Chion, Michel
Teorico del cinema e musicista francese, nato a Créteil (Val-de-Marne) il 16 gennaio 1947. Noto soprattutto per le sue riflessioni sul suono, si è affermato come studioso originale, il cui campo d'indagine contempla molteplici ambiti disciplinari tra i quali il cinema occupa un posto privilegiato.
Con una formazione da musicologo e compositore, è giunto alla critica cinematografica negli anni Settanta sulle pagine dei "Cahiers du cinéma". In quel periodo, soprattutto in Francia, il dibattito teorico è stato fortemente influenzato dalla ricerca strutturalista, sfociata poi in studi a orientamento semiologico. In tale ambito, si è venuto sviluppando compiutamente l'approccio metodologico dell'analisi testuale, presto affermatasi come un vero e proprio 'genere', all'interno delle facoltà universitarie. Anche il cinema ha risposto positivamente agli stimoli strutturalisti: i primi esploratori di questo universo fatto di segni sono stati gli stessi critici dell'epoca, che hanno aperto la strada all'analisi filmica in seminari e corsi accademici; tra questi, C. in particolare ha tenuto, alla fine degli anni Settanta, un importante corso incentrato sul suono nel cinema, presso l'IDHEC, indirizzando le sue ricerche verso un approfondimento dell'elemento della voce e dell'area sonora, fino a elaborare una vera e propria teoria del suono.Dopo essersi occupato di musica elettroacustica in Les musiques électroacoustiques (1976), scritto in collaborazione con Guy Reibel, e La musique électroacoustique: ouvrage de technique musicale (1982), ha poi pubblicato nell'arco di sei anni tre saggi fondamentali: La voix au cinéma (1982; trad. it. 1991), Le son au cinéma (1985) e La toile trouée (1988). Nel primo di questi volumi C. si sofferma principalmente sulle questioni sonore legate alla voce: in particolare, risulta decisiva l'elaborazione concettuale dell'aggettivo acousmatique ‒ già introdotto da Pierre Schaeffer in Le traité des objets musicaux (1967) ‒ che, secondo C., serve a definire il suono percepito senza che sia possibile individuare il luogo di provenienza della sorgente sonora; l'analisi di questo particolare squilibrio viene quindi condotta e ampliata nella sua portata teorica attraverso una pertinente lettura lacaniana. Il secondo dei saggi ricordati allarga l'analisi alla questione del suono nella sua integralità; considerando come esso tenda a propagarsi metaforicamente come un gas, C. giunge a delineare uno spazio ordinato su tre frontiere, chiamato tricerchio, su cui disporre le fonti sonore: "suono fuori-campo" (non visibile nell'immagine, ma situato nello stesso tempo dell'azione mostrata), "suono off" (emanato da una sorgente invisibile, situata in un altro tempo e luogo rispetto a ciò che l'immagine mostra), "suono in" (emanato da una sorgente situata nel tempo e nel luogo dell'immagine). A partire dalla definizione di queste tre zone (un caso di suono "visualizzato", due casi di suoni "acusmatici"), C. analizza alcuni film e fornisce vari esempi, superando definitivamente la vecchia e semplicistica concezione di banda sonora. Nel terzo contributo, C. si sofferma in particolare sul rapporto rumore/parola e suono/immagine, sottolineando come l'analisi filmica resti ancora legata a nozioni ereditate dal cinema muto (per es., la nozione di piano e quella di montaggio) e proponendo quindi l'idea di un cinema inteso come 'arte sonora', come complessa macchina audio-visiva in cui il reale giunge a convivere con il simulacro.
Dopo aver aggiornato le precedenti analisi (L'audio-vision. Son et image au cinéma, 1990; trad. it. 1997), C. si è concentrato su alcuni cineasti da lui prediletti, tra i quali Jacques Tati, David Lynch e Stanley Kubrick. Ha inoltre pubblicato saggi su musica sinfonica e per il cinema, un volume sulla scrittura di sceneggiature cinematografiche e ha realizzato egli stesso alcuni cortometraggi. Ma soprattutto è tornato a occuparsi del suono (Le son, 1998), questa volta inteso anche come mito, dedicando ampio spazio alla descrizione e alla classificazione del-l''oggetto' suono, alle tecniche di ascolto e alla questione della durata, per giungere a una scelta finale provocatoria quanto inevitabile: quella di eliminare, in ambito scientifico, il termine suono, così vago e polisenso, preferendogli quello di auditum.