione si può scorgere l’occasione letteraria degli Essais di M.: i primi vi appartengono ancora, derivando dai libri antichi una sentenza e legando pochi aneddoti in una digressione curiosa; via via, quella trama facile e pigra si rinsangua di un proposito nuovo che è il ritratto, l’immagine dell’uomo. La cultura classica di M. fu molto estesa; egli conosceva a fondo tutti i grandi scrittori latini, i poeti, gli storici e i moralisti, fra i quali specialmente Seneca; dei Greci studiò soprattutto Plutarco. Leggeva nel testo, oltre a Petrarca, gli scrittori italiani del suo tempo, Machiavelli e Guicciardini, Ariosto e Tasso. Delle sue varie letture e cognizioni si valeva come di uno stimolo, o di un pretesto, per avviare le sue riflessioni, che lasciava poi libere e svagate, ma che non riescono mai superficiali: anzi, è propria di M. una penetrazione luminosa e sicura, che rivela, oltre a un’incessante curiosità di tutte le espressioni dell’animo umano, una costante facoltà di dominio e di comprensione, di calma spirituale e di indipendenza; l’arte degli Essais segnerà la via ai grandi moralisti, e, in genere, ai grandi prosatori francesi.
Per più aspetti l’opera di M. può rappresentare l’esito scettico della cultura rinascimentale. La sua riflessione è emblematica della profonda crisi della cultura europea della fine del Cinquecento: la scoperta del Nuovo Mondo e dei suoi abitanti, la caduta del geocentrismo, la critica dei principi di Aristotele e della scolastica, la rottura dell’unità del cristianesimo, le innovazioni in campo medico e scientifico imponevano una revisione delle antiche certezze e dei valori trasmessi dalla tradizione. Negli Essais, nutriti, come s’è detto, di letture vastissime ma anche estremamente sensibili ai grandi eventi della storia recente che offrono materia di meditazione e di confronto, si delinea una positiva valutazione della posizione scettica: l’insegnamento dello scetticismo antico forniva armi alla polemica di M. contro ogni presunzione della ragione, contro il dogmatismo, contro la pretesa di asserire come universalmente valide scale di valori che in realtà erano legate a condizioni storiche determinate. Lo scetticismo di M. non si nutriva dunque solo di Sesto Empirico e della radicale messa in dubbio delle capacità conoscitive dei sensi e della ragione, ma anche della riflessione sulla diversità delle manifestazioni dello spirito umano, diversità che gli era attestata anche dalla lettura dei filosofi antichi e dalle relazioni dei viaggiatori e degli esploratori sui popoli «selvaggi». Famose le pagine nelle quali, innanzi ai costumi delle popolazioni del Nuovo Mondo, così difformi da quelli europei, M. rileva la relatività del concetto stesso di «barbarie», che è sempre in rapporto ai nostri costumi, assunti come parametro di giudizi assoluti. «Ognuno chiama barbarie – dice M. – quello che non è nei suoi usi: sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo». «Civiltà» e «barbarie» sono quindi concetti relativi, che possono essere facilmente capovolti l’uno nell’altro; sembra anzi che le popolazioni più selvagge d’America siano anche le più semplici e pure di cuore, capaci di rinnovare lo spirito delle antiche età dell’oro (su questi temi, cfr. il saggio Dei cannibali, I, 31; sul mondo nuovo «ingenuo e fanciullo» cfr. anche III, 6). La lezione che si può trarre dalla contemplazione del mondo e dallo studio della storia consiste nell’invito a sospendere il giudizio e non nella pretesa di definire regole assolute: nessuna delle nostre opinioni ha radici salde ed è un errore cercare di fondarle sulla natura; è piuttosto la coutume che governa i comportamenti degli uomini. La posizione scettica – svolta anche con l’assiduo paragone tra uomo e animale al fine di estinguere tra i due ordini ogni differenza radicale – si congiunge in M. a un cauto fideismo, in quanto Dio solo è riconosciuto capace di indicare all’uomo la verità: tutti gli argomenti apologetici, infatti, si equivalgono e convincono soltanto chi ha la grazia. Storicamente è soprattutto la lezione scettica di M. che ha avuto fortuna, sia direttamente, sia attraverso la Sagesse di Charron (➔). Alle pagine di M. faranno costante riferimento anche i libertini, che ne esalteranno la lezione antidogmatica. La diffusione degli Essais fu vasta e durevole, soprattutto in Francia, Inghilterra, Germania. In Italia una prima traduzione, parziale, apparve a Ferrara (1590) e una completa a Venezia (1633-34).
Biografia